C’è un giudice a Reggio Calabria. La Corte d’appello reggina ha assolto
Mimmo Lucano (e, con lui, i suoi collaboratori di Riace) da tutte le
accuse contestate, salvo la (ritenuta) falsa attestazione di un
controllo in realtà non intervenuto su alcune spese in vista della
liquidazione del contributo prefettizio (rischio del mestiere
per ogni sindaco e, comunque, peccato veniale sanzionato con
una pena di un anno e sei mesi di reclusione coperta da sospensione
condizionale e in attesa del definitivo giudizio della Cassazione). E
lo ha fatto con la formula più ampia: perché il fatto non sussiste. Detto
in altri termini: la serie impressionante di delitti (associazione a
delinquere, abuso d’ufficio, truffa in danno dello Stato, peculato, falsità
ideologica, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e chi più ne ha più
ne metta) per i quali Lucano era stato condannato dal Tribunale di Locri a 13
anni e 2 mesi di reclusione (e i suoi coimputati a pene elevatissime)
semplicemente non esiste. Si conclude così dopo cinque anni (salvo un
probabile seguito in Cassazione) la vicenda iniziata, il 2 ottobre 2018,
con il clamoroso arresto di Lucano: un incubo per lui e per tutta l’Italia per
bene stretta intorno a Riace, una storia esemplare per il Paese.
Su queste pagine abbiamo commentato l’arresto dell’allora sindaco di
Riace, il giorno stesso, parlando di “un mondo al contrario” (https://volerelaluna.it/commenti/2018/10/02/larresto-di-mimmo-lucano-il-mondo-al-contrario/) e, l’indomani della
condanna in primo grado, abbiamo titolato, lapidariamente, “non è
giustizia” (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/10/01/non-e-giustizia/). Potremmo, oggi,
fermarci qui, richiamando quanto scritto allora e in tante altre
occasioni in questi cinque anni, aggiungendo che avevamo ragione (come non
abbiamo mai dubitato), che il processo di criminalizzazione mediatica e
giudiziaria di Mimmo (come tutti abbiamo imparato a chiamarlo) è stato indegno,
che adesso in molti dovrebbero chiedere scusa (anche se siamo certi
che non lo faranno). Ma non sarebbe giusto: non per Mimmo e non per chi ne ha
sostenuto le ragioni. E, dunque, provo a ripercorrere sinteticamente
i passaggi fondamentali della vicenda (anche riprendendo cose già dette) e a
fare alcune ulteriori puntualizzazioni.
1. L’iter del processo a carico di Mimmo è stato senza precedenti (o quasi) e
dovrebbe essere studiato nella Scuola della magistratura come esempio
negativo e da non seguire. Il suo riferimento non può che essere Il
processo di Franz Kafka, cioè la storia di un uomo (Josef K.),
arrestato e perseguito dall’autorità senza che sia dato sapere per che
cosa. Non è un’esagerazione. Mimmo Lucano è stato arrestato per due reati
minori (concernenti l’affidamento del servizio raccolta rifiuti di Riace e il
tentativo di favorire l’ingresso in Italia di un cittadino etiope organizzando
un falso matrimonio). Il giudice per le indagini preliminari ha, infatti,
ritenuto insussistenti tutti i più gravi reati contestati dal pubblico
ministero e, tuttavia, lo ha sottoposto agli arresti domiciliari evocando il
rischio, ictu oculi inesistente a processo iniziato, di
commissione di nuovi delitti collegati al ruolo di sindaco e affermando, contro
ogni evidenza, che può «tranquillamente escludersi», in caso di condanna, la
concessione della sospensione condizionale della pena. Gli arresti domiciliari,
come prevedibile, sono stati revocati in sede di riesame. Ma, intanto, Lucano
vi è stato sottoposto per quindici giorni e nei suoi confronti è intervenuta,
in conseguenza dell’arresto, la sospensione dall’incarico di sindaco (con le
evidenti conseguenze sull’andamento del progetto Riace). Non solo, ma gli
arresti domiciliari sono stati sostituiti con il divieto di dimora a Riace. Se
possibile, una misura ancora peggiore, pur se formalmente meno afflittiva, che
ha separato Mimmo dalla sua comunità, come se la sua presenza fosse un
pericolo per Riace. Dopo cinque mesi, la Cassazione ha annullato la
misura cautelare, demolendo in toto l’impianto accusatorio, ma
incomprensibilmente lo ha fatto con rinvio, cioè restituendo gli atti al primo
giudice per un nuovo esame alla luce dei principi di diritto affermati.
