domenica 5 maggio 2019

Insegnanti o maggiordomi? La scuola della “secessione dei ricchi” e il miraggio “degli schei” - Rossella Latempa


Il mondo della scuola continua la sua mobilitazione contro il processo di differenziazione regionale del sistema di istruzione messo in moto da Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. A gettare acqua sul fuoco non è bastata l’intesa col governo siglata a sorpresa dai maggiori sindacati (CGIL, CILS, UIL, SNALS, Gilda), che hanno sospeso uno sciopero proclamato da tempo. I sindacati di base prendono le distanze e confermano lo sciopero, mentre un nutrito gruppo di associazioni esprime il proprio dissenso nei confronti della concertazione sindacato-Governo, ritenuta troppo vaga per arginare un processo di differenziazione regionale che si allarga a macchia d’olio. Aumenta infatti il numero delle regioni che avanzano richieste di potestà legislative rafforzate. Alle prime tre se ne sono aggiunte altre quattro: PiemonteLiguriaUmbria e Marche.  La propaganda che filtra attraverso la rete, i social e le testate locali punta l’accento su vantaggi economici per i territori più efficienti, dimenticando non solo di dire chi pagherà il conto (ci sono già analisi che pronosticano un “Robin Hood al contrario”), ma anche di spiegare cosa accadrà in concreto alla scuola e ai suoi lavoratori. Lo spieghiamo noi, basandoci sulleprime bozze di intesa – pubblicate proprio da questo blog –  e su alcune “buone pratiche” regionali già avviate, soprattutto nella scuola trentina, vero e proprio laboratorio della futura “scuola regionale”. Una “Buona Scuola” modello Renzi-boys, tutta efficienza, valutazione e “sinergie col territorio”, in cui gli insegnanti, privati del loro orizzonte di libertà culturale, si avviano a divenire solerti maggiordomi al servizio dell’indirizzo politico locale.
La cosiddetta regionalizzazione dell’istruzione è parte di quel progetto di “smontaggio” dello Stato ben più ampio (dalla sanità alle infrastrutture, dai beni culturali all’ambiente, etc.) che in “un’ atmosfera da golpe bianco[1] stava per essere ratificato già a Febbraio.  La scuola intanto procedeva, coi suoi ritmi e le sue attività̀, senza ben comprendere il destino incombente.
L’autonomia differenziata sembra una questione tecnica e fiscale, da giuristi o economisti, oppure un problema delle regioni più̀ povere.  In fondo, non cambierà̀ nulla, si pensa. Anzi: forse alcuni guadagneranno qualcosa in più̀, perché́ sono più̀ efficienti. Eppure, non è così. Il progetto merita la massima attenzione di tutti i cittadini, e non solo dei lavoratori della scuola, perché presenta (almeno) due aspetti profondamente pericolosi.
Il primo riguarda il coinvolgimento –  in maniera trasversale – degli interessi di tutte le forze politiche in gioco, sia di governo che di opposizione: dal PD, responsabile della pre-intesa che ha dato avvio al procedimento,  al Movimento 5 Stelle, che – per dolo o colpa – ha sottoscritto un  contratto di governo (articolo 20) in cui si definisce questione prioritaria quella dell’autonomia regionale.
Un capitolo a parte in questa vicenda merita la Lega, che incredibilmente tiene il piede in due scarpe, quella dell’elettorato del Nord e quella dell’elettorato del Sud:  due siti web, due simboli diversi, due statuti, due codici fiscali, due indirizzi


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