Molto ricche le riflessioni del
sinologo Gian Luca Atzori. Ho imparato molto dal suo
ottimo scritto.
Però lo ritengo amnesico, addirittura monco sul tema
grande delle libertà fondamentali in Cina,
forse perché – ho riflettuto – lo stesso Gian Luca, il quale campa a Pechino,
potrebbe avere qualche difficoltà dall’affrontarlo apertamente.
Noi qua, invece, difficoltà non dovremmo averne.
Compreso chi con la Cina combina affari leciti e onesti.
Non compreso, al contrario, chi stabilisce rapporti politici, anche questi ovviamente
legittimi. Nella relazione politica è insito l’obbligo di ricordare alcuni
aspetti drammatici di quella realtà sconfinata.
Ognuno di noi dovrebbe ricordare il dovere di difendere
chi diritti non ne ha e magari è stato perfino convinto di non possederne.
È impossibile dimenticare – lo cito tra tutte le
dolorose invocazioni cinesi – il grido metaforico di “Ai Weiwei libero” che arriva da tante parti del
pianeta.
La condizione dell’eroico Weiwei è una metafora perfetta
di quella realtà orientale di cui nessuno in questi
giorni ha parlato in Sardegna. Tutti presi da menù, dolci
sardi, latte da esportare e turisti da importare. Attività, s’intende,
legittime e, con misura, augurabili.
In tutto il pianeta le mostre e i filmati del valoroso
Weiwei, che ha fuso con perfezione orientale vita e arte, raccontano orrori. Perseguitato con crudele precisione dal
regime sin dal 1989. Ottantun giorni di carcere nel 2011 in un luogo segreto,
il tentativo di deprogrammazione cerebrale con mezzi atroci, una guardia
presente sempre, anche nei momenti più intimi. Il suo studio abbattuto con le
ruspe e molti altri sistemi di persecuzione. Sorveglianza continua. Infinite
forme quotidiane di tortura.
E Weiwei viene in mente, almeno per assonanza, quando si
legge che un rappresentante del Governo della nostra isola va nella sede di Huawei –
tanto più che privata non è ma, a forte partecipazione dello Stato – per
procurare affari.
Una cosa legittima e trasparente e grande occasione di
collaborazione tramite il nostro CRS4.
D’altronde si sa che il denaro non ha un odore
riconoscibile. Ma si sa pure che Shenzhen è una città fenomenale cresciuta in
modo per noi incomprensibile nell’arco di 30 anni. Da borgo di pescatori con
poche decine di migliaia di abitanti ad area industriale di oltre dieci milioni
di persone. Altro che lo spaesamento di cui parlano gli antropologi, altro che
shock sociale. Una migrazione biblica decisa dal governo nel 1978, un mondo
anche simbolico non decriptabile.
E ancora, insieme a Weiwei – che è perseguitato nella
sua terra dove resiste al supplizio con sublime pazienza buddista e lo volge in
bene – vengono alla mente i giornali cinesi censurati e diretti dal
Dipartimento della Propaganda. Il web controllatissimo. L’assenza di giornali
stranieri nella distribuzione. Padroni dell’informazione, il
sogno di ogni regime.
In Italia non va bene sotto questo aspetto, ma in Cina va
peggio.
Viene alla mente l’inquinamento intollerabile e privo di regole – ah,
quanto ricorda l’intolleranza alle regole di tanti altri Paesi, il nostro
compreso – che crea una nube perenne sulla Cina. E
chissà quando e come si stabilirà il limite.
Viene alla mente l’acquisto di milioni di chilometri
quadri da coltivare in base al principio che chi è padrone del cibo è padrone
del mondo. Lo chiamano Landgrabbing ed è l’accapparramento di suoli agricoli da
parte di multinazionali. Nella nostra isola ne abbiamo un assaggino. Le serre
fotovoltaiche di Narbolia per coltivare roba che crescerebbe da sola sono di
proprietà cinese.
Viene alla mente la negazione di molti diritti umani.
Viene alla mente un paese dove la pena di morte è mostruosamente praticata. Un
paese dove le donne ricevono trattamenti intollerabili come la sterilizzazione
forzata.
Ora, questo premesso e mai, ma proprio mai dimenticato,
si sa che parliamo di un grande popolo e di una complessità alla quale non
possiamo forse accedere con le nostre teste dure. Oltretutto la presenza cinese
intorno a noi è prevalentemente produttiva e operosa. E una vaghissima idea di
quanto differente sia l’etica del lavoro cinese ce la siamo fatta, nel nostro
piccolo, anche noi.
Però la Foxconn con i suoi ritmi di lavoro e i dipendenti
suicidi è una realtà incancellabile. Il lavoro a Prato è una realtà. Che i
cinesi “non muoiano mai” perché il sistema è misterioso e incontrollabile è
un’altra inquietante realtà.
In breve, dimenticare oppure omettere, non esercitare la
critica e il dubbio e immaginare un mondo fatto solo dagli
affari e non anche da diritti, rappresenta un modo parziale e
colpevole di considerare le cose e la vita.
Così l’invocazione Weiwei libero, la sua allegorica
persecuzione e la sua reazione titanica all’oppressione e alle
torture riemergono
continuamente. La richiesta di libertà del grande artista rimane senza risposta
e senza risposta rimane anche la domanda di chiarezza a chi intrattiene
rapporti politici con quell’immenso Paese.
Chiarezza significa – in questo caso – la separazione tra legittimo scambio commerciale (anche quando è così smisuratamente
impari) e il giudizio su un sistema inflessibile.
Un organismo che sta sovrastando tutti gli altri ma con forme di sfruttamento e
di privazione, con un prezzo all’avvelenamento del pianeta che non possiamo
ignorare.
Almeno parliamone. Obiettiamo. Dubbi.
Domande. Non omissioni e silenzio.
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