a cura di Riccardo Ongaro
Mentre l’imminente verdetto sull’estradizione verso la tana del lupo a
stelle e strisce tiene gli attivisti di tutto il mondo con il fiato sospeso, un
minuto e pacato signore è fiducioso sul futuro di Julian Assange. Il suo nome
è John Shipton e, tra le meraviglie che la vita gli avesse mai
potuto concedere, forse la più straordinaria è stata quella di regalare – e
regalarci – il giornalista australiano. Con le unghie e con i denti, il padre
di Julian Assange si è da sempre schierato in prima linea per difendere la
causa del figlio. Tuttavia, sono ancora troppi gli interrogativi ai quali la
giustizia non sa rispondere. Abbiamo raggiunto telefonicamente John Shipton,
che dall’Australia ci ha offerto uno sguardo privilegiato sulla situazione
attuale di Julian, sui progressi nella battaglia legale e sul sostegno globale
che il caso ha ricevuto. In un’era in cui la trasparenza è messa sempre più in
discussione, la sua voce ci ricorda che la ricerca della verità è una
responsabilità di tutti noi.
Puoi leggere anche la versione inglese qui.
* * * *
Come sta Julian?
In una forma o in un’altra, Julian sta entrando nel quindicesimo anno di
detenzione, quindi non molto bene. E sembra che sia molto vicino
all’estradizione negli Stati Uniti, il che peggiora le cose.
Quando è stata l’ultima volta che l’ha visto?
Lo scorso ottobre. Tornerò questo ottobre per salutarlo. Tuttavia credo sia
meglio che sia Stella a fargli visita, insieme ai bambini.
Per organizzare quest’intervista abbiamo condiviso le e-mail attraverso un
servizio di crittografia per la posta elettronica. È stato Julian a
consigliarne l’utilizzo?
Sì, me lo ha consigliato lui. Julian crittografa tutte le sue
comunicazioni. È meglio farlo perché, per un motivo o per un altro, 10, 15 anni
fa, la trasparenza per noi significava vedere cosa i governi e le corporazioni
stessero facendo. Adesso la trasparenza si è capovolta ed i governi vogliono
vedere tutto ciò che noi facciamo. Questo è sbagliato, capisci?
Nel suo documentario Ithaka e nelle interviste la si
vede sempre con un’attitudine positiva e il sorriso stampato sulle labbra. Come
fa a sopportare tutto ciò ed avere quest’incredibile energia?
Io credo che in ogni cuore umano ci sia una fame di giustizia e una
repulsione di fronte all’ingiustizia. La trovo una cosa molto incoraggiante che
si è dimostrata essere vera, dal momento che il sostegno a mio figlio è
cresciuto in tutto il mondo in misura straordinaria. Ora un terzo del
parlamento in Grecia e il 45% del parlamento in Australia sostiene Julian, come
anche i presidenti. Tutti i presidenti dei principali Paesi dell’America Latina
e ogni Parlamento europeo, l’Italia in particolare, hanno un “gruppo Assange”.
Milioni di persone in tutto il mondo. La mia sensazione è corretta, le persone
hanno fame di giustizia. E questo sì, solleva gli animi e li mantiene alti.
Nel documentario lei afferma che «l’Italia ha una grande varietà di punti
di vista e si interessa davvero al caso», cosa intende con questo?
In Italia ci sono molti gruppi attivi, dalla frontiera con la Svizzera fin
giù a Palermo. Potrei dire che i senatori in Italia sono stati i primi a
portare dinanzi al Consiglio d’Europa il tema della persecuzione di Julian
Assange. E, a seguito delle attività dei senatori italiani, il Consiglio
d’Europa ha emesso una dichiarazione (o meglio, due dichiarazioni) di sostegno
a mio figlio. Questo è davvero importante. È un’azione iniziata tre anni fa e
quella dichiarazione di sostegno è stata ripetuta nuovamente due anni fa.
Cosa sta succedendo all’interno del Parlamento e della comunità
australiana? Anche in relazione alle dichiarazioni di Caroline Kennedy al Sydney Morning Herald,
che atmosfera si respira?
Qui l’88% della popolazione chiede che Julian faccia ritorno a casa.
Cinquanta parlamentari fanno parte del “gruppo Assange” e altri cento membri
del Parlamento hanno chiesto che mio figlio sia rilasciato. Una delegazione di
parlamentari e senatori partirà per gli Stati Uniti il 20 settembre, per
chiedere al governo di permettere a Julian di tornare in Australia. Il primo
ministro e i leader dell’opposizione hanno entrambe rilasciato dichiarazioni a
sostegno di Julian. Si può dire che l’intero sistema politico dell’Australia,
persone, parlamentari e istituzioni, desidera che Julian torni in Australia e
che la persecuzione abbia fine.
