Sono diventato adulto in una guerra. Quella della Bosnia. A partire dal
1993 ho vissuto per diversi anni nei campi dei rifugiati della ex Jugoslavia e
lì sono diventato, in larga misura, la persona che sono oggi. I miei amici sono
morti in quegli anni. Altri hanno perso le loro famiglie. La maggior parte di
loro è rimasta senza casa. Ho vissuto da vicino la disperazione di chi
ha perso tutto e l’angoscia personale ogni volta che bombardavano un quartiere,
distruggevano un edificio emblematico o entravano in un villaggio mettendolo a
ferro e fuoco.
In seguito, sono tornato altre volte nei luoghi dei conflitti, ma quella
prima e lunga esperienza ha segnato la mia vita e la mia percezione della
sofferenza delle guerre.
Ecco perché so che solo chi non li ha visti da vicino distingue tra i
morti. I social network sono particolarmente inclini all’odio e alla
disumanizzazione perché ti permettono di esprimere opinioni mentre guardi il
mondo dalla distanza del tuo sofà. Senza guardare le persone negli
occhi, senza sentire l’odore della vita né sporcarti con nulla. A
coloro che sentono l’odore della polvere da sparo e si riempiono le mani di
quella polvere, tutti i morti fanno male allo stesso modo.
Da lontano, le guerre sono una questione di geopolitica. Di fobie e del
loro opposto. Quando però ti risuonano nelle orecchie per un’esplosione vicina,
tutto questo scompare e la guerra è un orrore infinito.
Naturalmente, è ancora possibile distinguere le vittime dai loro
aggressori. Di più, in ogni conflitto inevitabilmente ci si schiera mentalmente
da una parte o dall’altra nella quale si crede di trovare ragioni convincenti.
Però i morti di questo non si rendono conto.
Molte persone, leggendo libri o guardando film e documentari
sull’Olocausto, pensano che qualcosa di simile alla discriminazione e al
successivo sterminio degli ebrei nella Germania nazista non potrebbe ripetersi
oggi. Solo chi non ha vissuto guerre come quelle in Bosnia, Ruanda, Iraq,
Afghanistan può pensarla in questo modo. La verità è che basta una scintilla
perché qualunque popolo si lanci nella pulizia etnica o nel genocidio. Nessun paese –
nemmeno il più civilizzato – è al sicuro dal virus della discriminazione o
dalla possibilità che si scateni la violenza. E quando entriamo nella
spirale della guerra, ogni massacro viene giustificato come risposta ad un
massacro precedente. Ciascuna parte ha una lista di rimostranze con
cui giustificare i propri massacri e le atrocità. A quel punto l’unica cosa
indiscutibile sono i morti e i mutilati. Le madri fatte a pezzi e i figli
perduti.
Solo un miserabile disumano può restare indifferente davanti all’annuncio o
alla visione di un bombardamento come quello che sta avvenendo su Gaza in
questi giorni. Perché un bambino ebreo piange proprio come un bambino
palestinese.
Rallegrarsi per una qualunque di queste morti è da psicopatici. Non è tuttavia
necessario arrivare a questo e chiunque può dimostrare la propria bassezza
senza doversi ammalare. L’indifferenza di fronte al dolore delle
persone che si attribuiscono a una certa parte è ciò che identifica in modo più
potente il peggio dell’umanità.
È spazzatura chi, commosso solo da certe morti civili, collabora a stragi o
torture, anche solo per omissione di coscienza.
Se sei inorridito dalle morti innocenti di un attacco terroristico in
qualsiasi parte del mondo, ma non sei altrettanto inorridito dalle fucilazioni,
dai bombardamenti o dalle torture fatte come rappresaglia, i casi sono due: o
l’odio ti sta rendendo cieco o sei una persona di merda. Anche se mostri
comprensione per quei crimini oppure ne discuti la necessità, stai diventando
un complice necessario e le tue mani si sono macchiate di sangue innocente.
Finché le bombe continueranno a cadere, ovunque accada, distruggendo
bambini, anziani e civili, chiunque lo giustifichi è un miserabile che disonora
il concetto stesso di umanità.
Joaquín Urías è docente di Diritto Costituzionale in Spagna ed ex
componente della Corte Costituzionale.
Fonte e versione originale in spagnolo: Ctxt
Traduzione per Comune-info: marco calabria
Nessun commento:
Posta un commento