L’Iraq raccontato da Nazik al-Malaika - Cecilia D’Abrosca
Nazik
al-Malaika, scrittrice irachena, è tra le intellettuali, femministe, più
incisive del XX secolo. La sua azione nel mondo letterario rovescia i canoni
formali, stilistici ed estetici della poesia araba, superandola e innovandone
il linguaggio. La sua visione di poesia si accompagna a un’ideologia femminista
e libertaria che agisce, in modo inequivocabile, sull`evoluzione della cultura
e della storia letteraria. È la prima letterata mediorientale a contravvenire
alle regole di scrittura vigenti, ad artefice della “rottura” del verso
classicamente concepito, sfociato nel verso libero, sciolto dalla rima, che
tenta di riprodurre il ritmo naturale del parlato.
Iraq. Baghdad è la città in cui Nazik
al-Malaika nasce. La storia del suo Paese è percorsa dalla sua
Poesia: delusione, speranza, esilio, depressione, repressione. Sin da piccola
vive immersa in un ambiente letterario, che vede suo padre, editore e docente,
e sua madre, poetessa femminista, i quali instillano nei quattro figli
l’importanza dell’istruzione e delle arti. Nazik al-Malaika è nota per essere
tra le donne più istruite del suo tempo: parla quattro lingue, si laurea in
Letteratura al College of Arts della sua
città e qualche anno dopo, vincitrice di una borsa di studio, si trasferisce
negli Stati Uniti, dove consegue un MA in Letterature Comparate all’Università
del Wisconsin. Sposa un suo collega, Abd al-Hadi Mahbuba, col quale
contribuisce a fondare l’Università di Basrah, città a sud dell’Iraq, divenendo
docente di “Lingua e letteratura araba.” Il suo spirito innovatore ed
artistico, il bisogno di autonomia economica e di libertà mentale, attirano
l’attenzione di coloro che diventeranno i suoi critici più spietati: i
rappresentanti del mondo accademico “classico.” Da lì in avanti, sarà costretta
a fronteggiare un ambiente lavorativo che tenta di oscurare i meriti derivanti
da anni di studio e ricerca.
Scrive la
sua prima poesia in arabo, in età precoce, spinta da suo padre, anch’egli
poeta. Qualche anno dopo, pubblica la collezione The Lovers of The Night (1947), che segnerà
l’inizio della sua carriera letteraria. Un sentimento idealista, intrecciato al
timore dell’illusione, pervade l’intera opera, che richiama, in alcuni momenti,
il rapporto con la natura e con la notte. Il verso usato è quello classico,
influenzato dall’amore che Nazik nutre per la musica araba, tant’è che impara a
suonare il liuto (una specie di mandolino molto comune nei paesi arabi), in una
scuola irachena. La seconda raccolta, Sparks e Ashes (1949),
prende spunto dalla realtà circostante e dalle sue facce – il nazionalismo, il
delitto d’onore, l’impegno delle donne in poesia. Il testo ha un tono
sovversivo: nell’introduzione, Nazik al-Malaika, afferma che lo stile di
linguaggio della poesia araba tradizionale è la ragione che impedisce ai suoi
poeti di irrompere nel contesto della letteratura straniera internazionale.
La rivoluzione del verso libero (free verse). Nazik
al-Malaika intuisce la potenzialità del verso libero e l’evoluzione del
linguaggio poetico che da lì a poco si sarebbe determinata. Affascinata, sin
dagli anni universitari, dalla poesia inglese di John Keats, comincia a
staccarsi dai canoni della poesia araba classica, complice, la nascita del
Movimento del verso libero in Iraq, del quale fa parte, a partire dal 1947. Gli anni dedicati alla sperimentazione raggiungono l’apice
attraverso la sostituzione al verso rimato, classico, del verso libero, ossia
privato della rima, della metrica e di altre forme stilistico-espressive.