Quindi, cosa succederà a breve? È l’ultima possibilità per Julian con la
Corte britannica, qual è il piano? Chiederete l’aiuto della CEDU (Corte europea
dei diritti dell’uomo)?
L’ultima notizia che ho sentito è che Julian ha fatto richiesta presso
l’Alta Corte del Regno Unito per un’udienza, una revisione della sua
situazione. L’Alta Corte non si è ancora pronunciata in merito. Per quanto
riguarda l’appello alla Corte europea dei diritti dell’uomo, questo non può
procedere finché tutte le altre vie non sono state esaurite. Quindi, se l’Alta
Corte dovesse rifiutare l’udienza, allora Julian potrebbe fare richiesta alla
CEDU, e sono certo che lo farà. Qualche giorno fa ho letto sui giornali che il
Regno Unito starebbe valutando di non permettere a Julian di viaggiare fino a
Bruxelles per presentare l’appello. Non so se sia vero o meno, ma sarebbe
scandaloso se il Regno Unito impedisse o cercasse di impedire a Julian di
appellarsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. O meglio, sarebbe un altro
scandalo.
Cosa direbbe alla signora Clinton, che alcuni anni fa, in merito al caso
Assange, dichiarò a un giornalista che chiunque deve pagare le conseguenze
delle proprie azioni?
Hillary Clinton organizzò la distruzione della Libia, partecipò alla
distruzione dell’Iraq e anche alla distruzione del Pakistan. Però nessuno
presta attenzione a un’assassina intrisa di sangue come lei: non è più una
figura significativa nel mondo e il popolo degli Stati Uniti, quando lei si
candidò alla presidenza, la respinse.
Come sta affrontando Julian tutta questa situazione, le notizie e ciò che
si dice su di lui?
Le calunnie e il linciaggio mediatico che Julian ha subito, la malizia e
gli scandali spietati, le bugie, sono molto debilitanti. Il relatore delle
Nazioni Unite per la tortura e le pene inusuali, il Professor Melzer, ha descritto
le calunnie, il linciaggio, le bugie, gli scandali spietati, la malizia, il
crollo del giusto processo, la degradazione dei diritti umani di Julian come
una tortura, tortura psicologica. E andò oltre, spiegandoci che tutta la
tortura, fisica o mentale, non mira solo a farti male a un dito, ma a cambiare
la tua mente, affinché tu riveli qualcosa o cambi idea. Teniamo presente che il
trattamento di Julian è stato dichiarato tortura psicologica nelle 26 pagine di
valutazione finale di Melzer, poi presentate all’Assemblea Generale delle
Nazioni Unite, dove è stata accolta. Lui lo descrive come “Un omicidio al
rallentatore sotto i nostri occhi”. Non potrei dire con maggiore fermezza di
così che abbiamo assistito e stiamo assistendo a una persecuzione maliziosa da
parte del Regno Unito, degli Stati Uniti e in precedenza della Svezia, che
cercano di uccidere qualcuno attraverso la violazione dei suoi diritti umani e
l’abbandono di un giusto processo.
Cosa dice a Gabriel e Max, i figli di Julian, quando chiedono del loro
padre?
Dico solo qualcosa di sciocco, per distrarre la loro attenzione: “Oh
guarda, c’è un bel gattino”, “Chi è il primo a vedere un grosso cane nero?”.
Non rispondo, sposto soltanto l’attenzione, in qualche modo, su qualcosa di
piacevole.
Sono consapevoli della situazione?
Sono piccoli. Quindi questo è ciò a cui sono abituati. Ma sentono la
mancanza del loro padre. È bello avere un padre.
Signor Shipton, cosa è successo il giorno in cui Julian, nella vostra
cucina, le parlò di WikiLeaks e delle sue attività?
Ascoltai, semplicemente. Aveva quest’idea fantastica secondo la quale,
tenendo in sicurezza le fonti, pubblicava le informazioni in modo che chiunque
al mondo potesse accedervi e farvi le proprie analisi e, conseguentemente,
aiutare a diffondere la conoscenza.
Cosa direbbe a tutte le persone che, dopo aver letto questa intervista,
torneranno alla loro vita, ai loro figli e alle faccende quotidiane?
Questa è davvero una buona domanda. Il motivo per cui censurano quello che
diciamo e quello che possiamo leggere è perché capiscono l’importanza della
parola. Quindi tutto ciò che dobbiamo fare è parlare tra di noi di argomenti
sui quali non abbiamo ancora scambiato idee e, di conseguenza, costruire la
verità. Questo è tutto quello che dobbiamo fare. Dalla verità verrà poi
l’azione. Non è difficile.
Non mi sento di aggiungere altro. Grazie mille.
Vorrei soltanto lasciarci con questo… l’ultima riga dell’Inferno di Dante:
“E quindi uscimmo a riveder le stelle”.
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