Odio
razziale e religioso di stampo etno-suprematista misto a fascinazioni
nazifasciste e facile accesso alle armi. È la miscela esplosiva che
continua ad alimentare i mass shooting negli Stati uniti e non solo. Patrick Crusius afferma di essere
«un sostenitore della strage di Christchurch» in Nuova Zelanda.
Lo fa nel
suo delirante manifesto postato
poco prima di compiere la strage nel supermercato Walmart a El Paso in
Texas. L’autore della strage
di Christchurch, l’etnonazionalista australiano Brenton Tarrant, scriveva di essersi
ispirato a Luca Traini,
l’attentatore xenofobo che dalla sua auto sparò
all’impazzata sugli immigrati di colore di
Macerata. «Difendo il mio Paese dalla sostituzione etnica e culturale
portata da un’invasione», aggiunge Crusius nel suo allucinante manifesto.
Crusius e
Tarrant non sono soli. Prima di loro vi è stato il simpatizzante
dell’ultradestra antisemita Robert
Bowers, autore della strage nella sinagoga
di Pittsburgh; il giovane razzista e islamofobo Nikolas Cruz, della sparatoria
di Parkland in Florida; il giovane suprematista
neonazista Dylann Roof della
carneficina della chiesa degli
afroamericani di Charleston nel Sud Carolina. Solo per
ricordarne i più recenti.Un lungo elenco nel quale – non dovremmo mai
dimenticarlo – va annoverato anche il filonazista norvegese Anders Breivik che nel luglio del
2011 ha compiuto la strage con un fucile
semiautomatico regolarmente detenuto contro i giovani del
Partito laburista radunati nell’isola di Utoya. Dagli Stati uniti alla
Nuova Zelanda, dall’Italia alla Norvegia con un unico filo conduttore: l’odio xenofobo,
religioso e razzista. Ma con un’altra costante, troppo spesso
sottovalutata: gli autori
di queste stragi erano tutti in possesso di una regolare licenza per armi.
Così, mentre la propaganda politica razzista arma il cervello, il facile
accesso alle armi ne agevola l’esecuzione. Il mix è letale e ci riguarda da vicino. La “Relazione
sulla politica dell’informazione per la sicurezza“ inviata
al Parlamento italiano nel febbraio scorso indica un crescente «dinamismo della destra radicale»,
il cui «attivismo, di impronta marcatamente razzista e xenofoba, si è
accompagnato a una narrazione dagli accenti di forte intolleranza nei
confronti degli stranieri» (p. 100). Il terreno è pronto e, non serve
dirlo, è costantemente fertilizzato da espliciti messaggi di
stampo identitario lanciati dai leader della destra europea e italiana,
non ultimo il ministro degli Interni, Matteo Salvini.
Ma – si dice – da noi non è come negli Stati Uniti dove le armi si
possono comprare al supermercato. «Sulle armi, l’Italia ha le norme più
restrittive d’Europa», aggiunge la propaganda delle riviste patinate.
Chiunque abbia preso una licenza per armi sa che non è vero. A qualunque cittadino incensurato, esente da
malattie nervose e psichiche, non alcolista o tossicomane, è infatti
generalmente consentito di ottenere una licenza dopo aver superato un
breve esame di maneggio delle armi.
E non sono
poche. Il governo Conte, su
pressione della Lega e con il tacito consenso del Movimento Cinque
Stelle, l’estate scorsa è infatti riuscito, unico in Europa, a recepire in
senso estensivo la direttiva comunitaria che avrebbe dovuto restringere le
maglie sulle armi: il numero di «armi sportive» (tra cui i fucili
semiautomatici tipo Ak-47 o Ar-15, quelli cioè più usati nei mass shooting)
detenibili è stato
raddoppiato, portandolo da sei a dodici ed è stata
raddoppiata anche la capacità dei caricatori acquistabili senza denuncia
(da cinque a dieci colpi).
Un autentico regalo ai produttori di armi. Così oggi, con una semplice licenza per tiro
sportivo, per la caccia o per mera detenzione (nulla osta), è possibile
tenersi in casa tre pistole con caricatori fino a 20 colpi, dodici «armi
sportive» con caricatori da 10 colpi e un numero illimitato di fucili da
caccia. Un autentico arsenale. Secondo alcune stime, sarebbero più
di 700mila i fucili semiautomatici presenti
nelle case degli italiani. Tutti con regolare licenza, certo. Ma viene da
chiedersi a cosa possano servire, visto che le federazioni nazionali di
tiro sportivo affermano che i loro soci sono poco più di 100mila. Anche
includendo le associazioni locali e i poligoni privati non si arriva a 200mila
aderenti. Mancano all’appello
almeno 400mila possessori di armi con licenza
per «tiro sportivo». Per non parlare di molti altri,
probabilmente due milioni che,
pur continuando a possedere armi, da anni non rinnovano la licenza. Tutti
armati. Fino ai denti.
E la lobby delle armi si è organizzata. Le tre principali associazioni di settore
armiero (Anpam per
i produttori, AssoArmieri per
i commercianti e Conarmi per
gli artigiani) l’anno scorso hanno diramato un comunicato nel
quale invitano gli appassionati a tesserarsi a uno dei gruppi più
attivi nel difendere gli interessi dei legali detentori di armi: il Comitato D-477, oggi Unarmi. L’obiettivo
del gruppo, che fa parte della rete Firearms United con contatti diretti con la
National Rifle Association (NRA)
statunitense, è introdurre anche
in Italia una sorta di «diritto alle armi». Proprio come quello
in vigore negli Stati uniti. I cui effetti devastanti sono sotto gli occhi
di tutti.
(Analista
dell’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e Politiche di Sicurezza e
Difesa – OPAL) - Articolo pubblicato anche sul il
manifesto
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