in un villaggio (e in una zona) della Nigeria la vita va come sempre a memoria umana, una vita di tradizioni, usanze, economia di sussistenza, la prima parte del romanzo racconta la storia di queste persone e di questo villaggio, non è un paradiso, ma ha le sue regole, che piacciano o no, che funzionano e che danno una stabilità a quelle persone.
a volte le regole sono crudeli, ma così va il mondo, più che i diritti umani (come li intendiamo nei paesi occidentali) contano le regole che fanno funzionare la vita di quel popolo (per esempio si può leggere Il codice della vendetta barbaricina, di Antonio Pigliaru).
e ci sono amore, convivenza, comunità, è un mondo come tanti, dappertutto.
e poi arrivano i maledetti, con la croce e il fucile, si installano, cominciano a seminare le loro erbacce velenose, sono gli occupanti che portano i loro (dis)valori, il loro sistema giudiziario, il loro esercito, il capitalismo.
un libro (primo di una trilogia) che racconta una storia di quello che è successo, a Umofia, con lo sguardo delle vittime, scritta benissimo.
se non lo leggi non sai cosa ti perdi.
…Chinua Achebe ha uno stile fluido e
pulito. Difficile non divorare il libro. Le descrizioni di personaggi e luoghi
sono essenziali, ma tanto bastano a inquadrarli. Ciò che colpisce è l’elevato
utilizzo di proverbi, che aiutano a connotare i tratti culturali del clan. Achebe
inserisce parecchi termini in lingua igbo che non possono essere tradotti, in
quanto non veicolano concetti presenti anche nella cultura europea.
Si tratta, pertanto, di un romanzo allo
stesso tempo semplice e raffinato, considerato dalla critica una delle opere di
spicco della letteratura africana.
…Il successo di questo romanzo si deve a molti fattori.
Innanzitutto il protagonista, Okonkwo: uomo tenace, determinato, aggressivo, ma
non corrispondente allo stereotipo comune dell’eroe; per nulla affabile, anzi
scorbutico e scontroso. Il lettore ne segue l’ascesa.
Secondariamente l’ambientazione: siamo a Umofia,
paese igbo immaginario sulla sponda orientale del fiume Niger. Il lettore è
immerso negli usi e costumi degli igbo, tanto distanti (e perduti?) quanto
ammalianti e suggestivi. Anche in questo caso l’armonia locale subisce un
brusco cambiamento con l’arrivo dei primi missionari britannici.
Terzo elemento di interesse è composto dalla
lingua del romanzo di Achebe: la voce narrante onnisciente è alla terza persona
e utilizza un ricchissimo repertorio di proverbi ed espressioni in igbo (non
tradotti neppure nella versione in lingua originale inglese), di cui si rimanda
a un glossario in appendice. Ciò rende la narrazione veritiera, con un
fortissimo richiamo alla tradizione locale…
Affascinante spaccato di una cultura altra; amara e disperata
constatazione della fine della stessa. Un Cuore di tenebra scritto dalla parte
dei colonizzati? Di certo l'epica parabola percorsa dal protagonista, bello
nella sua austerità e nella sua imponente dignità - quasi una maschera scolpita
nell'ebano - parla a noi occidentali moderni di un'umanità diversa e perduta,
anche per nostra responsabilità.
Nessun commento:
Posta un commento