Forse si può partire da due storie, da come si raccontano le cose.
La prima: Tom è uno schiavo nero, ma un
uomo di fiducia del suo buon padrone bianco. Viene venduto insieme a un’altra
schiava, perché la piantagione è in difficoltà. Lei scappa, e finisce in una
comunità di quaccheri in Canada. Lui, Tom, no. Lui è fedele al suo padrone, sa
che è stato venduto per necessità. Il figlio del padrone, il tredicenne George,
che gli è affezionato, gli promette che un giorno lo libererà. Tom passa di
disavventura in disavventura, ma è sempre docile. Una sola cosa si rifiuta di
fare: l’aguzzino di altri neri. E pagherà caro questo rifiuto. Quando George,
ormai adulto, lo ritroverà, Tom morirà tra le sue braccia. È questa, stringata,
la trama di La capanna dello zio Tom, il fortunato – vendette
trecentomila copie solo quando apparve, il 1850, vero best-seller
dell’Ottocento – libro di Harriet Stowe. La guerra civile è ancora lontana – ci
vorranno altri dieci anni – ma la Stowe è una convinta abolizionista. Il libro
fu amato nel Nord degli Stati uniti – quando Lincoln incontrò la Stowe, la abbracciò
commosso –, e odiato nel Sud.
La seconda storia: gli Stoleman
sono una famiglia del Nord (Austin, il capofamiglia, è un politico
abolizionista), mentre i Cameron sono una classica famiglia del Sud. Si
conoscono, si frequentano, i rispettivi figli – maschi e femmine – intrecciano
storie di amicizia e amore. La guerra civile li divide, e scava un solco fra
loro. Mentre Austin Stoleman diviene sempre più potente, il Sud è in un
crescendo di caos, con i neri sempre più arroganti, rozzi e brutali, appoggiati
da corrotti politici repubblicani del Nord. L’Era della Ricostruzione sta
mostrando un volto di tragedia: tutti i valori sono rovesciati, il mondo è
sottosopra. Le elezioni sono una farsa, che finisce con il moltiplicare il
desiderio di vendetta dei neri e la povertà dei bianchi. Dopo un ennesimo
tentativo di violenza e stupro di un nero ai danni di una donna bianca, sarà
uno dei giovani Cameron a chiamare a raccolta altri bianchi e costruire
un’armata di cavalieri che ristabilisca l’ordine e i valori tradizionali del
Sud: sono i Clansmen. The Clansmen è il libro di Thomas Dixon – pubblicato nel 1905 – che dieci anni
dopo Griffith userà come sceneggiatura per l’epopea di Nascita di una nazione, vero capolavoro cinematografico (è il primo film in cui il plot fa da protagonista) che servirà
per prestare un “codice d’onore” all’oscuro movimento del Ku Klu Klan che era stato smantellato dopo
la fine della Guerra civile e favorirne la riorganizzazione, e anche per
rifondarne l’immaginario simbolico – le tuniche bianche con il cappuccio, le
croci sulle maniche, le croci bruciate per incutere timore, tutto questo è
“opera” di Griffith. Il film – che ebbe un successo straordinario, restando per
decenni in testa alla classifica delle pellicole più viste nella storia del
cinema e una di quelle che produsse maggiori guadagni (il più ricco risultò
proprio Dixon che accettò di prendere il venticinque percento degli incassi
invece di un saldo per l’acquisto della trama) – provocò tumulti negli Stati
uniti, con il boicottaggio in molti cinema del Nord e accoglienze entusiaste al
Sud. Dixon disse sempre che lui non condivideva le azioni del Ku Klux Klan,
anche se ne apprezzava le motivazioni. Griffith diede un colpo alla botte, dopo
quello al cerchio, con il suo successivo capolavoro, Intolerance, in cui si schierava apertamente contro il razzismo.
E forse si può partire dalla
storia, dalle cose come sono. La Prima sezione del XIV Emendamento della Costituzione degli Stati uniti d’America recita così: «All persons born or naturalized in the United States, and
subject to the jurisdiction thereof, are citizens of the United States and of
the State wherein they reside / Tutte le persone nate o naturalizzate negli
Stati uniti e soggette alla loro giurisdizione sono cittadini degli Stati uniti
e dello Stato in cui risiedono». E prosegue: «Nessuno Stato potrà legiferare o
rafforzare leggi che limitino i privilegi e le immunità dei cittadini degli
Stati uniti; nessuno Stato potrà privare qualsiasi persona della vita, della
libertà o della proprietà senza un regolare processo; né negare a qualsiasi
persona sotto la sua giurisdizione l’eguale protezione delle leggi».
