bello, da cercare, e leggere, sopratutto, nessuno se ne pentirà, promesso - franz
…Per coinvolgere il lettore, per
appassionarlo, per tenerlo incollato alla pagina, non è necessario - tuttavia -
rinunciare ad altre caratteristiche essenziali, quali il valore intrinseco
della prosa, la trasmissione di un messaggio più o meno recondito, la suggestiva
rappresentazione della realtà.
Con “Un cuore muto”, pubblicato nel 2005 dalla casa editrice E/O, Sergio Pent - scrittore e noto critico letterario - riesce a coniugare la duplice esigenza di coinvolgere il lettore e fare buona letteratura. Pent racconta una storia complessa avvalendosi di una scrittura intensa senza abbandonarsi ai pleonasmi narcisistici di certa letteratura barocca autoreferenziale. Così come per il precedente romanzo, “Il custode del museo dei giocattoli”, in “Un cuore muto” l’autore elabora una complessa struttura narrativa valorizzata dall’ausilio di differenti piani temporali che attraversano la storia del Novecento italiano: dalle origini del cinema muto alle efferatezze del fascismo, dagli anni di piombo del post-sessantotto alle contraddizioni della società globalizzata…
Con “Un cuore muto”, pubblicato nel 2005 dalla casa editrice E/O, Sergio Pent - scrittore e noto critico letterario - riesce a coniugare la duplice esigenza di coinvolgere il lettore e fare buona letteratura. Pent racconta una storia complessa avvalendosi di una scrittura intensa senza abbandonarsi ai pleonasmi narcisistici di certa letteratura barocca autoreferenziale. Così come per il precedente romanzo, “Il custode del museo dei giocattoli”, in “Un cuore muto” l’autore elabora una complessa struttura narrativa valorizzata dall’ausilio di differenti piani temporali che attraversano la storia del Novecento italiano: dalle origini del cinema muto alle efferatezze del fascismo, dagli anni di piombo del post-sessantotto alle contraddizioni della società globalizzata…
…L'io
narrante, insomma, sposa la sentenza dell'amato Grande Gatsby − "Così continuiamo a remare,
barche controcorrente, risospinte senza posa nel passato" − e così la
chiosa: "È questo che mi accade, ogni volta che guardo indietro. Perché
quel che mi aspetta, per tanto che sia, non sarà mai più importante come quel
poco che ho perso, senza appello". La perdita della ragazza amata si lega
alla perdita, l'anno seguente, delle residue illusioni di accesso al mondo di
Cinecittà; fine della giovinezza come fine delle ambizioni, dunque: la frase
memoranda di Norma, "il tempo non ci aiuta a capire, ma solo a
ricordare", martella nella sua mente nella parte "in cornice"
del romanzo, ambientata nel 2001, quando decide di rivedere, al Museo del
cinema della Mole Antonelliana, l'unico film superstite di Norma D'Abate, di
ritrovarne la prodigiosa seduttività nelle immagini bolse di Rapiti dal destino.
In fondo,
il suo è un percorso speculare a quello di Norma, che lasciò il cinema per
essere buona moglie di un marito mediocre, per cicatrizzare il ricordo delle
violenze subite da Valmorin e della perdita di un "figlio della
colpa" che l'amante le sottrae alla nascita. Per la complicità creatasi
durante l'intervista, Norma chiederà all'io narrante di improvvisarsi detective
e andare sulle tracce dell'amante e del figlio perduto: ed è la parte in cui il
talento comico di Pent dà la miglior prova di sé (memorabile la visita
all'ospedale psichiatrico!). Il resto del romanzo è invece sospeso tra quieta
elegia e sdegno frenato, in un tono che si nutre di salutare ironia e
autoironia ma che indulge, forse un po' troppo, alla tentazione gnomica…
da qui
Nessun commento:
Posta un commento