Nonostante ciò, il giudice per le indagini preliminari di Locri ha
respinto la richiesta di revoca della misura e, successivamente, il tribunale
della libertà di Reggio Calabria, in sede di giudizio di rinvio, l’ha
confermata, in un crescendo privo di ogni logica. Poi, la sentenza 30
settembre 2021 del Tribunale di Locri (904 pagine che cercano, vanamente,
di occultare la mancanza di rigore argomentativo con un’inutile e dispersiva
lunghezza e con un collage di intercettazioni telefoniche e
ambientali in gran parte irrilevanti). Con essa Lucano è stato ritenuto colpevole
di tutti i delitti contestatigli e condannato a una pena spropositata,
superiore persino a quella (già enorme) richiesta dal pubblico
ministero. Ma non c’è solo l’entità della pena. La sentenza ha,
infatti, sostenuto che Lucano aveva costituito, con i suoi più stretti
collaboratori, un’associazione «allo scopo di commettere un numero
indeterminato di delitti (contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica
e il patrimonio)» orientando i progetti di accoglienza finanziati dallo Stato
«verso il soddisfacimento di indebiti e illeciti interessi patrimoniali
privati». È questa la chiave di volta dell’intera vicenda giudiziaria. In essa
l’imputato, a ben guardare, non è Mimmo Lucano ma il modello Riace, trasformato
da sistema di salvataggio e accoglienza in organizzazione criminale. È,
appunto, il mondo all’incontrario in cui la solidarietà e l’umanità sono degli
optional e il modello è l’ottusità burocratica: l’importante non è accogliere,
inserire, dare dignità alle persone ma avere i registri formalmente in regola.
E tutto questo accompagnato da una sequela di giudizi morali impropri e
indebiti fino a qualificare l’esperienza di accoglienza di Riace come un
sordido caso di «logica predatoria» in cui le risorse erogate dallo
Stato per i migranti sono state «asservite agli appetiti di natura
personale, spesso declinati in chiave politica» di un sindaco criminale e
dei suoi complici. Con quella che Luigi Ferrajoli ha efficacemente definito una
petizione di principio propria della logica inquisitoria: la mancanza di prove
dell’arricchimento di Lucano dipende dalla «sua furbizia, travestita da
falsa innocenza» e attestata dalla sua casa «volutamente lasciata in
umili condizioni per mascherare in modo più convincente l’attività illecita posta
in essere» (sic!).
2. Non c’è solo l’aspetto strettamente giudiziario. Quello a carico di Lucano
è stato il più classico dei processi a mezzo stampa. Ha cominciato il
Procuratore della Repubblica di Locri in persona, con una intervista rilasciata
subito dopo l’ordinanza del giudice per le indagine preliminari che
ridimensionava drasticamente l’impostazione accusatoria. In essa si legge, tra
l’altro: «Mimmo Lucano? Ha operato non come sindaco, rappresentando i cittadini
nel rispetto delle regole, ma come un monarca, ammettendo di fregarsene di
quelle regole che sono una garanzia per tutti. Abbiamo un’idea fondata che
siano stati commessi reati ben più gravi, tra cui la sottrazione di somme che
lo Stato aveva erogato per quel progetto, almeno 2 milioni. Quei soldi non sono
stati rendicontati, sono spariti. Riteniamo che Lucano li abbia utilizzati per
fini personali». Smentito dal giudice, il pubblico ministero, forte del suo
ruolo istituzionale, ha usato la stampa e si è rivolto direttamente
all’opinione pubblica per riaffermare e definire fondate (bontà
sua) le accuse che, nella sede propria, erano state ritenute inadeguate e prive
di riscontri probatori. E – quel che è peggio – al pubblico ministero si è
accodata acriticamente la totalità (o quasi) della stampa. Ovviamente quella di
destra, che ha cavalcato entusiasticamente – e aggiungendoci del suo – la
versione colpevolista, ma anche quella sedicente indipendente e progressista.
Bastano alcune citazioni: «Nessun imbroglio, però regole violate. Questo è
un punto fermo, un punto intorno al quale non ci sono spazi per discutere né
piccoli né grandi. E non si può un giorno osannare la magistratura quando ha
nel mirino Salvini e il giorno dopo demonizzarla quando il bersaglio è un
personaggio come Lucano» (A. Bolzoni, Il sindaco e i confini della
legge, La Repubblica, 3 ottobre); «C’è qualcosa di commovente
in Mimmo Lucano, sindaco di Riace, che imbroglia le carte per salvare una
prostituta nigeriana e offrirle un domani. Ma se, come diceva Lucano, l’idea
personale di giustizia superasse l’idea collettiva di legge, avremmo sessanta
milioni di codici penali in più e una democrazia in meno» (M. Feltri, L’errore
di Antigone, La Stampa, 4 ottobre); «L’idea di fondo che ha
mosso Lucano è molto difficile da contestare in buona fede. La strada assai
vitale imboccata dal sindaco di Riace, però, sembra virare a un certo punto
verso un’altra direzione, creando nel tempo una specie di repubblica autonoma
sulle montagne calabresi. Del sindaco le carte mostrano, accanto a un grado
quasi insostenibile di naïveté, una disinvoltura amministrativa
spinta ben al di là dei fardelli penali. Il gip ha scagionato da altre e più
gravi accuse (concussione, associazione per delinquere, truffa) il sindaco con
parole che però ne velerebbero il profilo di amministratore quand’anche nelle
prossime ore fosse revocata o alleggerita la misura cautelare» (G.