Il Quattordicesimo Emendamento,
votato nel 1868, mirava soprattutto a fare piazza pulita dei Black Codes nel
Sud, quell’accozzaglia di disposizioni che, dopo la Guerra Civile, impedivano
ancora la piena libertà dei neri, sia nel lavoro sia nella
cittadinanza, ristabilendo la supremazia dei bianchi. Strenuo oppositore ne fu
il Partito Democratico, che basava la sua strabordante rappresentatività negli
Stati del Sud e quindi nel Congresso sull’esclusione dei neri dall’esercizio
del diritto di voto. Da allora, è stato la base per diverse e controverse
decisioni della Corte Suprema fino ai nostri giorni (a esempio, sull’aborto,
sulla scuola, sul voto).
Allora, comunque, non bastò. E
ci vollero, tra il 1870 e il 1871, gli Enforcement Acts di Ulysses Grant, il
generale che aveva vinto la Guerra civile e che ora era presidente, per cercare
di sistemare le cose. Furono tre leggi; la prima: «An Act to enforce the Right of
Citizens of the United States to vote in the several States of this Union, and
for other Purposes / per rafforzare il diritto di voto»; la
seconda era sostanzialmente simile alla prima, ma veniva irrobustita perché
divenisse effettiva – prevedeva una possibilità di controllo da parte federale
su elezioni di stato e locali se anche solo due cittadini in città con più di
ventimila abitanti l’avessero chiesto e più severità per chi ne impedisse
l’applicazione, con multe più salate e in alcuni casi la prigione. La terza,
formalmente: «An Act to enforce the Provisions of the Fourteenth
Amendment to the Constitution of the United States, and for other Purposes /
per l’applicazione del Quattordicesimo Emendamento» è anche nota come Ku Klux Klan Act. La legge consentiva al
presidente di far intervenire l’esercito per ristabilire l’ordine e di
sospendere l’habeas corpus, se fosse servito a fermare la violenza del Klan.
Era ormai guerra dichiarata. Fu grazie a questa legge che il Klan venne portato
davanti ai tribunali del Sud e molti suoi membri condannati, fino a perdersene
le tracce.
Fondato nel 1866 da un pugno di veterani confederati come un social club in
Pulaski, Tennessee, e estesosi in molti Stati del Sud, divenne ben presto un’altra
cosa. L’anno dopo, in un convegno delle numerose branche locali, si decise che
da quel momento si sarebbero chiamati «l’Invisibile Impero del Sud», con Maghi, Dragoni, Titani e
Ciclopi a costituirne la gerarchia. La crescita del Klan coincise con la seconda
fase della Reconstruction Era, che aveva assunto caratteri più duri: il Sud era stato diviso in
cinque distretti militari e a ciascun Stato era stato intimato di convalidare
il Quattordicesimo Emendamento. Molti neri cominciavano a partecipare alla vita pubblica, vincendo le elezioni locali e
anche quelle per il Congresso: ovviamente, erano sotto le bandiere del Partito
repubblicano. È a questo punto che iniziano le intimidazioni e le violenze del Klan, rivolte contro leader e
elettori bianchi e neri repubblicani, con il tentativo di ripristinare la
supremazia dei bianchi. Il Klan si unisce a altre organizzazioni simili: i
Cavalieri della Bianca Camelia, della Louisiana, e la Fratellanza Bianca.
Almeno il dieci per cento dei politici repubblicani eletti diventa vittima di
atti di violenza: sette vengono uccisi. Bianchi repubblicani (derisi, per
essere dei traffichini della politica, dei tappetari, carpetbaggers) e istituzioni nere, come chiese e scuole, sono colpiti.
Nel 1870, il Klan è ormai diffuso in quasi tutti gli Stati del Sud: ma non ha una struttura
centrale o una gerarchia riconosciuta, e ogni branca locale agisce di testa
propria. Una delle zone di maggior radicamento è il South Caroline, dove nel gennaio 1871
cinquecento uomini mascherati assaltano la prigione e linciano nove neri
detenuti.
