martedì 13 novembre 2018

Sono un rifugiato in un campo libico. Le condizioni sono così cattive, la gente sta morendo - Thomas Issak




Ho cercato di raggiungere l’Europa all’inizio di quest’anno. Eravamo in barca da 26 ore, nel mezzo del Mediterraneo, e un elicottero italiano è venuto a prendere fotografie. Dopo di ciò, è apparsa la guardia costiera libica per riportarci in Libia, e ci hanno portato all’inferno. Da allora, sono stato in un centro di detenzione a Tripoli.
Ad oggi, persone ammalate qui hanno trascorso tre settimane senza medicine per la tubercolosi, ed ora pensiamo che l’abbiano tutti gli uomini e i ragazzi. I medici hanno smesso di farsi vedere, hanno smesso i farmaci, e viviamo tutti insieme. Neanche le guardie vengono vicino a noi, dicono agli altri di non avvicinarsi. Il posto in cui viviamo è simile ad una caverna. Non ci sono finestre. Condividiamo letti, tazze, quasi tutto. Per passare il tempo preghiamo al mattino. Stiamo seduti. Dormiamo. Dentro è buio per tutto il giorno.
Due settimane fa, un somalo si è ucciso prendendo del petrolio da un generatore e dandosi fuoco. Il suo nome era Abdulaziz, e aveva 28 anni. Aveva aspettato nove mesi l’evacuazione. Era un uomo buono: quando dei funzionari dell’Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite ( UNCHR) hanno fatto visita ha chiesto loro perché aveva trascorso così tanto tempo in prigione. L’ultima volta che sono venuti, ha detto che l’UNCHR lo aveva rifiutato. Così ha preso il petrolio. Aveva perso la speranza del supporto dell’UNCHR dopo avere aspettato così tanto tempo per il trasferimento ad un paese sicuro. Altri sette sono morti quest’anno per le condizioni. Nessuno si prende la responsabilità per noi. La nostra sola necessità è lasciare la Libia, perché la Libia non ha governo. Io sono eritreo, pertanto non posso tornare a casa. Altre persone potrebbero avere una possibilità, ma non gli eritrei, i somali, i sudanesi.
Nel frattempo i paesi della UE stanno giocando dei giochi, specialmente l’Italia. L’Eritrea è stata colonizzata dall’Italia per molto tempo. Per il popolo eritreo non c’è ancora libertà, e l’Italia direttamente o indirettamente ha plasmato ciò. Il mio paese è una dittatura. Sembra come se i paesi europei non vogliano che gli africani si sviluppino, siano intelligenti , istruiti e così via. Ecco perché stanno facendo questo. Stanno uccidendo il nostro tempo, uccidendo i nostri cervelli. È come una guerra fredda. Le nostre condizioni stanno diventando sempre peggiori. Non c’è abbastanza cibo, e le persone bevono l’acqua della toilette.
Ed è tutto nascosto. Quando delle persone vengono nei giorni di visita, le guardie ci danno cibo buono, un ambiente buono, l’igiene. Ma i rifugiati non hanno contatti con i visitatori, non abbiamo una possibilità di parlare con loro dei nostri problemi. Talvolta li vediamo attraverso un piccolo buco nella porta. Quando l’alto commissario per i rifugiati dell’ONU, Filippo Grandi, ha fatto visita quest’anno, sono passato in mezzo alle guardie con la forza e l’ho trovato, raccontandogli ogni problema nel centro di detenzione e chiedendogli perché l’evacuazione si era fermata. Mi ha detto :
“Conosco tutti i problemi “. Abbiamo parlato faccia a faccia. Dopo che se ne è andato, le guardie mi hanno picchiato e mi hanno minacciato perché non lo facessi di nuovo. Da quel momento, non mi è stato più consentito di uscire o di parlare a qualsiasi organizzazione. Ecco perché sono costretto a scrivere adesso sotto pseudonimo.
Quando l’UNCHR e l’Organizzazione Internazionale per la Migrazione ( IOM) ci danno cose come prodotti per l’igiene, o coperte, prendono alcune fotografie. Poi, quando se ne vanno, le guardie ce le riprendono e rivendono tutto. IOM e UNCHR conoscono questo gioco, ma non fanno niente. Fingono come se non lo conoscessero. A volte le guardie ci picchiano davanti a loro e loro non le fermano. Dobbiamo chiedere alle nostre famiglie di mandarci dei soldi per cibo e prodotti per l’igiene. Arrivano attraverso il mercato nero, e le guardie prendono il 40%. Altrimenti dobbiamo morire. Di recente abbiamo cercato di buttare giù la porta e di scappare insieme, ma non ci siamo riusciti. Le guardie ci sono venute incontro con fucili e catene.
Nel frattempo i libici che si suppone si prendano cura di noi stanno solo pensando a come ottenere più soldi dall’UNCHR. Fanno filmati, mentono, fingono di darsi da fare, di aiutare i rifugiati. Quando sanno che dei bianchi verranno, puliscono, nascondono le persone che sono in una cattiva condizione e quelle che hanno picchiato. Se non si stessero rovinando così tante vite, si potrebbe persino sorridere del modo con cui fingono: potrebbero essere attori di Hollywood .
● Thomas Issak è un rifugiato eritreo

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