Quanti
cittadini come la sottoscritta rimangono terrorizzati dalla lettura giornaliera
della stampa? Le tesi riportate in tanti editoriali e commenti di politica
estera sarebbero esilaranti se non fossero tragiche per i destini della
politica e per le classi dirigenti del nostro Paese. I migliori diplomatici,
guarda caso accreditati per anni a Washington o preso l’Ue, scendono in campo
per spiegare ai comuni mortali che il governo ha vinto ormai la scommessa
contro i denigratori. Avrebbe riportato l’Italia al centro della politica
internazionale.
E come si
sarebbe realizzata un’impresa difficile persino per Moro, Andreotti e Craxi?
Mantenendo la barra alta: l’atlantismo e l’europeismo avrebbero salvato il
governo italiano. Lodi e medaglie quindi alla presidente del Consiglio per aver
rinnegato il programma di leader sovranista in Europa e di sostenitrice di
Trump con il quale (che dettaglio irrilevante!) era stata eletta. Quindi è
facile governare un Paese come l’Italia. Basta obbedire alle indicazioni di
Washington. Oppure di Bruxelles. Riempire di armi l’Ucraina appoggiando la
narrativa più menzognera del secolo: la resistenza del popolo ucraino per la
libertà e la democrazia. Basta uscire da accordi con i cattivi del mondo, in
questo caso la Cina, indipendentemente dagli interessi nazionali. Basta
ingoiare in Europa una governance monetaria contraria ai
nostri interessi economici e una strategia sull’immigrazione che finge di
individuare soluzioni con slogan senza sostanza, lasciando il carico dei flussi
migratori sui Paesi di primo ingresso. Basta entrare nelle grazie del
Presidente statunitense, il cui stato di salute mentale è di pubblico dominio,
dargli la mano guardandolo negli occhi, essere ammessa tra i bravi scolari nel
G7. Si diviene così una statista. Basta tenere stretta la manina della von der
Leyen (passerà alla storia come una emanazione statunitense che ha dato il
colpo mortale ai progetti minimi di autonomia e dignità dell’Ue), andare a
Tunisi in gita e le fotografie con Ursula rappresenteranno un’entrata di
successo nel Club.
Povera
Europa! Col nazionalismo guerrafondaio e la costruzione di ghetti, fili spinati
e campi di detenzione in Paesi che non brillano per democrazia, ha rinnegato,
sotto lo sguardo indifferente di politici, giornalisti e intellettuali
progressisti, i valori per i quali era stata fondata! Mi ha fatto sorridere
l’articolo di un diplomatico che, menzionando il Piano Mattei strombazzato
sulla stampa e illustrato a Washington come a Parigi, ha aggiunto “i cui
contenuti saranno resi noti a breve”. Le migliori penne si congratulano con il
governo per un piano di cui non conoscono nulla, a parte il nome di Mattei,
colui che mantenne la schiena diritta di fronte alle pressioni dei potenti,
tanto da pagarne con la vita.
Vorrei
ricordare cosa significhi avere una politica estera ai tanti diplomatici che,
anche in pensione, continuano a esercitare il ruolo poco dignitoso di difensori
del potere costituito, alimentando narrazioni incomprensibili a persone di
media intelligenza e cultura. La Turchia ha una politica estera. È un membro
rispettato della Nato. Persegue i propri interessi geo-politici, è divenuta un
mediatore credibile nella guerra in Ucraina e si è conquistata un ruolo di
autonomia nel Mediterraneo e nel Caucaso con la diplomazia e l’utilizzo
spregiudicato della forza. Erdogan è un autocrate, condannabile per molti
aspetti. Prendiamo l’esempio di una democrazia molto ossequiata nel Club
europeo. “Brinkmanship” il termine inglese che allude a un negoziato
assertivo, in grado di includere il rischio, fu utilizzato da un ex primo
ministro socialdemocratico svedese col quale mi intrattenevo in una
conversazione privata quando ero ambasciatrice a Stoccolma. Gli illustravo le
posizioni italiane che da anni chiedono un’Ue meno asimmetrica, con una
governance monetaria in grado di completare l’Unione monetaria con una Unione
bancaria, una fiscalità comune, politiche che non drenino risorse dai debitori
ai creditori. La risposta fu una domanda con un sorriso: “Come mai un Paese
fondatore dell’Ue è così ininfluente? La Svezia, Paese piccolo e non fondatore,
quando vi sono in gioco interessi nazionali, sa farli rispettare”.
C’è un modo
di stare nell’alleanza euro-atlantica autorevole e dignitoso. Non si è bravi
quando ci si genuflette. Non è questa l’unica competenza richiesta a un capo di
governo. I nostri giornalisti e diplomatici, se non lavorano per il
dipartimento di Stato Usa e per la burocrazia brussellese e hanno a cuore gli
interessi nazionali, dovrebbero saperlo. Naturalmente la Svezia non agisce da
sola ma nell’ambito di alleanze con i Paesi creditori nordici. Noi dovremmo
essere al centro di una politica mediterranea per perseguire mediazioni in
Europa e nella Nato al più alto denominatore comune.
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