<<Dichiarazione universale dei
diritti umani
Articolo 13
1. Ogni individuo ha diritto alla libertà
di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.
2. Ogni individuo ha diritto di lasciare
qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.>>
Scrive il filosofo Andra Zhok, richiamando
le critiche che l’American Antrhopological Association alla dottrina posta
alla base Dichiarazione dei Diritti Umani << Gli antropologi osservarono
come fosse impensabile considerare come base di partenza dell’analisi un
ipotetico individuo de socializzato , giacchè ciascun individuo è ciò che è
come parte di un gruppo sociale, con una forma di vita sanzionata che ne
modella il comportamento. In quest’ottica non era chiaro come una dichiarazione
che pretendesse di applicarsi a tutti i singoli esseri umani potesse saltare la
questione delle loro appartenenze culturali, correndo il rischio di
diventare una affermazione di diritti concepiti solo nei termini dei
valori prevalenti nei paesi dell’Europa Occidentale e dell’America. Parlare di
rispetto degli individui è privo di senso e legittimava il sospetto che si
fosse di fronte all’ennesima versione del “fardello dell’uomo bianco” che aveva
alimentato il colonialismo (…)>>[1]. Questo
passaggio tratto dal saggio del filosofo Andrea Zhok è fondamentale ai fini
dell’economia del ragionamento che mi appresto a sviluppare. L’articolo della
“Dichiarazione universale dei Diritti Umani” non è altro che la sovrastruttura
ideologica che vuole il Mondo ricondotto ad un solo modello economico, sociale
e politico ossia quello liberalcapitalista egemonizzato dall’Occidente, nello
specifico dagli USA. Per cui il fenomeno migratorio è quanto di più ingiusto e
nel contempo quanto di più funzionale alla mentalità neocoloniale propria
dell’Occidente inglese trapiantatasi negli USA. Il fenomeno migratorio non può
quindi prescindere dalle dinamiche complessive legate alla globalizzazione e alla
non negoziabilità con lo stile di vita americano. Prendendo a riferimento
alcuni studi pubblicati negli ultimi anni cercherò di evidenziare gli elementi
presenti in un dibattito politico ideologico incapace di andare oltre la
narrazione alla moda voluta dal sistema capitalista e dal pensiero neoliberale
del quale l’art. 13 richiamato in premessa è uno dei simboli. A giugno del 2018
l’edizione italiana di Le Monde Diplomatique dedicava l’intero numero
all’analisi del declino demografico e del fenomeno migratorio europeo,
evidenziando come i due fenomeni fossero strettamente connessi e di come il
fenomeno migratorio fosse funzionale al sistema capitalista e alla
conservazione dei rapporti di classe presenti in ciascuna delle società
interessate dal fenomeno. L’alleggerimento della pressione demografica
attraverso l’emigrazione ha, nei Paesi di origine, lo scopo di conservare la
ricchezza a favore delle classi alte e nel contempo di espellere i potenziali
competitori candidati alla guida del Paese. L’immigrazione è in sostanza
funzionale alla conservazione dello status quo. Per quanto riguarda i Paesi di
arrivo gli immigrati vengono utilizzati come strumento di controllo del mercato
del lavoro, di lotta politica e di manovalanza criminale. Non a caso (n.d.r.
26/09/23) su Avvenire il Cardinale Zuppi ha sostenuto che “La questione
migranti non può essere politicizzata”. La sfida è tale, aggiungo io, che
richiede un approccio non ideologico. Il tema, in chiave non ideologica, è
stato affrontato da diversi studiosi i quali intervenendo in convegni e
pubblicando scritti su diverse riviste hanno evidenziato aspetti che i media e
il dibattito in corso, volutamente, occultano. Tra questi la Rivista
“Studi Emigrazione. International Journal of Migration Studies” titolava il
n. 201 - trimestre Gennaio – Marzo 2016 - “Il Diritto a non emigrare”. Nel
saggio introduttivo della “Rivista” scriveva Laura Zanfrini[2] <<
Scegliendo un tema che le cronache di questi mesi hanno reso di ancor più
drammatica attualità, la scuola ( n.d.r. si riferisce alla scuola di formazione
organizzata dalla Rivista) ha innanzitutto voluto indagare le situazioni
che fanno dell’emigrazione una scelta obbligata, puntando il dito sulle
responsabilità di tutti quegli attori che traggono a vario titolo profitto
dalle migrazioni, venendo meno al dovere di creare, nei paesi d’origine,
adeguate opportunità di vita e di lavoro per le giovani generazioni.(…).>>. Sottolinea
sempre la Zanfrini nella sua introduzione “come il consolidarsi di una
vera e propria industria dell’immigrazione sottragga risorse umane contribuendo
all’impoverimento dei paesi di origine. La responsabilità di tutto questo fa
capo tanto ai governi quanto a quelle organizzazioni della società civile che
dovrebbero “rendere il diritto a non emigrare non soltanto un’utopia”.
L’analisi del fenomeno condotta prendendo a riferimento le ricerche della
Scalabrin Migration Center di Quezon City ha messo in evidenza i meccanismi che
producono lo spostamento in massa di milioni di esseri umani , forza lavoro e
capitale umano, dai paesi a forte pressione migratoria verso il Nord globale.