L’opera che sancisce e legittima l’uso del verso libero nella poesia araba, che
descrive la poetica di Nazik al-Malaika e motiva le sue scelte letterarie è, Questioni
della poesia contemporanea, pubblicata a Beirut, nel 1962.L’introduzione
della sua concezione/visione di poesia, aperta e in trasformazione, è seguita
da un nuovo inizio, a livello del quale, la produzione araba del Novecento si
adegua al pradigma linguistico ed estetico diffuso in altri paesi.
Pur essendo nata in una famiglia liberale e
profondamente colta, la sua condizione costituisce un’anomalia nella società
irachena: una poetessa donna impegnata in numerose iniziative sociali,
interprete eloquente di un’ideologia femminile e femminista che prende le
distanze da molti aspetti e convenzioni sociali, che rinnova la poesia
classica, riconoscendola ma superandola, che combatte per la conquista di un
maggiore spazio delle donne, nelle arti e nella cultura. Il contesto di maturazione
delle sue scelte è quello che vede tradizione e sperimentazione in antitesi. Da
un lato, il conservatorismo intellettuale, che schiaccia le nuove tendenze e
guarda con sfiducia alla trasformazione del verso, dall’altro, le spinte al
modernismo, di cui Nazik si fa portatrice: il passaggio dalla poesia classica
alla forma libera, è controverso e doloroso. A partire da questa temperie, si
giunge alla terza collezione, Dept of the Wave (1958), che ospita la forma tradizionale di poesia e
quella più recente. Mentre, il suo primo componimento “non rimato”, è Cholera, scritto alla fine degli anni ’40 per le
vittime di colera in Egitto. I genitori, da principio, sono restii ad accettare
quello stravolgimento del modo di fare poesia, definendo l’opera di Nazik priva
di musicalità.
Le vicende
storiche e politiche degli anni Cinquanta segnano Nazik al-Malaika, attraverso
l’esperienza dell’allontanamento dal suo Paese e il continuo cambiamento
di vita e di luoghi. Nel 1958, la monarchia hashemita in Iraq fu sostituita
dalla Repubblica, ma la disillusione, determinata da un regime brutale, spegne
le aspettative e Nazik si trasferisce a Beirut l’anno dopo. Negli anni Settanta
lascia il Paese e si trasferisce in Kuwait, dove insegna all’Università per
circa venti anni. Durante la sua vita insegna “Lingua e letteratura araba” per
quaranta anni, nelle università di Baghdad, Kuwait e della stessa Basrah. Nel
1968 esce la quarta raccolta, Tree of the Moon ed
è del 1970 The Tragedy of Life and a Song for Man.
Nel 1990
Saddam Hussein invade il Paese ed è costretta a lasciare il Kuwait e rifugiarsi
in Egitto. Vivrà al Cairo fino al 2007, anno della sua morte. Nazik e l’ideologia femminista. Nazik al-Malaika
riveste un’importanza decisiva all’interno del movimento modernista, diventando
una vera e propria ispirazione per le donne: pensatrice indipendente,
accademica, scrittrice socialmente impegnata, in grado di esprimersi in modo
eleoquente. Nazik riesce ad eccellere nell’area umanistica in anni in cui lo
spazio riservatoa d una donna è pressoche nullo. Ciò che le donne di fatto
vivono e praticano nella società araba, in quegli anni, è un impulso a
sopprimere, non esprimere, le emozioni e la propria vita interiore. In qualche
modo, si fa sostenitrice e rappresentante, che a differenza sua, erano private
dalla facoltà di esprimere dissenso. La sua linea di comportamento proietta il
movimento modernista verso un femminismo in fieri che
intacca la dicotomia tra scrittori e scrittrici; spinge all’emancipazione
femminile e al raggiungimento di una centralità riservata alle donne, in ambito
poetico, letterario e artistico. Le sue azioni si concretizzano nei pubblici
dibattiti, ma soprattutto attraverso la scrittura, per mezzo della quale sa chi
e come colpire.
