Arundhati Roy ci fa leggere una lettera
Nel numero
di “Internazionale” in edicola dall’8 al 14 luglio la scrittrice Arundhati Roy spiega che cosa sta
accadendo in India. All’interno del lungo articolo c’è una lettera di un
giovane ricercatore universitario, Rohith Vemula, che si è tolto la
vita. Per capire il contesto bisogna leggere l’articolo uscito su Internazionale.
Ma ci sono cose che riguardano tutti in ogni parte del mondo.
Ho sempre desiderato diventare uno scrittore. Uno scrittore di scienza,
come Carl Sagan. Amavo la scienza, le stelle, la natura, ma amavo anche la
gente, senza sapere che da tempo si è allontanata dalla natura. I nostri
sentimenti sono di seconda mano. Il nostro amore è costruito. Le nostre convinzioni
manipolate. La nostra originalità applicata a un’arte artificiale. È diventato
veramente difficile amare senza rimanere feriti.
Il valore di un uomo è stato ridotto alla sua identità e alla sua immediata
utilità. A un voto. A un numero. A una cosa. Nessun uomo è mai stato trattato
come una mente. Come una cosa meravigliosa fatta della polvere di stelle. In
tutti i campi, negli studi, nelle strade, nella politica, nella vita e nella
morte.
È la prima volta che scrivo una lettera come questa. È la prima volta che
scrivo una lettera di addio. Scusatemi se vi sembra insensata.
Forse ho capito male il mondo, l’amore, il dolore, la vita e la morte. La mia
nascita è stato un incidente fatale. Non mi riprenderò mai dalla mia infanzia
solitaria di bambino non apprezzato.
Rohith Vemula
Lettera pubblicata nell’articolo di Arundhati Roy sul numero di “Internazionale”
dell’8-14 luglio 2016, n. 1161., pagg. 45-46.
Rohith Vemula: in morte di uno studente dalit di sinistra - Matteo Miavaldi
L'attivismo politico durante gli anni
dell'università, in India, è generalmente percepito come un trampolino
di lancio ottimale per una carriera politica promettente; entrare nel radar dei politici locali,
diventarne i «pupilli», ritaglairsi un posticino nell'organigramma della sede
più vicina, sperare in un'elezione in tempi brevi ed entrare nel cerchio magico
del potere che lega politici, imprenditori e rappresentanti delle istituzioni
nella gestione della Cosa pubblica indiana. Non sempre limpida, ma sempre
remunerativa. Ma per moltissimi studenti significa, forse peccando di naiveté,
intraprendere un atto rivoluzionario nel
senso più stretto del termine: opporsi alle pressioni sociali, che vorrebbero
gli studenti come masse da plasmare estirpando alla radice il germoglio della
dissidenza, giovani uomini e donne da omologare al pensiero unico che prevede
il prima possibile un matrimonio e una vita vissuta all'interno di regole
apparentemente immutabili. Perché«questi
sono i valori indiani».
Vemula e
i suoi compagni la pensano diversamente e, approfittando del privilegio di
un'istruzione superiore, erano e sono attivi nella difesa di ciò che ritengono
giusto e nella lotta contro ciò che ritengono sbagliato. Proveniente da una
famiglia di dalit, Vemula
apparteneva all'Ambedkar Students
Association (Asa), una delle molte sigle di collettivi
universitari indiani che, nello specifico, si occupa di discriminazione
contro le minoranze dell'India di oggi. Asa è attiva nella sensibilizzazione dei temi della condizione
dei dalit negli istituti scolastici e, recentemente, si è
esposta in difesa dei diritti della minoranza musulmana.
Lo scorso
anno il collettivo della Hcu aveva organizzato una serie di iniziative mal
viste dall'amministrazione universitaria: la proiezione del documentario
«Muzaffarnagar Baaqi Hai» (sulle violenze interreligiose tra hindu e musulmani del
2014 nella omonima cittadina dell'Uttar Pradesh), una veglia per l'impiccagione di
stato di Yakub Memon, un Beef Festival a sostegno della libertà di
mangiare carne di manzo, nonostante lafollia identitaria
delle frange estremiste hindu.
