Il totale, aggiornato al 23 luglio, è di
155 bambini. La mattina ne sono morti altri tre. Dieci bambini al giorno, in
media. Secondo le Nazioni Unite il numero supera quello delle vittime tra i
combattenti di Hamas. L’Al Mezan center for human rights ha pubblicato una
lista con i nomi di 132 bambini uccisi, mentre il quotidiano
britannico The Telegraph ha pubblicato un “grafico della morte” con i nomi dei bambini, la
data di morte e la loro età. La tabella comprende neonati, bambini e ragazzini.
Ogni bambino e il nome che gli avevano dato i genitori. Bitul, quattro anni;
Suhila, tre anni; Bissan, sei mesi; Siraj, quattro anni; Nur, due anni. Sono i
nomi dei bambini della famiglia Abu Jama, nella quale sono morte 25 persone.
Il grafico non mente. L’operazione Margine protettivo è in
realtà la replica dell’operazione Piombo fuso e la supererà in termini di
orrore e morte. Il grafico non è stato diffuso in Israele, e nessuno si
preoccuperà di farlo. Non c’è posto per questa conta, siamo in guerra. La colpa
dei morti palestinesi è di Hamas. I piloti dell’aviazione israeliana non
volevano uccidere i bambini.
In ogni caso non c’è nulla da temere: se mai qualcuno
dovesse pubblicare il grafico scatenerebbe soltanto l’indifferenza di
un’opinione pubblica indottrinata. Forse addirittura la gioia, per quanto sia
difficile da credere. “Anche Hitler è stato un bambino” si legge su un muro
vicino all’ingresso di Netivot.
Sul sito internet “Walla!” si trovano una serie di commenti
in risposta a un articolo sulla morte di quattro bambini sulla spiaggia di
Gaza. Shani Moyal: “Non me ne frega niente della morte dei bambini arabi.
Peccato che non siano stati di più. Ben fatto”. Stav Sabah: “Queste sono
immagini bellissime. Mi rendono felice. Non smetterei mai di guardarle”. Sharon
Avishi: “Solo quattro? Peccato. Speravamo fossero di più”. Daniela Turgeman:
“Ottimo. Dobbiamo uccidere tutti i bambini”. Chaya Hatnovich: “Non esiste
un’immagine più bella di quella che mostra i bambini arabi morti”. Orna Peretz:
“Perché soltanto quattro?” Rachel Cohen: “Non chiedo la morte dei bambini di
Gaza. Chiedo che bruciate vivi tutti gli arabi”. Tami Mashan: “Devono morire
più bambini possibile”.
Dai nomi e dalle foto si capisce che tutti i commenti sono
stati scritti da donne. Fanno la spesa nei negozi sotto casa vostra.
Frequentano lo stesso cinema che frequentate voi, vanno in vacanza dove andate
voi. Sono israeliane. Nessuno pensa di licenziarle, come invece fanno con gli
arabi e i simpatizzanti di sinistra. Nessuno le condanna. Nessuno le attacca o
le minaccia. Sono normali, almeno secondo la legge israeliana, la stessa che
considera la compassione un tradimento e la bestialità un’espressione di
patriottismo.
Ma perché incolpare le donne e i loro commenti? Ascoltate
le parole dei generali, dei politici e degli analisti. Dicono le stesse cose,
usano solo toni un po’ meno aggressivi.
Parole così perfide non si sentono in nessun altro paese
del mondo, ma neanche le dichiarazioni più estreme rendono giustizia
all’atmosfera che si respira in questo momento. Sono pochi gli israeliani che pensano
ai 155 bambini morti e li considerano per quello che sono: bambini. Non
vogliono immaginarli. Non vogliono pensare al loro destino, alla loro triste
vita e alla loro morte.
I soldati israeliani combattono e muoiono a Gaza, e la
gente ha paura per loro. È umano e naturale. I razzi, intanto, continuano a
cadere. Ma accanto alla paura emerge una completa assenza di compassione per le
vittime dell’altro schieramento. Anche per i bambini, che muoiono a decine e
segneranno un nuovo record di vergogna persino in una storia vergognosa come
quella israeliana.
Le immagini che arrivano da Gaza dovrebbero sconvolgere
tutti gli israeliani. Forse anche gli abitanti di Gaza festeggerebbero la morte
dei bambini israeliani, ma non possiamo saperlo perché per fortuna non è
accaduto. Se assistessimo a una reazione di questo tipo saremmo giustamente
disgustati. Ma intanto continuiamo a ignorare il massacro dei bambini
palestinesi, giorno dopo giorno. O addirittura lo celebriamo. Dopo tutto,
“anche Hitler è stato un bambino”.
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