mercoledì 26 febbraio 2014

Lettera ai miei studenti indiani sugli effetti linguistici dei colpi d’arma da fuoco partiti dal ponte di una petroliera italiana - Alberto Prunetti

Care ragazze, cari ragazzi,
per svariati mesi sono stato il vostro insegnante di italiano tra Mumbai e Bangalore. La maggior parte di voi veniva dal Kerala. Alcuni dei vostri genitori erano pescatori. Ricordo i sacrifici  dei vostri familiari, che speravano di regalarvi un futuro con una laurea in infermieristica e un corso di italiano. Ricordo che l’Italia e l’Europa rappresentavano ai vostri occhi la possibilità di una svolta nella vostra professione e nelle vostre vite.
Ricordo anche che, come tutti gli studenti, l’uso delle preposizioni italiane vi metteva in difficoltà.
Per presentarvi, dicevate: “Sono nato a Kerala”. Io allora spiegavo che la regola grammaticale vuole l’uso della proposizione “in + nome dello stato” e “a + nome di città. Per questo si dice “Sono nato in Italia” e “Sono nato a Roma”. Dato che il Kerala è uno stato (l’India è una confederazione di stati, come gli Usa per capirci) si deve dire: “Sono nato in Kerala, a Trivandrum”, come si dice “Sono nato in Colorado, a Boulder”.
Capirete il mio stupore e la mia tristezza, dopo l’assassinio dei due pescatori Valentine Jalestine e Ajeesh Binki, colpiti da colpi d’arma da fuoco provenienti dalla petroliera Enrica Lexie (è un dato di fatto: le istituzioni italiane hanno già versato un indennizzo ai parenti delle vittime in un accordo extra-giudiziario di cui si parla poco nel bel paese). Dopo questo tragico episodio, all’improvviso gli italiani hanno scoperto l’esistenza del vostro mare e hanno cominciato a dire: “Il nostro ambasciatore” oppure “l’inviato del governo”… “è andato a Kerala”. L’hanno fatto tutti, da chi allora era a capo del governo, ai direttori dei più prestigiosi telegiornali…

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