Durante
la proiezione del documentario che denunciava la regia dell'ultrainduismo dietro gli scontri di
Muzzaffarnagar, gli studenti di
Asa si sono scontrati - anche fisicamente - contro i loro compagni appartenenti
alla Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad (Abvp),
il collettivo studentesco nazionale di destra vicino al Bharatiya
Janata Party (Bjp, il partito di governo guidato dal premier
Narendra Modi). Abvp, dopo gli scontri, ha denunciato cinque studenti di Asa -
tra cui Vemula - alle autorità universitarie. Il Vice Chancelor (Vc) in carica
all'epoca, il professor Sharma, aveva deciso di non prendere alcun
provvedimento contro i cinque studenti di Asa, riconducendo il tutto alla
normale amministrazione della politica universitaria (feroce, a tratti, con
esplosioni di violenza non infrequenti).
Ma con le
dimissioni di Sharma e la nomina del nuovo Vc Apparao - vicino al Bjp - lo scorso dicembre,
le cose hanno preso un'altra piega. Secondo quanto riferito da alcuni organi di
stampa indiani, in seguito alla scazzottata tra Asa e Abvp,
l'Union Minister Bandaru Dattatreya - più o meno il corrispettivo del
nostro sottosegretario, in quota Bjp - aveva raccomandato al ministero delle
Human Resources and Development (Hrd) - guidato da Smriti
Irani, Bjp - di sospendere i cinque studenti,
descritti come «castisti, estremisti, anti-nazionali».
Il Vc
Apparao, ricevute indicazioni precise in una lettera del ministero delle Hrd, i
primi giorni di gennaio ha proceduto alla sospensione dei cinque studenti, ai quali è stato proibito l'accesso alle
strutture universitarie - escluse le aule dove si tenevano le lezioni che
dovevano seguire - e, soprattutto, quello alle proprie stanze assegnate nel
dormitorio, sgomberate dal personale universitario e lucchettate.
Per 12 giorni i cinque
studenti hanno dormito all'aperto, di fronte ai cancelli dell'università,
protestando contro una misura secondo loro motivata da sentimenti
discriminatori a causa della loro battaglia politica e della loro provenienza
familiare: tutti e cinque, infatti, provenivano da famiglie dalit di umili
origini.
Vemula,
un tempo molto attivo politicamente all'interno dell'università, secondo i
propri compagni subito dopo essere stato cacciato dal dormitorio si era chiuso
in un silenzio inusuale. Domenica sera, senza che nessuno ad Asa potesse sospettarlo,
ha deciso di impiccarsi.
La lettera lasciata da Vemula, che sta facendo il giro dei social network
in questi giorni, è il testamento lasciato da un ragazzo sopraffatto dalla
frustrazione e dall'ingiustizia che continua a caratterizzare la società
indiana contemporanea a vari livelli, non ultimo in
quello universitario.
La morte
di Vemula ha innescato un'ondata di proteste in molte università del paese, coi collettivi di sinistra che denunciano la
responsabilità morale delle istituzioni vicine al Bjp per
aver istigato al suicidio il giovane studente. La polizia di Hyderabad ha aperto un
fascicolo, inserendo nel registro degli indagati tre
funzionari della Hcu e il ministro Dattatreya. L'accusa è istigazione
al suicidio.
[Scritto
per East online; foto credit: thewire.in]
India, nazionalismo e
discriminazione di casta nelle Università
Nel 2016 la
politica indiana è stata caratterizzata da un aumento delle proteste
studentesche e le principali Università del Paese sono diventate terreno di scontro politico.
Il partito nazionalista al potere ha permesso agli attivisti indù di acquisire il controllo dei
movimenti politici studenteschi. E l’etichetta ‘anti-nazionale’ è stata usata
per frenare gli studenti più preparati politicamente che hanno cercato di
confrontarsi pubblicamente sulle questioni sensibili per l’attuale governo di
Delhi.
