Oggi è difficile, se non impossibile, dare a quel nome un volto ed una storia. Pochi ricordano che, negli anni sessanta, Braibanti era un intellettuale molto conosciuto che scrisse libri, lavorò per la RAI, mise in scena spettacoli teatrali ed elaborò riflessioni di politica e filosofia. Pochissimi, riescono a collegare quel nome ad un momento della storia dell’omosessualità italiana forse a causa del silenzio montato ad arte attorno a quell’uomo politicamente scomodo tanto a destra quanto al centro e a sinistra.
Quel silenzio è incominciato con la scomparsa dalla scena pubblica dell’intellettuale, tutt’ora vivente, ma ritiratosi a vita privata dopo essere giunto alla ribalta delle cronache quale colpevole protagonista di uno dei più grossi scandali italiani della storia dell’omosessualità.
Nel 1968 infatti, fu accusato di aver plagiato due giovani allo scopo di intrattnere con loro, a detta dell’accusa, ‘turpi’ rapporti omosessuali. Mai prima di allora, nella storia italiana, quel reato aveva portato ad una condanna. Per Braibanti non fu così e l’uomo, sbattuto in prima pagina, divenne, come spesso accade per i profeti della libertà il ‘mostro’ di turno agli occhi miopi dell’opinione pubblica che guardò al caso solo con interesse morboso…
…Perché, se in Italia, dopo quarant’anni, le stesse cricche politiche e reazionarie che portarono all’ingiusta condanna di Braibanti, facendo valere un’assurda legge d’età fascista, si oppongono ancora ad una legge contro l’omofobia o alle unioni civili per gli omosessuali, allora è più che mai necessario ritrovare la memoria di un caso il cui oblio è misura dell’arretratezza civile del nostro paese. Aldo Braibanti fu giornalista, partigiano, drammaturgo, intellettuale eclettico, mirmecologo. Le formiche gli interessavano particolarmente. Nel vago aspetto di un’umanità appena accennata di quegli esseri infinitamente vulnerabili eppure necessari alla vita del pianeta, si trovano somiglianze incredibili con la struttura delle società umane. Le formiche ad un certo livello riescono persino a spaventarci. Noi umani rischieremmo di morire se questi essere così facili da calpestare smettessero di dissodare il terreno. Così nel contributo alla vita dei piccolissimi animali, si scorge la metafora dell’intellettuale senza appigli, svincolato da parrocchie e appartenenze ideologiche di sorta, quale era appunto il Braibanti. Un debole per scelta, facilmente esposto alle critiche dell’Italia clericale e omofoba. Spaventata dalla naturalezza con cui l’intellettuale riusciva ad infondere linfa vitale nelle menti dei giovani che ne seguivano i progetti culturali, decise di schiacciarne l’esistenza, trasformando il suo amore per il diciannovenne Giovanni Sanfratello in una torbida relazione dai contorni squallidi. Per tutta la durata del processo, Sanfratello, rinchiuso in manicomio dai familiari e sottoposto a pratiche di elettroshock, non fece che difendere l’amico Braibanti, sottolineando a più riprese la libera e consapevole scelta con cui si erano svolti i loro rapporti. Sanfratello, adolescente proveniente da una famiglia benestante, di destra, era allora un giovane artista ribelle a cui il rapporto con Aldo Braibanti aveva consentito la fuga dalla casa paterna e la possibilità di allargare i propri orizzonti oltre l’oscurantismo di una famiglia che non aveva esitato a servirsi di avvocati e periti compiacenti, tra cui il corrotto criminologo Aldo Semerari, vicino agli esponenti della banda della Magliana…
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