Il 26 ottobre
2016, a dieci anni dalla morte di Giuseppe Casu, l’interminabile vicenda
processuale legata alla sua uccisione nel reparto di psichiatria di Cagliari, è
giunta alla sua assurda e grottesca conclusione: tutti innocenti i responsabili
dell’assassinio di quest’uomo, unici colpevoli i militanti antipsichiatrici che
hanno osato sollevare il caso.
Questa tragica storia merita di
essere ricordata ancora una volta, per come riassume in sé la natura criminale
del potere, in tutte le sue articolazioni.
Nel giugno 2006 viene sottoposto a TSO – trattamento sanitario obbligatorio – un venditore ambulante di Quartu Sant’Elena, Giuseppe Casu. La richiesta parte dall’amministrazione comunale di Quartu (sindaco Ruggeri) impegnata in un’aggressiva campagna per cacciare i venditori ambulanti dal centro. Poiché, nonostante le numerose multe, Giuseppe Casu insiste a presentarsi in piazza con la sua motocarrozzella piena di verdure, dal Comune organizzano per lui una vera e propria trappola.
Tutto avviene molto rapidamente, i giornalisti sono stati preavvisati e attendono dietro l’angolo, intervengono i carabinieri con le guardie municipali, spunta anche un’ambulanza. Gli agenti lo afferrano con la forza, di fronte a tutti, lo sbattono a terra, lo immobilizzano. Giuseppe Casu viene caricato, ammanettato alla barella e portato via. È in atto un ricovero coatto in psichiatria.
Il signor Casu non era mai stato in “cura” da uno psichiatra, il suo ricovero all’ospedale SS. Trinità di Cagliari, oltre a non avere alcuna giustificazione “medica”, è illegittimo e illegale, infatti il giudice non ha convalidato il TSO entro la scadenza stabilita per legge. Tecnicamente si tratterebbe di abuso di potere e sequestro di persona, cosa per cui sono stati incriminati, processati, e poi naturalmente assolti, sette medici del reparto di psichiatria, a cominciare da Turri, allora primario.
Nel giugno 2006 viene sottoposto a TSO – trattamento sanitario obbligatorio – un venditore ambulante di Quartu Sant’Elena, Giuseppe Casu. La richiesta parte dall’amministrazione comunale di Quartu (sindaco Ruggeri) impegnata in un’aggressiva campagna per cacciare i venditori ambulanti dal centro. Poiché, nonostante le numerose multe, Giuseppe Casu insiste a presentarsi in piazza con la sua motocarrozzella piena di verdure, dal Comune organizzano per lui una vera e propria trappola.
Tutto avviene molto rapidamente, i giornalisti sono stati preavvisati e attendono dietro l’angolo, intervengono i carabinieri con le guardie municipali, spunta anche un’ambulanza. Gli agenti lo afferrano con la forza, di fronte a tutti, lo sbattono a terra, lo immobilizzano. Giuseppe Casu viene caricato, ammanettato alla barella e portato via. È in atto un ricovero coatto in psichiatria.
Il signor Casu non era mai stato in “cura” da uno psichiatra, il suo ricovero all’ospedale SS. Trinità di Cagliari, oltre a non avere alcuna giustificazione “medica”, è illegittimo e illegale, infatti il giudice non ha convalidato il TSO entro la scadenza stabilita per legge. Tecnicamente si tratterebbe di abuso di potere e sequestro di persona, cosa per cui sono stati incriminati, processati, e poi naturalmente assolti, sette medici del reparto di psichiatria, a cominciare da Turri, allora primario.
Dopo sette giorni di
contenzione ininterrotta (legato al letto mani e piedi) e di sevizie
impropriamente spacciate come “cure”, Giuseppe Casu muore.
Per la morte, non certo accidentale, di quest’uomo vengono incriminati e processati il primario Turri e la dottoressa Cantone. I periti del tribunale attribuiscono la sua morte a diversi fattori, dalla lunghissima stasi dovuta alla contenzione, a uno psicofarmaco fortemente tossico per il cuore – l’Aloperidolo – che gli è stato somministrato in dosi massicce assieme ad altri farmaci pericolosi e inutili. Immediatamente dopo la sua morte, i familiari e il «Comitato verità e giustizia per Giuseppe Casu» chiedono giustizia per quest’uomo e per tutta risposta i resti anatomici della vittima vengono fatti sparire dall’ospedale e sostituiti con quelli di un altro paziente! Lo scandalo che ne segue è tale che i primari dei reparti coinvolti vengono sospesi dal servizio e in psichiatria si avvia un timido tentativo di riforma, per ridurre almeno le pratiche più violente e letali. Poi, poco a poco, tutto torna come prima: viene reintegrato in servizio l’ex primario dott. Turri, che viene poi assolto nel processo di primo grado, assieme alla dottoressa Cantone. Il primario di anatomia patologica invece, dopo una prima assoluzione in primo grado, viene condannato in appello ad aprile 2013, per aver fatto sparire i resti anatomici del signor Casu. La sparizione dei resti della vittima ha però sortito il suo malefico effetto, infatti, il 19 settembre 2013, i giudici di appello, non potendo accertare precisamente le cause della morte del signor Casu, assolvono i medici Turri e Cantone anche nel secondo e terzo grado di giudizio. Evidentemente il delitto paga!!