In modo
particolarmente allarmante, i recenti episodi di violenza da parte della polizia e l’arresto
degli studenti e degli insegnanti all’Università Centrale di Hyderabad, nel Sud
dell’India, hanno intensificato la politica di esclusione che opprime i dalit (chiamati anche ‘fuori casta‘) e altre minoranze etniche. I post e
i video apparsi sui social network hanno mostrato come le aule generalmente caratterizzate
da sobrie attività accademiche sono ora teatro di violenza e disordini. Secondo
le indagini condotte sinora, questi violenti sviluppi sembrano essere il
risultato di un’azione coordinata tra gli studenti nazionalisti indiani,
membri di polizia e amministratori universitari di alto rango.
Nel Paese con la
più grande democrazia del mondo, questo impone una sfida critica più ampia agli
istituti di istruzione superiore. Com’è possibile che il potere del
nazionalismo induista possa intensificare la politica di esclusione delle caste
in questo modo, trasformando un campus universitario in qualcosa di simile a
una zona di guerra?
Il caso di
violenza avvenuto all’Università di Hyderabad lo scorso 22 marzo è un esempio
di abuso del potere locale. Dopo il suicidio dello studente dottorando dalit Rohith Vemula, lo scorso 17 gennaio,
il vice rettore Appa Rao Podile è stato sospeso dal lavoro. Ha subìto
accuse di essere stato in parte responsabile dei traumi che hanno portato lo
studente al suicidio, tra cui la sospensione della sua borsa di studio mensile.
Rohith Vemula era un leader dell’Ambedkar Student Association(ASA),
un collettivo universitario di sinistra che lotta per l’uguaglianza sociale dei giovani studenti indiani. Lui e
altri quattro membri dell’ASA avevano espresso critiche al gruppo studentesco
nazionalista indiano al fine di fermare le loro manifestazioni. Ulteriori
problemi sono emersi quando lo scorso luglio Vemula ha contestato la pena di
morte in un momento in cui il governo indiano presiedeva l’esecuzione di Yakub
Memon, accusato di essere stato l’”ideatore” dell’attentato di Mumbai.
Nella polemica
politica scoppiata dopo il suicidio di Rohith Vemula è stato reso noto
pubblicamente che i membri del governo centrale a Nuova Delhi avevano inviato cinque
lettere per assicurarsi che l’Università Centrale di Hyderabad avesse sospeso i
cinque studenti dalit.
A causa della
discriminazione basata sulle caste, vari studenti dalit si sono tolti la vita
negli istituti di istruzione superiore in tutta l’India, ma il caso di Rohith Vemula ha
sconvolto il Paese come
mai prima d’ora. Il suicidio di Rohith Vemula ha raccontato la tragica storia
di uno studente proveniente da un ambiente molto povero che ha deciso di
togliersi la vita dopo aver sopportato pesanti problemi finanziari e politici
all’interno dell’Università. L’episodio ha tuttavia anche rivelato un collegamentodiretto
tra il governo centrale e la sua sospensione dall’Università, portando a un
dibattito politico cui raramente abbiamo assistito.
I leader
dell’opposizione hanno condannato pubblicamente il trattamento riservato a
Rohith Vemula e l’interferenza politica all’Università di Hyderabad. Alla fine,
il ministro dell’Istruzione ha dovuto affrontare il caso all’interno del
Parlamento indiano lo scorso 25 febbraio. È importante notare come il suicidio
di uno studente sia diventato un argomento scottante a tale livello politico e,
tuttavia, si è da allora intensificata la politica di esclusione, con i
nazionalisti indiani al potere determinati a cooperare con gli uomini di potere
locali e gli studenti di destra.
Il violento
scontro del 22 marzo scorso all’Università di Hyderabad sembra essere parte di
un’azione coordinata e continua per affermare il predominio e il potere. Alcuni
studenti hanno dato vita a manifestazioni quando il controverso vice rettore è
ritornato improvvisamente al lavoro, dovendo poi affrontare un violento giro di
vite da parte della polizia e degli attivisti di destra. Nel corso di quella
giornata, venticinque studenti sono stati prelevati dal grande campus e mandati
in prigione insieme a due insegnanti. Finché il campus era pieno di personale
di polizia, le infrastrutture di base e i servizi come elettricità, cibo,
Internet e gli sportelli bancomat sono stati chiusi ed è stato impedito
l’accesso al campus alla stampa e alle consegne di cibo. Per un po’ è stata
come una fortezza chiusa.
