Il Ministero Affari Esteri ha una rassegna stampa. Tutti immagineremmo che in essa siano inclusi gli articoli di politica internazionale presenti su vari giornali indipendentemente dalla loro collocazione politica. Se Borrel giustifica la censura dei media russi con l’incredibile affermazione di voler tutelare i cittadini, poveri sprovveduti, dalle fake news, concepire una tale giustificazione per la censura al Ministero degli Esteri appare paradossale. I diplomatici dovrebbero essere in grado di discernere la propaganda dalla verità e ascoltare pensieri e posizioni differenti senza timore alcuno. Ho fatto presente al più alto dirigente della Farnesina che mi sembrava strano la rassegna riproducesse tranne poche eccezioni soltanto gli interventi in grado di rafforzare la narrazione NATO e UE degli accadimenti odierni.
Pensavo di
trovare un interlocutore, che tra l’altro conosco da trent’anni, incline ad
accettare osservazioni che potevano migliorare un servizio offerto ai
dipendenti del Ministero. Purtroppo il collega si è molto risentito e ha
opposto un muro invalicabile.
I
diplomatici non hanno il diritto di leggere gli articoli riprodotti sulla
stampa di Mearsheimer o di Jacques Baud? Di Alberto Negri o di Tommaso di
Francesco? Del Generale Mini e del professore Orsini? La sottoscritta in
effetti è stata qualche volta inclusa nella mitica rassegna ma sempre di rado.
Mi dispiace per i giovani. Le migliori intelligenze e competenze entrano alla
Farnesina ma in un clima del genere imparano presto a ottundere il cervello e
il senso critico. Del resto ricordo che eravamo 28 giovani volontari
diplomatici, due donne e 26 uomini e seguivamo il primo anno come da prassi le
lezioni all’Istituto diplomatico. Nel dibattito che si aveva dopo le lezioni
c’erano di solito due gruppi. L’uno composto di giovani brillanti, curiosi e
pronti alla discussione dei temi di politica internazionale, gli altri
altrettanto brillanti per carità, ma silenziosi e perspicaci. Ascoltavano con
poco interesse, persino annoiati, discussioni che non li coinvolgevano affatto.
Avevano compreso che la carriera non aveva molto da condividere con la
profondità dell’esame delle relazioni internazionali.
Erano
naturalmente inclini a obbedire e ad assorbire le indicazioni superiori.
Indovinate chi ha fatto carriera dei due gruppi? Eppure non è stato sempre
così. Ricordo un grande Direttore Generale, Luigi Vittorio Ferraris, un
Ambasciatore purtroppo scomparso in grado di marcare con la sua personalità la
storia della Farnesina. Era uno studioso di relazioni internazionali, un fine
analista, scrittore di libri, conciliava accademia e carriera. L’ho conosciuto
personalmente e lo cito per primo. Vi potrebbero essere tanti altri esempi di
grandi diplomatici in grado di riconciliare il sapere, la serietà degli studi e
la carriera. Bisogna andare tuttavia indietro negli anni. Emerge come un
gigante Alberto Bradanini, Ambasciatore di grado, l’ultima sua sede Pechino, un
uomo colto e integro che con la sua usuale trasparenza e generosità è
intervenuto più volte in mio soccorso. Un altro grande diplomatico, Umberto
Vattani, già Segretario Generale, una personalità che ha influito grandemente
sulle vicende del Ministero, ha sempre messo cultura e intelligenza al servizio
della carriera diplomatica. E’ stato così aperto di vedute da presentare al
circolo degli esteri il mio ultimo romanzo “Un Insolito trio”, che è anche un
romanzo civile, di critica alla burocrazia del Ministero. E che dire di Sergio
Romano che si è dimesso arrivando allo scontro col potere politico, uno
storico, uno scrittore in grado di affermare che la NATO avrebbe dovuto
sciogliersi quando si è sciolto il patto di Varsavia? La sola ragione per cui è
rimasta in piedi è per dare lavoro a una burocrazia ingorda di privilegi e
capace di fabbricare un nemico nuovo da unire ai vecchi per poter far
sopravvivere un sistema obsoleto. Bene se guardiamo alla situazione in Europa
direi che le previsioni di Sergio Romano si sono avverate. La burocrazia della
NATO è viva e vegeta, il nemico la Russia inferocito e baldanzoso, la corsa
agli armamenti in una escalation senza limiti.
