Il nuovo vento che soffia in Europa forse ci permetterà di imboccare altre strade per la soluzione del debito. Un problema che va sicuramente risolto, sapendo però che ci sono due modi per farlo: dalla parte dei creditori o dei cittadini. La politica italiana, assieme a quella europea, finora ha scelto i creditori imponendoci sacrifici fatti passare come medicine per salvare l'Italia. Il ritornello lo conosciamo: siamo sotto costante esame dei mercati, se facciamo scelte a loro gradite abbiamo qualche possibilità di cavarcela, altrimenti saremo distrutti. Implicito riconoscimento che fra Stato e mercati ormai non comandano più parlamenti e governi, ma banche, fondi di investimento, hedge fund.
Ma il guaio è che non è sempre facile indovinare la cera più giusta, i mercati assomigliano a damigelle un po' viziate che si stancano subito del vestito appena indossato e con aria annoiata ne richiedono un altro. E se in un primo momento i mercati hanno brindato di fronte alla decisione dei governi di spremere le famiglie con un aggravio di tasse per garantire ai creditori interessi più alti, oggi si dimostrano insofferenti perché sanno che togliendo ricchezza alla gente si rischia di inceppare l'intero sistema, con danno anche per loro.
I tecnici economisti, quelli che sanno servire i mercati meglio dei politici, perché hanno studiato per questo, hanno fatto subito una proposta alternativa: non è dai redditi delle famiglie che dobbiamo ottenere il latte da somministrare ai mercati, ma dal taglio della spesa pubblica, che in Italia ha raggiunto gli 800 miliardi di euro, il 50% del Pil. Una vera bestemmia per i nostri dottori in economia, che si sbarazzerebbero volentieri di pensioni e assistenza alle famiglie (300 miliardi), sanità (100 miliardi), spese degli enti locali (240 miliardi), scuola (80 miliardi). Ma i tecnici d'oltreoceano hanno subito bocciato l'idea, nientepopodimeno che per bocca di Lawrence Summers, già ministro del Tesoro e consigliere economico della Casa Bianca. In un articolo apparso sul Financial Times del 30 aprile ricorda che il taglio della spesa pubblica ha un effetto demolitivo sul Pil pari a una volta e mezzo. Come dire che a ogni euro in meno di spesa pubblica corrisponde un euro e mezzo di contrazione del Pil. In effetti non ci vuole la laurea per capire che anche la spesa pubblica rappresenta domanda per il sistema e ogni sua riduzione si ripercuote negativamente sull'intera economia. Così i nostri tecnici lavorano contro la crescita pur invocandola dalla mattina alla sera, al pari dei mercati che coltivano il caos pur invocando la stabilità.
L'unico modo per uscire da questa politica fallimentare è un cambio di prospettiva...
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