Sia gli studenti
dalit che quelli musulmani sono stati presi di mira dalla polizia. Questo caso,
tuttavia, rispetto ad altre controversie sulla politica studentesca avvenute in
tutta l’India negli ultimi due mesi, ha incontrato una certa indifferenza da parte della stampa e della classe
politica. Lo scorso 29 marzo gli studenti e gli insegnanti sono stati
rilasciati a patto di presentarsi regolarmente in commissariato, come se
rimanessero indagati.
Il ritorno a un
ambiente di lavoro sereno rappresenta una sfida alla luce di queste eccezionali tensioni e interferenze esterne nell’ambito
della vita universitaria e governativa. Più in generale, oggi in India
quest’arresto ha sollevato nuove questioni circa il pregiudizio, la libertà di
parola e l’esclusione basata sulle caste all’interno degli istituti educativi.
Il nazionalismo
induista ha una lunga storia, ma negli ultimi due mesi si è assistito a una
campagna incessante per ottenere il controllo degli istituti di istruzione superiore.
Lo spazio per il dissenso nella più grande democrazia del mondo si è ridotto
notevolmente, con l’etichetta “anti-nazionale”
utilizzata regolarmente per condannare le proteste studentesche. Ciò è quanto
avvenuto anche all’Università di Jawaharlal Nehru a Nuova Delhi,
nonostante il suo ranking accademico superiore e il solido attivismo dei suoi
studenti, dopo che i leader studenteschi di sinistra avevano espresso critiche
nei confronti delle politiche indiane nel Kashmir. L’evento del 22 marzo
all’Università di Hyderabad presenta tuttavia un ulteriore elemento di
discriminazione basato sulle caste che si collega alla storia regionale del
nuovo Stato meridionale del Telangana che prima faceva parte dell’Andhra Pradesh.
Questa parte
dell’India ha una storia fatta di violenti massacri commessi dalle caste terrieretradizionalmente
dominanti, tra cui le uccisioni di sei dalit nel villaggio di Karamchedu nel
1985 e di altri nove dalit nel villaggio di Chunduru nel 1991 da parte delle
caste localmente dominanti. Molti di questi massacri sono stati eseguiti per “dare una lezione ai dalit” in modo che non osassero opporsi ai proprietari
terrieri locali.
La storia degli
atti di violenza nei confronti delle caste nell’allora Andhra Pradesh ha
fornito le basi per gli attivisti che si sono recati dall’Andhra Pradesh al
Sudafrica per partecipare alla Conferenza Mondiale contro il razzismo nel 2001.
Questi attivisti si sono impegnati perché la discriminazione basata sulle caste
fosse riconosciuta a livello internazionale come parte del problema del razzismo,
dell’intolleranza e della legge in materia di diritti umani. Invece, il governo
indiano ha rifiutato qualsiasi confronto di casta e di razza nel diritto
internazionale in materia di diritti umani al fine di evitare qualsiasi
controllo esterno della discriminazione di casta in India.
I villaggi e i
proprietari terrieri distano parecchio dall’importante Università in cui
studenti e insegnanti si dedicano alla lettura, all’insegnamento, alla
scrittura e ai continui dibattiti. Tuttavia, la violenta oppressione di queste
proteste studentesche ha ricordato nuovamente in maniera brutale ai dalit la
convenienza di rimanere in silenzio o, al contrario, le conseguenze inflitte
dai detentori del potere locale. La trasformazione di uno spazio universitario
in uno spazio di disordine politico segna inoltre un deterioramento significativo
della democrazia indiana.
Il fatto che la
politica prenda di mira gli istituti di istruzione superiore è diventato un
segno caratteristico del nazionalismo induista, ma con una così forte
applicazione del controllo politico su un campus è stato raggiunto un nuovo
stadio. Come si salveranno ora la democrazia indiana e il principio della
legalità alla luce delle crescenti rivalità?