Sebbene successivamente –
quando le azioni clamorose e clandestine del Klan divennero un boomerang,
perché portavano sempre più truppe dell’Unione e sempre più controllo del Nord
– i leader democratici dipinsero gli appartenenti al Klan come i bianchi più
poveri del Sud, i membri dell’organizzazione attraversavano invece tutte le
classi sociali: dai piccoli coltivatori ai semplici lavoratori, dai padroni
delle piantagioni a avvocati, commercianti, medici, pastori. Nelle aree dove
l’attività del Klan era più forte, i rappresentanti locali della legge erano
iscritti o si rifiutavano di intraprendere azioni contro, e anche i membri che,
arrestati, confessavano non trovavano poi testimoni che ne corroborassero le
prove. Ma la durezza di Grant non si fermò;per la fine degli anni Settanta dell’Ottocento il Klan era
smantellato. Solo che i suoi obiettivi – frenare l’avanzata dei neri – si erano
realizzati attraverso l’immissione in massa nel Partito democratico.
Fu il film di Griffith a far
rivivere il Klan. Bianchi, protestanti, la prima riunione si svolse a Atlanta,
Georgia, nel 1915. Stavolta non ce l’avevano solo con i neri, ma con la Chiesa
cattolica, gli ebrei, gli alcolizzati, le prostitute, quelli dalla dubbia e
doppia moralità, gli immigrati, le organizzazioni sindacali e il comunismo: era
il razzismo moderno. Lo sviluppo di questo secondo Klan fu
impetuoso, allargandosi verso il Midwest e il West. Nel Michigan, a Detroit, c’erano quarantamila membri, lavoratori e middle class che
lottavano contro gli immigrati dell’Est europeo e gli ebrei. Al Sud la
maggioranza erano Democratici, altrove erano sia Repubblicani che democratici. Nel 1924, si contavano tra l’un milione e mezzo e i quattro
milioni di iscritti – qualcosa che stava tra il
quattro e il quindici per cento della popolazione elettorale. In Indiana, un
elettore su cinque era del Klan. Ma il Klan cresceva anche nelle grandi città
del Sud, come Dallas. Era un movimento di massa, il razzismo come ideologia politica.
Il “colpo di genio” del nuovo fondatore, Simmons, era stato
affidarsi a due pubblicitari di mestiere, Elizabeth Tyler, detta
Bessie, e Edward Young Clarke; lei, sposata la prima volta a quindici anni e
dopo risposatasi tre o quattro volte, lui, un puttaniere: hanno una storia ma
la tengono clandestina. Prendono le quote di iscrizione e ne versano una parte
all’organizzazione centrale e ne trattengono l’altra. Combattono l’immoralità,
ma si danno alla bella vita. Li scoprono, scoppia lo scandalo. Ma il colpo di
grazia è il processo al Grande Dragone dell’Indiana, per il sequestro, lo
stupro e l’orribile assassinio – «il corpo sembrava masticato» – di una
ragazzina di sedici anni. L’eccessiva infatuazione verso il nazismo tedesco diventa poi una condanna quando l’America entra in guerra. Di
nuovo, il Klan scompare.
Per riapparire quando il
movimento per i diritti civili diventa una realtà forte nel Sud. È allora chetornano le croci di fuoco, la violenza, l’assassinio contro i neri e
contro i bianchi venuti per aiutarli a registrarsi per il voto. Nel 1965, sarà il presidente Lyndon Johnson – un uomo
del Sud, Texas – a rivolgere un discorso pubblico, in televisione, contro il
Klan, dopo l’assassinio di una giovane donna bianca che organizzava le lotte
per i diritti civili in Alabama.
Dagli anni Settanta in poi il Klan è solo una piccola struttura
insieme a altre micro-organizzazioni di estrema destra: nel 1990 se ne stimano
tra i cinque e i diecimila membri, soprattutto nelle aree del profondo Sud. Vi si iscrive anche un giovane democratico, David Duke, a appena diciassette anni,
fino a diventare Gran Mago. Duke tenta più volte l’elezione con il Partito
democratico, ma non ci riesce. Così, entra nel Partito repubblicano, proprio
come Steve Bannon, anima nera di Breitbart News e ora consigliere strategico di
Trump, prima democratico e poi repubblicano, per essere finalmente eletto. Poi,
esce dal Klan. Poi chissà.
Il Klan è così, scompare e poi riappare. Come il fascismo.
(*) Ripreso da “Comune-info” ma
pubblicato anche su “il dubbio” e su lanfrancocaminiti.com.
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