Il declino
della odierna diplomazia italiana va di pari passo con lo stato caotico delle
nostre relazioni internazionali. Sarà una coincidenza. E’ innegabile tuttavia
che lede alla nostra democrazia non avere un corpo diplomatico colto e
propositivo (tranne le solite eccezioni che non fanno la differenza), in grado
di interagire con la classe politica, temperandone cinismo e inesperienza, e di
perseguire gli interessi dello Stato, che si identificano con il bene comune
del Paese e non con il beneficio del potere politico contingente.
Il simpatico
Direttore della Repubblica Molinari scrive sul suo giornale che la guerra in
Ucraina difende l’architettura di sicurezza uscita dalla guerra fredda. Nessuno
lo contraddice. I diplomatici abbassano la testa e ogni giorno contribuiscono a
riscrivere la storia con rappresentazioni poco veritiere. L’architettura di
sicurezza uscita dalla guerra fredda è incarnata dall’OSCE, l’unica
Organizzazione nella quale la Russia sedeva con i suoi vicini allo stesso
tavolo con Usa, UE e membri NATO. La carta dell’OSCE sanciva l’indivisibilità
della sicurezza. Nessuna alleanza può aumentare la propria sicurezza a spese di
un altro Stato. La NATO ha contraddetto la carta OSCE. La guerra della NATO
alla Russia fino all’ultimo ucraino vi sembra dunque stia difendendo
l’Architettura di sicurezza Europea? L’invasore non è l’unico colpevole di una
guerra provocata e preparata dagli anglosassoni, come il norvegese Stoltenberg ha
affermato davanti al PE, addestrando l’esercito ucraino sin dal 2014.
I
diplomatici queste cose non possono non saperle. Temo che se il pensiero
critico sarà spazzato via, se l’adesione alla verità fabbricata e indicata dai
potenti di turno continuerà a diffondersi come avviene oggi, altre catastrofi e
lutti e distruzioni come quelle vissute nel secolo ventesimo avranno luogo. Il
sonno della ragione non è mai inoffensivo.
Il
Professore Fabbrini, che quando ero Ambasciatrice seguivo in modo particolare
perché eccellente esperto di Affari Europei, in un articolo in cui perora 4
cerchie di membri dell’UE, illustrando un rapporto franco-tedesco, scrive che è
evidente che bisogna continuare ad armare l’Ucraina contro l’imperialismo
russo. Caro professore, ma cosa c’è di così evidente in una strategia che ha
distrutto l’Ucraina e ha portato allo stallo militare sul campo? Mi può per
cortesia fornire le prove dell’imperialismo russo, paragonando le basi militari
russe all’estero a quelle statunitensi, comparando la potenza economica,
militare e culturale russa rispetto a quella NATO? Professore non mi deluda!
Lei è un fine analista di dinamiche europee come può non sapere che
l’accerchiamento NATO della Russia costituisce una minaccia alla sicurezza di
Mosca e questo ha spinto lo zar a una guerra preventiva, trasformatasi oggi,
nell’orrore degli ucraini, in una escalation che vede contrapposti NATO e
Russia. Gentile professore, lei ha nipoti? Ogni qualvolta afferma che è
evidente e inevitabile una politica bellicistica non sa di mettere a
repentaglio la vita delle generazioni più giovani? Lei che è un esperto di
Affari Europei come può non vedere che il primo e principale scopo della
costruzione UE, la pace, sia continuamente rinnegato?
Lasciamo
rispondere i diplomatici abituati al pensiero unico della rassegna stampa.
N.d.R.:
L’articolo è una versione estesa di quello uscito sul cartaceo de “Il Fatto
Quotidiano”.
Nessun commento:
Posta un commento