Inattuale è innanzitutto quella parola che si rivolge a un
pubblico che in nessun caso potrà riceverla. Ma proprio questo definisce il suo
rango. Se un libro che si rivolge solo ai suoi lettori deputati è poco
interessante e non sopravvive al pubblico cui era diretto, il prezzo di
un’opera si misura invece proprio dalla temerarietà con cui interpella coloro
che non potranno accettarla. Profezia è il nome di questa speciale temerarietà,
destinata a restare inaudita e illeggibile. Ciò non significa che essa conti di
essere un giorno – per ora lontano – riconosciuta: un’opera resta viva solo
finché vi sono lettori che non possono accettarla. La canonizzazione, che rende
obbligatoria la sua accettazione, è infatti la forma per eccellenza del suo
deperimento. Solo in quanto mantiene nel tempo una parte di inattualità l’opera
può trovare i suoi autentici lettori, cioè quelli che dovranno scontare
l’indifferenza o l’avversione degli altri.
L’arte della scrittura non consiste perciò soltanto, com’è stato suggerito, nel
dissimulare o lasciare non dette le verità a cui si tiene maggiormente, quanto
innanzitutto nella capacità di selezionare il pubblico che non vorrà riceverle.
Va da sé che questa selezione non è il frutto di un calcolo o di un progetto,
ma solo di una lingua che non concede nulla all’attualità – cioè alle regole
che definiscono ciò che si può dire e il modo in cui dirlo. Che sia limpida e
ferma – o, come spesso avviene, oscura e balbettante – profetica è in ogni caso
quella parola, la cui efficacia è precisamente funzione del suo restare
inascoltata.
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