Due documenti importanti recano traccia del suo
pensiero femminista: Women between Two Poles: Negativity and Morals (1953),
nel quale chiama le donne ad emanciparsi dalla stagnazione e dalla negatività
che risiede nella società araba, e un saggio, Women Between the
Extremes of Passivity and Choice (1954), che sfida il sistema
patriarcale dell’Iraq e si pone come una voce critica, e fuori dal coro, della
struttura sociale. Una
delle poesie più forti di questi anni è To Wash Disgrace (che
catturerà l’attenzione dei media internazionali), che affronta la questione del
delitto d’onore. Contro una immagine standardizzata della donna, fonda
un’associazione che rifiuta di “categorizzare” il matrimonio, e dunque il ruolo
di moglie e madre prescritto dalla società come l’unica via al cambiamento di status e di affermazione femminile, sottolineando
che, altre forme di crescita e di realizzazione personali sono possibili.
Negli ultimi anni la produzione di Al-Malaika include una lunga poesia intitolata The Tragedy of Life (1970), poi vi è For Prayer and Revolution (1973), When The Sea Changes Colors (1974) e A Song for Man, basata
su un’ opera della stessa, del 1952, infine Lament of a Worthelss Woman.
Il suo ultimo poema è I am Alone, elogio
funebre dedicato a sua marito, scomparso nel 2005.
ecco alcune poesie;
Io
la notte mi chiede chi sono
sono il segreto della profonda nera insonnia
sono il suo silenzio ribelle
ho mascherato l’anima di questo silenzio
ho avvolto il cuore di dubbi
immota qui
porgo l’orecchio
e i secoli mi chiedono
chi sono
sono il segreto della profonda nera insonnia
sono il suo silenzio ribelle
ho mascherato l’anima di questo silenzio
ho avvolto il cuore di dubbi
immota qui
porgo l’orecchio
e i secoli mi chiedono
chi sono
E il vento chiede chi sono
sono la sua anima inquieta rinnegata dal tempo
come lui sono in nessun luogo
continuiamo a camminare e non c’è fine
continuiamo a passare e non c’è posa
giunti al baratro
lo crediamo il termine della pena
e quello è invece l’infinito
sono la sua anima inquieta rinnegata dal tempo
come lui sono in nessun luogo
continuiamo a camminare e non c’è fine
continuiamo a passare e non c’è posa
giunti al baratro
lo crediamo il termine della pena
e quello è invece l’infinito
Il destino chiede chi sono
potente come lui piego le epoche
e ridòno loro la vita
creo il passato più remoto
dall’incanto di una vibrante speranza
e lo sotterro ancora
per forgiarmi un nuovo ieri
di un domani gelido
potente come lui piego le epoche
e ridòno loro la vita
creo il passato più remoto
dall’incanto di una vibrante speranza
e lo sotterro ancora
per forgiarmi un nuovo ieri
di un domani gelido
Il sé chiede chi sono
come lui vago, gli occhi fissi nel buio
nulla che mi doni la pace
resto ancora e chiedo, e la risposta
resta nascosta dietro il miraggio
ancora lo credo vicino
al mio raggiungerlo
come lui vago, gli occhi fissi nel buio
nulla che mi doni la pace
resto ancora e chiedo, e la risposta
resta nascosta dietro il miraggio
ancora lo credo vicino
al mio raggiungerlo
tramonta
dissolto, dispare
dissolto, dispare
Invito alla vita
Arrabbiati, ti amo arrabbiato e ribelle,
rivoluzione cocente, esplosione.
Ho odiato il fuoco che dorme in te, sii di brace
diventa una vena appassionata, che grida e s'infuria.
Arrabbiati, il tuo spirito non vuole morire
non essere silenzio innanzi al quale scateno la mia tempesta.
La cenere degli altri mi è sufficiente, tu, invece, sii di brace.
Diventa fuoco ispiratore delle mie poesie.
Arrabbiati, abbandona la dolcezza, non amo ciò che è dolce
il fuoco è il mio patto, non l'inerzia o la tregua con il tempo
non riesco più ad accettare la serietà e i suoi toni gravi e tranquilli.
Ribellati al silenzio umiliante
non amo la dolcezza
ti amo pulsante e vivo come un bambino
come una tempesta, come il destino
assetato di gloria suprema, nessun profumo
può alterare le tue visioni, nessuna rosa...
La pazienza? È la virtù dei morti.
