(The Guardian, Regno Unito, traduzione a cura di
Internazionale)
Gli operai cinesi che fabbricano l’iPhone fanno
turni massacranti e ricevono salari bassi. Ma la Apple non vuole usare i suoi
soldi per migliorare la condizione dei lavoratori
Molto presto leggeremo i primi necrologi del libero scambio, della
globalizzazione e della società aperta. Quando si chiederanno perché alcuni
paesi ricchi si sono fatti sedurre da politici come Donald Trump e Nigel
Farage, i giornalisti dovranno dedicare un ampio capitolo alla Apple, dal
momento che la più ricca azienda del mondo è un manuale vivente di come le
promesse fatte dopo la caduta del muro di Berlino siano diventate una
barzelletta.
Qualunque siano le meraviglie incluse nel nuovo iPhone 7, questo telefono
allargherà il fossato tra i super ricchi e tutti gli altri, priverà i paesi
di entrate scali legittime e allo stesso tempo opprimerà lavoratori cinesi e
sottrarrà agli statunitensi posti di lavoro pagati bene. Arrogante verso i
suoi detrattori e i governi, piena di soldi nono- stante sia chiaramente a
corto di idee, la Apple è il simbolo elegante di un sistema economico in preda
agli eccessi.
Non era previsto che pensassimo niente di tutto questo della Apple. A
settembre, presentando il nuovo iPhone, il responsabile del marketing
dell’azienda californiana, Phil Schiller, spiegava perché questo modello non
ha una presa per gli auricolari: “La risposta è tutta in una parola: coraggio.
Il coraggio di andare avanti, di fare qualcosa di nuovo e che ci migliora
tutti”. Una simile idiozia da ghetti californiani è stata applaudita da una
folla di settemila persone e blandamente presa in giro dalla stampa, ma serve
anche a nascondere alcuni degli aspetti meno accettabili della produzione
dell’iPhone, in particolare le condizioni in cui questo telefono viene
fabbricato.
Se avete un iPhone, sappiate che è stato assemblato dai lavoratori di una
di queste tre aziende in Cina: la Foxconn, la Wistron e la Pegatron. La più
grande e nota delle tre, la Foxconn, è salita agli onori delle cronache
internazionali nel 2010, quando 18 dipendenti cercarono di uccidersi. In
quell’occasione morirono almeno 14 operai.
La risposta dell’azienda fu installare delle reti per fermare le persone
che cercavano di uccidersi gettandosi nel vuoto. Quell’anno il personale della
fabbrica della Foxconn a Longhua produsse 137mila iPhone al giorno, circa
novanta al minuto.
Una di questi aspiranti suicidi, Tian Yu, una ragazza che all’epoca aveva
17 anni, si lanciò dal quarto piano del dormitorio di uno stabilimento e finì
paralizzata dalla vita in giù. In seguito descrisse le sue con- dizioni di
lavoro a dei ricercatori universitari. La sua è una testimonianza notevole:
era sostanzialmente una gallina da batteria umana che lavorava dodici ore al
giorno per sei giorni alla settimana, alternava i turni diurni a quelli
notturni e dormiva in una stanza-dormitorio con altre sette persone.
Dopo gli scandali del 2010 la Apple ha promesso di migliorare le condizioni
dei suoi lavoratori in Cina. Da allora ha pubblicato svariati opuscoli patinati
in cui illustra gli impegni presi nei loro confronti. Eppure non ci sono prove
che l’azienda californiana abbia restituito un solo centesimo dei suoi enormi
profitti per garantire un miglior trattamento delle persone che fabbricano i
suoi prodotti negli stabilimenti che lavorano per lei.
Nel corso dell’ultimo anno l’ong statunitense China labor watch ha
pubblicato una serie d’indagini sulla Pegatron, un’altra azienda che assembla
l’iPhone. Un ricercatore dell’ong si è fatto assumere alla catena di montaggio
e così ha potuto parlare con decine di dipendenti della Pegatron e analizzare
centinaia di buste paga. In questo modo ha scoperto che il personale continua a
lavorare dodici ore al giorno per sei giorni alla settimana, e almeno un’ora e
mezza alla settimana non è pagata. I lavoratori sono inoltre costretti a fare
gli straordinari e ricevono una formazione per la sicurezza decisamente
inferiore a quella prevista dalle leggi locali.
Nella catena di montaggio il ricercatore doveva installare una scheda madre
dell’iPhone ogni 3,75 secondi e restava in piedi per l’intero turno di dieci ore
e mezza. Questo è il ritmo di lavoro che si è costretti a sostenere nelle
aziende appaltatrici della Apple per guadagnare un salario decente. Nell’ultimo
anno le autorità di Shanghai hanno alzato il salario minimo. La Pegatron ha
risposto tagliando i suoi contributi per servizi come l’assicurazione
sanitaria, in modo che il costo del lavoro restasse invariato.
