Sul momento non volevo crederci. Più
semplicemente, non capivo le ragioni di quello che mi si presentava come un
fatto. Un uomo di 48 anni condannato a cinque anni di carcere per aver mancato
di recarsi a firmare in questura per il Daspo. E’ la storia di Alessio Abram,
anconetano, piuttosto noto a chi si occupa di diritti dei migranti e di sport.
È tra i fondatori della Polisportiva Assata Shakur e da molti anni impegnato
nel rendere lo sport un ambito inclusivo e aperto alle diversità. Daspo sta per
Divieto di accedere alle manifestazioni sportive. Venne introdotto nel 1989 e
aggiornato e modificato alcune volte fino al 2007, anno in cui vede la luce la
legge che porta la firma di Giuliano Amato, all’epoca ministro dell’interno. Di
lí a poco venne seguito dalla Tessera del Tifoso.
Entrambi i
provvedimenti esprimono la volontà dei vari governi di affrontare il problema
della violenza negli stadi con mezzi “eccezionali”. I risultati sono di fronte
a tutti. Il calcio italiano continua a perdere spettatori al punto che la Serie
A è ormai il quinto campionato al mondo per numero di spettatori, dietro
Germania, Inghilterra, Spagna e Messico. Fino a venticinque anni fa era al
primo posto. La Francia ha ormai quasi la stessa media di spettatori
dell’Italia ed è possibile che presto la superi.
I provvedimenti emergenziali del governo
hanno allontanato le persone dagli stadi. Non hanno allontanato la “violenza”,
anzi l’evidenza dei fatti suggerisce che il contrario accade. I veri violenti
continuano ad esserci. Invece di cercare una strada condivisa con società,
federazione e associazioni dei tifosi, lo stato ha preferito gesti repressivi
colorati e vacui che hanno avuto solo l’effetto di titillare l’interesse dei
media e di conseguenza del popolo votante. La storia di Alessio Abram si
inserisce in questo scenario dalle tinte confuse.
Non ho mai incontrato Alessio ma ci siamo
parlati alcune volte al telefono e scambiati dei messaggi email mentre lavoravo
alla ricerca che ha portato al libro ‘The Balotelli Generation’. L’ho
intervistato per conoscere meglio il lavoro che conduce con la Polisportiva
Antirazzista Assata Shakur, che raccoglie una palestra di arti marziali, una
squadra di cricket, e una squadra di calcio. Una nota: nel 2011, al momento di
iscrivere la squadra al campionato di Terza Categoria, la Lega Dilettanti e la
Figc delle Marche si opposero all’uso del nome Assata Shakur perché si tratta
di una militante delle Pantere Nere inserita dagli Usa nell’elenco dei
‘terroristi domestici’. Dal 1984 Shakur vive come rifugiata politica a Cuba e
il suo caso giudiziario continua a ricevere attenzione da parte di avvocati e
militanti per i diritti civili. E’ diventata un simbolo per molti che si occupano
dei diritti delle minoranze (la sua autobiografia è stata pubblicata in Italia
nel 1993 dall’editore Massari).
Per continuare a giocare nei campionati
ufficiali, la Polisportiva anconetana ha modificato, con un filo d’ironia, il
nome in ‘Konlassata’ e ha recentemente vinto il campionato di terza categoria.
Tra le sue varie attività, nel 2014 la Polisportiva ha lanciato un appello per
cambiare i regolamenti della Figc per il tesseramento dei minori stranieri. Un
tema che, come dimostrano i diversi casi di giovani rifugiati a cui è stata
rifiutato il tesseramento seguiti dall’Asgi (Associazione Studi Giuridici
dell’Immigrazione), rimane di forte attualità.
Negli anni novanta Alessio Abram era un
ultras dell’Ancona. Faceva parte di un gruppo di tifosi di sinistra, uno dei
gruppi che nel 1997 diedero vita ai Mondiali Antirazzisti e a molte altre
iniziative in varie parti d’Italia. Alessio è una delle cinquemila persone che
in questi anni ha ricevuto un Daspo. Per ricevere un Daspo basta essere
segnalato come “tifoso pericoloso” e ti viene proibito di andare allo stadio.
E’ una misura preventiva che può essere comminata anche in assenza di reato.
Un’altra particolarità del Daspo è che la decisione è firmata dal Questore, dal
capo della polizia per intenderci, e non da un giudice. E’ un semplice atto
amministrativo, ma con delle implicazioni penali non indifferenti, come
dimostra il caso di Alessio. Il Daspo prevede che nel giorno in cui la tua
squadra gioca le partite ufficiali sei obbligato a recarti in caserma per
firmare un documento che afferma che sì, non sei andato allo stadio quel
giorno. Viene da chiedersi a che serva la Tessera del Tifoso e la vendita
nominale elettronica dei biglietti se per essere certi che qualcuno non entri
allo stadio devi farlo andare di persona in caserma.
Come altri, Alessio alcune volte aveva
altro da fare e non è andato in caserma per firmare il Daspo. Non era allo
stadio dove gioca l’Ancona, era assieme alla sua squadra composta in larga
parte da immigrati e militante nei campionati dilettanti. Un giorno i
carabinieri si sono recati al campetto dove giocava l’Assata Shakur e gli hanno
consegnato un “invito” a presentarsi in caserma. Alla fine della partita si è
recato in caserma ed è stato rinchiuso in carcere per due giorni. Processato
per direttissima, è stato condannato a tre anni di carcere per non aver
ottemperato al Daspo. In effetti, si trovava ad una manifestazione sportiva, ma
in qualità di dirigente della squadra da lui stesso fondata! Da questo semplice
episodio si può comprendere le ragioni per cui, negli ultimi anni,
l’opposizione al Daspo è cresciuta in un movimento civile che contesta la
criminalizzazione dei tifosi di calcio e degli appassionati in genere.
Tuttavia, i casi si moltiplicano domenica dopo domenica.
La storia di Alessio Abram dimostra
inoltre che in Italia è più facile ottenere i domiciliari per chi ha
saccheggiato per anni una delle più antiche biblioteche d’Europa ed è stato per
questo condannato a sette anni di carcere (è il caso dell’ex direttore della
Biblioteca Dei Girolamini di Napoli, il veronese Massimo De Caro), che per un
attivista pubblico destinatario di Daspo. Abram è in carcere dal 13 novembre
2015 e in questi mesi gli è stato negato perfino il permesso di uscire per
poche per il compleanno del figlio. Amici e conoscenti hanno da poco pubblicato
un libro collettivo, edito da Affinità Elettive, intitolato “Un calcio alle
sbarre”. Il
libro raccoglie i contributi di giornalisti, scrittori, educatori e amici che
hanno condiviso o conosciuto le sue molteplici attività. È una storia che fa
riflettere e fa comprendere le assurde traiettorie della “giustizia” e di chi
l’amministra.
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