Per la morte del signor Giuseppe Casu nessuno è colpevole. Colpevoli sono invece alcune/i attiviste/i, per aver volantinato davanti al reparto di psichiatria, nel 2009, quando il dott. Turri dopo un anno e tre mesi di sospensione preventiv viene reintegrato. La rabbia per l’arroganza di questa imposizione fa loro utilizzare per il primario l’appellativo, forse poco elegante, di assassino. Nell’occasione vengono identificat* da una volante della polizia e in seguito denunciat* dagli avvocati di Turri per “diffamazione” e processat*. Assolt* in primo grado, vengono poi condannat* in appello, su richiesta della procura generale. Una condanna che ha il sapore di una intimidazione e di una vendetta.
Il messaggio è chiaro: sulla tragica vicenda del signor Giuseppe Casu va messa una pietra tombale; i responsabili, tutti inseriti nelle schiere dei poteri forti locali, non ammettono critiche. Noi siamo invece di parere opposto, per tutta la durata dei processi non abbiamo mai smesso di denunciare l’accaduto. La necessità di sostenere, anche economicamente, i militant* che hanno subito una condanna, sarà l’occasione per continuare a farlo.
Per la morte, non certo accidentale, di quest’uomo vengono incriminati e processati il primario Turri e la dottoressa Cantone. I periti del tribunale attribuiscono la sua morte a diversi fattori, dalla lunghissima stasi dovuta alla contenzione, a uno psicofarmaco fortemente tossico per il cuore – l’Aloperidolo – che gli è stato somministrato in dosi massicce assieme ad altri farmaci pericolosi e inutili. Immediatamente dopo la sua morte, i familiari e il «Comitato verità e giustizia per Giuseppe Casu» chiedono giustizia per quest’uomo e per tutta risposta i resti anatomici della vittima vengono fatti sparire dall’ospedale e sostituiti con quelli di un altro paziente! Lo scandalo che ne segue è tale che i primari dei reparti coinvolti vengono sospesi dal servizio e in psichiatria si avvia un timido tentativo di riforma, per ridurre almeno le pratiche più violente e letali. Poi, poco a poco, tutto torna come prima: viene reintegrato in servizio l’ex primario dott. Turri, che viene poi assolto nel processo di primo grado, assieme alla dottoressa Cantone. Il primario di anatomia patologica invece, dopo una prima assoluzione in primo grado, viene condannato in appello ad aprile 2013, per aver fatto sparire i resti anatomici del signor Casu. La sparizione dei resti della vittima ha però sortito il suo malefico effetto, infatti, il 19 settembre 2013, i giudici di appello, non potendo accertare precisamente le cause della morte del signor Casu, assolvono i medici Turri e Cantone anche nel secondo e terzo grado di giudizio. Evidentemente il delitto paga!!
Per la morte del signor Giuseppe Casu nessuno è colpevole. Colpevoli sono invece alcune/i attiviste/i, per aver volantinato davanti al reparto di psichiatria, nel 2009, quando il dott. Turri dopo un anno e tre mesi di sospensione preventiv viene reintegrato. La rabbia per l’arroganza di questa imposizione fa loro utilizzare per il primario l’appellativo, forse poco elegante, di assassino. Nell’occasione vengono identificat* da una volante della polizia e in seguito denunciat* dagli avvocati di Turri per “diffamazione” e processat*. Assolt* in primo grado, vengono poi condannat* in appello, su richiesta della procura generale. Una condanna che ha il sapore di una intimidazione e di una vendetta.
Il messaggio è chiaro: sulla tragica vicenda del signor Giuseppe Casu va messa una pietra tombale; i responsabili, tutti inseriti nelle schiere dei poteri forti locali, non ammettono critiche. Noi siamo invece di parere opposto, per tutta la durata dei processi non abbiamo mai smesso di denunciare l’accaduto. La necessità di sostenere, anche economicamente, i militant* che hanno subito una condanna, sarà l’occasione per continuare a farlo.
Qui in “bottega” vedi Scor-data: 22 giugno 2006 di Francesco Masala
È mostruoso! Non è l'unico, però è bene ricordarli, sempre, tutti, anche il caso del maestro Franco Mastrogiovanni, in Campania. Tutte sacrosante le motivazioni del post, tremendamente urgente la necessità di opporsi a quei poteri che difendono in questi modi la "pubblica tranquillità e decenza". Da incubo sapere che episodi simili avvengono nel settore che dovrebbe avere a cuore la cura della persona. Il sistema della Sanità pubblica.
RispondiEliminaè terribile pensare che ogni volta è l'ultima, ma purtroppo c'è la fila delle tragedie che spingono per essere sulle prime pagine, quando ci arrivano :(
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