Quando le è stato chiesto di rispondere a tutte queste accuse, l’azienda
ha di uso un comunicato in cui sostiene di “lavorare duro per fare sì che ogni
struttura della Pegatron fornisca un ambiente di lavoro sano. Le insinuazioni
che sostengono il contrario sono semplicemente false. Abbiamo preso misure
concrete per fare in modo che i di- pendenti non lavorino più di sessanta ore
alla settimana e sei giorni su sette”.
Nel 2015 un’ong per i diritti umani danese, la Danwatch, ha fornito prove
schiaccianti di studenti trattati come lavoratori forzati alla Wistron,
un’altra delle principali ditte appaltatrici della Apple. Alcuni ragazzi
iscritti a corsi di contabilità e gestione aziendale sono stati spediti per
mesi in una catena di montaggio dell’azienda. Si tratta di una grave violazione
della convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro. I ricercatori
della Danwatch hanno dimostrato che migliaia di studenti svolgevano le stesse
mansioni e con gli stessi duri orari di lavoro degli adulti, ma a un salario
più basso. I ragazzi hanno rivelato all’ong che stavano lavorando contro la
loro volontà. “Siamo tutti depressi”, ha detto una ragazza di 19 anni. “Ma non
abbiamo avuto scelta, perché la scuola ci ha detto che se avessimo rifiutato
non ci saremmo diplomati”. Nonostante le richieste di commentare le accuse, la
Wistron non ha risposto.
L’inchiesta non riguardava una fabbrica di iPhone, ma la Apple ha
confermato che la Wistron e la Pegatron erano due dei suoi principali
assemblatori cinesi. L’azienda californiana non ha voluto prendere una
posizione u ciale sulla vicenda, ma il suo addetto stampa mi ha parlato delle
ispezioni disposte presso gli impianti dei fornitori. In realtà, per motivi
d’opportunità, questi controlli sono quasi sempre super ciali.
Basta guardare al rapporto sulla Foxconn che la Apple ha commissionato nel
2012, dopo i tentativi di suicidio. La Foxconn è il principale datore di
lavoro privato cinese, con circa quattrocentomila dipendenti nella sola
fabbrica di Longhua. Eppure il rapporto per la Apple, complementare a
un’inchiesta già portata avanti dalla Fair labor association, ammette di aver
osservato solo tre di queste fabbriche, ognuna per tre giorni. Jenny Chan, una
delle principali esperte di abusi sul lavoro in Cina e coautrice del libro di
prossima uscita Dying for an iPhone (Morire per un iPhone), la definisce
“un’ispezione- paracadute, un modo di fare sì che gli affari vadano avanti
come prima”. Un modo molto redditizio, a quanto pare. Mentre chi assembla
iPhone per la Pegatron ha visto la sua paga scendere ad appena 1,60 dollari
l’ora, la Apple è rimasta l’azienda statunitense che fa più profitti, con 47
miliardi di dollari guadagnati nel 2015.
La filantropia di Cook
Cosa significa tutto questo? Con 231 miliardi di dollari la Apple ha delle
riserve di liquidità maggiori di quelle del governo statunitense, ma non ne
spende neanche una minima parte per migliorare la condizione di chi effivamente le permette di guadagnare quei soldi. Inoltre la Apple continuerà
a non produrre gli iPhone negli Stati Uniti, cosa che le permetterebbe di
creare posti di lavoro e continuare comunque a vendere lo smartphone più
redditizio del mondo. L’azienda invece accumulerà profitti maggiori, che
andranno a chi possiede le sue azioni. Come il capo dell’azienda, Tim Cook, la
cui scorta di azioni Apple vale 785 milioni di dollari. Gli amici di Cook
parlano della sua filantropia, ma se è vero che è felice di spendere denaro
per alcuni progetti mirati, si rifiuta di pagare tasse per 13 miliardi di euro
nell’Unione europea, annunciando allo stesso tempo che non riporterà i
miliardi della Apple negli Stati Uniti “ finché non ci saranno condizioni
eque”. Quest’oligarca tecnologico pensa di sapere meglio di trecento milioni di
statunitensi quale tassazione il loro governo regolarmente eletto dovrebbe
applicare.
Quando gli storici si chiederanno perché è morta la globalizzazione,
scopriranno che buona parte della risposta va cercata in aziende come la Apple.
Costretti a scegliere tra un modello economico che ha premiato smisuratamente
pochi e un populismo che offre promesse smodate a molti, tra Cook da una parte
e Farage dall’altra, gli elettori hanno scelto quello che almeno non parlava
continuamente di “coraggio”.
da qui
Nessun commento:
Posta un commento