Buccini, La triste storia di Riace che rende tutti più deboli, Corriere
della Sera, 4 ottobre); «Domenico Lucano è un fuorilegge onesto. Ma ha
violato la legge sull’immigrazione. E i magistrati non solo potevano, ma
dovevano far rispettare la legge: guai se qualcuno, tanto più se è il primo
cittadino, fosse autorizzato a calpestarle» (M. Travaglio, I gonzi di
Riace, Il Fatto Quotidiano, 3 ottobre). Nessuna cittadinanza
per il beneficio del dubbio: la regola è la presunzione di colpevolezza.
3. Oggi, anche in sede giudiziaria è riconosciuto quel che a occhi
non prevenuti era chiaro fin dall’inizio. Mimmo Lucano non è un “fuorilegge”,
seppur “onesto”. È, semplicemente, un sindaco onesto che,
nell’organizzare l’accoglienza dei migranti a Riace, ha fatto quello che
dovrebbero fare tutti gli amministratori, ribellandosi ai clamorosi
ritardi e alle continue inadempienze dell’Amministrazione dell’interno. Lo ha
fatto con numerose e ripetute forzature amministrative: alla luce del sole e
rivendicandolo in mille interventi e interviste. Può avere, a volte,
sbagliato, ma cosa c’entra questo con un processo penale per associazione a
delinquere concluso, in primo grado, con un condanna a oltre 13 anni di
carcere? La mancanza di risposte a questa domanda ne introduce un’altra. Perché
tutto questo? La risposta è, in realtà, agevole. Riace è stata, nel
panorama nazionale, un unicum. Altri paesi e altre città hanno
accolto migranti, anche in misura maggiore e con risultati altrettanto
positivi. Ma Riace non si è limitata ad accogliere e a integrare. L’accoglienza
è diventata il cuore di un progetto comprensivo di molti elementi profondamente
innovativi: la pratica di una solidarietà gratuita, l’impegno
concreto contro la ‘ndrangheta, un modo di gestire le istituzioni
vicino alle persone e da esse compreso, il rilancio di uno dei tanti luoghi
destinati all’abbandono e a un declino inarrestabile. Incredibilmente, quel
progetto, pur tra molte difficoltà, è riuscito. La forza di Riace è stata la
sua anomalia. La capacità di rompere con gli schemi formali e le
ottusità burocratiche. Il trovare soluzioni ai problemi delle persone anche
nella latitanza o nel boicottaggio di altre istituzioni. Tutto questo non
poteva essere tollerato nell’Italia dei predicatori di odio, degli sprechi,
della corruzione, dell’arrivismo politico, della convivenza con
le mafie, dell’egoismo localistico, del rifiuto del diverso. Da qui la reazione
dell’establishment, le ispezioni, il taglio dei fondi, la
delegittimazione di Lucano e l’invocazione (a sproposito) della legalità. E,
poi, l’arresto di Lucano, il processo e la condanna di primo grado (elementi
tutti che dimostrano, se ancora ce n’era bisogno, la diffusa tendenza
dei magistrati ad allinearsi alle politiche d’ordine).
4. Questa volta, peraltro, il disegno normalizzatore, pur provocando danni e
sofferenze personali incalcolabili, non è arrivato a compimento. Grazie
all’impegno e alle critiche di chi non si è arreso e anche, infine, alla serenità di
valutazione della Corte d’appello di Reggio Calabria. Nel darne atto,
credo che meritino di essere sinteticamente segnalati due dati, su cui
bisognerà tornare in futuro. Il primo è l’atteggiamento tenuto, in questi
lunghi anni, da Mimmo Lucano. A differenza dei potenti che ci
governano, Mimmo non ha mai delegittimato i suoi giudici e si è
sempre difeso nel processo e non dal processo.
E così hanno fatto coloro che lo hanno sostenuto (tra i quali orgogliosamente
ci collochiamo): criticando i provvedimenti e le sentenze ritenute ingiuste con
grande durezza ma con la forza degli argomenti e non con insulti e attacchi
personali. Non è una cosa di poco conto. Il secondo dato
riguarda il futuro. La persecuzione amministrativa e giudiziaria ha fiaccato l’esperienza
di Riace. Ma, grazie all’impegno e all’ostinazione di Mimmo Lucano e di chi gli
è stato a fianco, non l’ha travolta. Riace ha resistito (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2023/08/16/riace-resiste/). Da domani sta a noi
costruire un grande rilancio e una nuova vita.
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