Nel gelo dei cimiteri, sotto l'egida dei versi
si sono addormentati e abbiamo dato calore alla vita
un calore esaltato, passione degli occhi e delle gote.
Non ti amo oratore, ma poeta
il cui inno esprime ansia
tu canti, sebbene alterato, anche se la tua gola sanguina
e se la tua vena brucia.
Ti amo boato dell'uragano nel vasto orizzonte
bocca tentata dalla fiamma, disprezzando la grandine
dove giacciono desiderio e nostalgia.
Odio le persone immobili
aggrotta le sopracciglia, mi annoi quando ridi
le colline sono fredde o calde,
la primavera non è eterna
il genio, mio caro amico, è cupo
e i ridenti sono escrescenze della vita
amo in te la sete eruttiva del vulcano
l'aspirazione della notte profonda a incontrare il giorno
il desiderio della sorgente generosa di stringere le otri
ti voglio fiume di fuoco, la cui onda non conosce fondo.
Arrabbiati contro la morte maledetta
non sopporto più i morti.
Orazione funebre per una donna insignificante
Arrabbiati, ti amo arrabbiato e ribelle,
rivoluzione cocente, esplosione.
Ho odiato il fuoco che dorme in te, sii di brace
diventa una vena appassionata, che grida e s'infuria.
Arrabbiati, il tuo spirito non vuole morire
non essere silenzio innanzi al quale scateno la mia tempesta.
La cenere degli altri mi è sufficiente, tu, invece, sii di brace.
Diventa fuoco ispiratore delle mie poesie.
Arrabbiati, abbandona la dolcezza, non amo ciò che è dolce
il fuoco è il mio patto, non l'inerzia o la tregua con il tempo
non riesco più ad accettare la serietà e i suoi toni gravi e tranquilli.
Ribellati al silenzio umiliante
non amo la dolcezza
ti amo pulsante e vivo come un bambino
come una tempesta, come il destino
assetato di gloria suprema, nessun profumo
può alterare le tue visioni, nessuna rosa...
La pazienza? È la virtù dei morti.
Nel gelo dei cimiteri, sotto l'egida dei versi
si sono addormentati e abbiamo dato calore alla vita
un calore esaltato, passione degli occhi e delle gote.
Non ti amo oratore, ma poeta
il cui inno esprime ansia
tu canti, sebbene alterato, anche se la tua gola sanguina
e se la tua vena brucia.
Ti amo boato dell'uragano nel vasto orizzonte
bocca tentata dalla fiamma, disprezzando la grandine
dove giacciono desiderio e nostalgia.
Odio le persone immobili
aggrotta le sopracciglia, mi annoi quando ridi
le colline sono fredde o calde,
la primavera non è eterna
il genio, mio caro amico, è cupo
e i ridenti sono escrescenze della vita
amo in te la sete eruttiva del vulcano
l'aspirazione della notte profonda a incontrare il giorno
il desiderio della sorgente generosa di stringere le otri
ti voglio fiume di fuoco, la cui onda non conosce fondo.
Arrabbiati contro la morte maledetta
non sopporto più i morti.
Orazione funebre per una donna insignificante
Ci ha lasciati senza un pallore di gota o un fremito di labbra
le porte non hanno sentito nessuno narrare della sua morte
nessuna tenda alle finestre stillante dolore
si è levata per seguire il suo feretro sino a che non scompaia dalla vista
a eccezione delle poche persone che si sono commosse al suo ricordo.
La notizia si è dissolta nei vicoli senza che il suo eco si diffondesse
e si è rifugiata nell'oblio di alcune fosse
la luna ha pianto questa tragedia.
La notte non se n'è curata e si è trasformata in giorno
Quindi è giunta la luce con le grida del lattaio, il digiuno,
il miagolio di un gatto affamato tutto pelle ed ossa,
le liti dei commercianti, l'amarezza, la lotta,
i bambini che lanciano pietre da un lato all'altro della strada,
le acque sporche nei canali e i venti che giocano da soli con le porte
delle terrazze
in un oblio pressoché totale.
