Il linguaggio denso di disprezzo e di normalizzazione del disprezzo per i migranti a cui ci hanno abituato Salvini, Putin e Trump, accompagna la reintroduzione della schiavitù. Gli africani sono presentati innanzitutto come poveracci, abusivi, gente che violenta e ruba. Questa diffidenza non è episodica o superficiale, ma sistemica, serve appunto a rendere inaccessibili i diritti di cui gode la parte più ricca del mondo.
Nel diciottesimo secolo, mente l’Europa elaborava idee di stato e democrazia ancora alla base delle nostre istituzioni, la ricchezza di Inghilterra e Francia, all’avanguardia in tante sfere giuridiche e scientifiche, era in larga misura costruita sul commercio degli schiavi (una famiglia su cinque secondo Taroor era direttamente coinvolta nel trafficarli); anche per noi oggi la ricchezza è legata all’accettare che questi gruppi umani, senza diritti civili o sindacali, trafficati e ricattati dalla precarietà dei loro arrivi in Europa, sopravvissuti a naufragi e accatastati in centri di accoglienza e smistamento, siano semplicemente migranti.
La realtà, come Salvini e la Lega, così vicini agli interessi commerciali del Nord Est sanno bene, è che l’unica speranza di sopravvivere per l’Europa è legata a una massiccia importazione di mano d’opera. Per la grande crisi demografica (e gli europei non ricominceranno a far figli per mandarli in fabbrica) e soprattutto per i limiti del ricollocamento delle industrie in paesi dove la mano d’opera è più economica. Presto o tardi infatti quelle strutture divengono parte della ricchezza nazionale del paese che le ospita, come è oggi clamorosamente evidente con la Cina ma presto e inevitabilmente della Romania e degli altri paesi dove gli italiani hanno costruito strutture industriali.
Da un punto di vista strategico è chiaro che se l’Italia come gli Stati Uniti, la Germania, tutti gli altri paesi industriali dell’occidente, vorranno mantenere dei livelli alti di produzione della ricchezza, sarà importando mano d’opera. La ricchezza al tempo stesso crea diritti per chi ne ha accesso, e primo fra tutti il diritto al controllo della natalità, cui seguono il diritto alla salute, all’educazione dei figli, a consumi che dimostrino la promozione sociale che la ricchezza permette. Ecco perché non si fanno figli o se ne fanno pochi.
A questo punto l’ipocrisia di Salvini, Trump, Putin è evidente: non si è affatto contro l’immigrazione, che è una parola difficile ma non terribile come quella che nasconde al proprio interno: lo schiavismo basato sul razzismo. La mano d’opera viene regolarmente importata, basta vedere chi lavora nelle fabbriche, chi ripara le autostrade o pulisce i nostri uffici, chi lavora in fabbrica o costruisce le case. Ma deve essere una parte della società senza diritti. Le loro religioni, abitudini, lingue e culture devono apparire minori, primitive. Devono essere schiavi.
Questa non è una novità. Forse la soluzione che possiamo augurarci è che, come nel secondo secolo a Roma dove in una decina d’anni gli schiavi riuscivano a diventare cittadini, è che l’emancipazione di chi raggiunge l’Europa o l’America sia efficace e rapida. Per questo è così importante denunciare l’ipocrisia della retorica di Trump e Salvini, che è semplicemente la foglia di fico di chi vuole lo schiavismo. Chissà se Salvini lo sa o se, nell’allegria di spiagge e karaoke in cui ha passato l’estate e che sembra così simile a quella del ventenne che si dichiarava nullafacente, capire che non necessariamente quello che si dice è quello che si pensa è troppo difficile. Per gli interessi che attraverso lui si schermano è chiaro che della migrazione poco sa e poco gli importa, ma sul tenere gli africani in una condizione di minorità ha idee chiarissime.
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