Emerge in modo chiaro che i meccanismi che determinano i flussi migratori sono
insiti nel sistema economico capitalista alla ricerca di sempre maggiori
profitti e di nuovi mercati. Nel suo intervento il Sotto – segretario del
Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti Gabriele
Bentoglio nel mettere in evidenza le contraddizioni presenti in varie
parti del Mondo nell’affrontare le questioni migratorie sottolinea come esse
non possano essere affrontate adottando politiche di <<(…) “totale”
ancorché “ingenua” libertà d’immigrazione , anzi è grave compito dei governi
regolare la consistenza e la forma dei flussi migratori, in modo che gli
immigrati siano dignitosamente accolti e la popolazione del paese che li riceve
non sia posta in condizione di propendere al rigetto, con conseguenze negative
sia per gli immigrati che per la popolazione autoctona e per i rapporti tra i
popoli.(…)>>[3] .Per
quanto riguarda l’Italia il problema non attiene il solo flusso degli immigrati
ma anche quello degli emigrati, ossia degli italiani che vanno via.
L’emigrazione in questo caso è tanto oltre i confini nazionali che da Sud a
Nord. In Basilicata ad esempio, regione dove vivo, ogni anno migliaia di
giovani lasciano la loro terra o dopo la laurea non rientrano con effetti
devastanti sul tessuto sociale ed economico oltre che sulla tenuta della
Democrazia. La crisi demografica fa si che la selezione della classe dirigente
avvenga solo per cooptazione per cui venendo meno la competizione propria di
una Democrazia la società si ripiega su stessa incapace di uscire da una
narrazione di comodo funzionale alla conservazione delle posizioni di rendita
dei gruppi sociali dominanti. Questo è un dato che non riguarda la sola regione
dove vivo, è un dato di fatto rintracciabile a qualsiasi latitudine e
longitudine. Interessante sulla questione emigrazione per quanto riguarda
l’Italia è lo studio pubblicato dalla rivista online “Economia e Politica”
dall’economista Marialuisa Stazio dal significativo titolo “Aiutiamoli a casa
loro… i nostri cervelli in fuga”[4].Studio
dal quale emerge quanto rilevato tanto dalla Zanfrini quanto dallo stesso
Bentoglio.Se guardiamo alla questione migratoria nel suo complesso partendo
dall’enunciato dell’art. 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani
appare abbastanza evidente che più che il diritto a migrare ciò che
andrebbe garantito è il diritto a non emigrare. Diritto questo fino ad ora
volutamente ignorato. Eppure la necessità di riconoscere il diritto a
non emigrare è stato posto in più occasioni. Negli anni 90 poneva l’accento sul
diritto a non emigrare l’allora Cardinale Ratzinger [5] futuro
Papa Benedetto XVI. Dopo Ratzinger ad avere sottolineato l’importanza di un
tale diritto sono stati Giovanni Paolo II e di recente Francesco I[6].
Nelle affermazioni di tutti e tre i Pontefici è rintracciabile un dato e cioè
che l’emigrazione, dato il contesto, non è una scelta libera. Sono le
condizioni economiche e sociali insieme alle politiche messe in campo dalle
classi sociali dominanti dei paesi tanto d’origine quanto di arrivo che
determinano il fenomeno migratorio. Il richiamo dei Pontefici fa leva sulla
coscienza dei credenti sperando che possa toccare in qualche modo anche i
laici. Il richiamo dei tre Pontefici è sicuramente di una rilevanza enorme data
il ruolo politico e il valore etico - religioso delle figure istituzionali
richiamate. Da solo il richiamo al diritto a non emigrare non è sufficiente se
non viene fatto proprio da soggetti politici, istituzionali e dalle stesse
organizzazioni della società civile. Perché ciò possa verificarsi serve la
POLITICA e servono classi dirigenti con una visione. Non è mia intenzione articolare
proposte o trovare soluzioni, alcune soluzioni se avessimo statisti sarebbero
ovvie, ma quanto quella di sottolineare che non esiste il solo diritto ad
emigrare ma esiste un diritto uguale e contrario e cioè quello a non emigrare e
che la difesa di un tale diritto, se prendesse piede nell’opinione pubblica,
imporrebbe alle classi dirigenti un approccio altro rispetto al pensiero
dominante che attraverso la solita narrazione emergenziale ha come unico scopo
quello di terrorizzare le masse per imporre scelte autoritarie ed anti
democratiche funzionali alla conservazione del sistema liberalcapitalista.
[1] Andrea Zhok. Critica della ragione liberale. Ed.
Meltemi 2020 pagg.261 – 262.
[2] Laura Zafarini. Introduzione in Studi
Emigrazione. International Journal of Migration Studies. Anno LII – Gennaio –
Marzo 2016 – N. 201 pag. 5
[3] Gabriele Bentoglio Introduzione in Studi
Emigrazione. International Journal of Migration Studies. Anno LII – Gennaio –
Marzo 2016 – N. 201pag 97 - 98
[4] Marialuisa Stazioni. Aiutiamoli a casa loro… i
nostri cervelli in Fuga. Economiaepolitica 20 novembre 2017
[5] Discorso al IV Congresso mondiale migrazioni ,
anno 1998.
[6] Famiglia Cristiana dell’ 11/05/23 Messaggio del
Papa per la giornata del Migrante e del Rifugiato in vista del 24
settembre data dedicata al tema.
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