(trad.it.: Valentina Colombo, in "Non ho peccato
abbastanza" - Antologia di poetesse arabe contemporanee, Milano, Mondadori,
2007, pp.131-4
COMPIANTO DI UN GIORNO VACUO
Nel lontano orizzonte si intravide il buio
finì il giorno estraneo
e i suoi echi si voltarono verso le caverne dei ricordi
e come era la mia vita così sarà anche domani
un labbro assetato e un bicchiere
la cui profondità rispecchia il colore di un odore
e semmai lo sfiorassero le mie labbra
non troverebbero i resti del sapore dei ricordi
non troverebbero nemmeno i resti
finì il giorno estraneo
finì e perfino i peccati singhiozzarono
e piansero anche le sciocchezze che io chiamai
ricordi
finì e non rimase nella mia mano
se non il ricordo d’una melodia che gridava nell’interiorità del mio essere
compiangendo la mia mano da cui svuotai
la mia vita, i miei ricordi lontani, e un giorno della mia giovinezza
tutto si perse nella valle dei miraggi
nella nebbia
era un giorno della mia vita
lo gettai perso senza agitazione
sui resti della mia giovinezza
presso il colle dei ricordi
sopra le migliaia di ore perse nella nebbia
nei labirinti di notti lontane
fu un giorno vacuo. Fu strano
che le ore pigre suonassero e calcolassero i miei momenti
non era un giorno della mia vita
era piuttosto un’indagine orrenda
del resto dei maledetti ricordi che strappai
insieme al bicchiere che ruppi
presso la tomba della mia speranza morta, dietro gli anni
dietro il mio essere
fu un giorno vacuo .. fino all’arrivo della sera
le ore passarono in uno stato di semipianto
tutte quante fino a sera
quando la sua voce svegliò il mio udito
la sua dolce voce che persi
quando la tenebra cinse l’orribile orizzonte
e si cancellarono i resti del mio dolore, e anche i miei peccati
e si cancellò la voce di Habibi
la mano del tramonto portò via i suoi echi
in un posto nascosto agli occhi del cuore
sparì e non rimase nulla se non il ricordo e il mio amore
e l’eco di un giorno estraneo
come il mio pallore
e fu vano supplicarlo di ridarmi indietro la voce di Habibi
finì il giorno estraneo
e i suoi echi si voltarono verso le caverne dei ricordi
e come era la mia vita così sarà anche domani
un labbro assetato e un bicchiere
la cui profondità rispecchia il colore di un odore
e semmai lo sfiorassero le mie labbra
non troverebbero i resti del sapore dei ricordi
non troverebbero nemmeno i resti
finì il giorno estraneo
finì e perfino i peccati singhiozzarono
e piansero anche le sciocchezze che io chiamai
ricordi
finì e non rimase nella mia mano
se non il ricordo d’una melodia che gridava nell’interiorità del mio essere
compiangendo la mia mano da cui svuotai
la mia vita, i miei ricordi lontani, e un giorno della mia giovinezza
tutto si perse nella valle dei miraggi
nella nebbia
era un giorno della mia vita
lo gettai perso senza agitazione
sui resti della mia giovinezza
presso il colle dei ricordi
sopra le migliaia di ore perse nella nebbia
nei labirinti di notti lontane
fu un giorno vacuo. Fu strano
che le ore pigre suonassero e calcolassero i miei momenti
non era un giorno della mia vita
era piuttosto un’indagine orrenda
del resto dei maledetti ricordi che strappai
insieme al bicchiere che ruppi
presso la tomba della mia speranza morta, dietro gli anni
dietro il mio essere
fu un giorno vacuo .. fino all’arrivo della sera
le ore passarono in uno stato di semipianto
tutte quante fino a sera
quando la sua voce svegliò il mio udito
la sua dolce voce che persi
quando la tenebra cinse l’orribile orizzonte
e si cancellarono i resti del mio dolore, e anche i miei peccati
e si cancellò la voce di Habibi
la mano del tramonto portò via i suoi echi
in un posto nascosto agli occhi del cuore
sparì e non rimase nulla se non il ricordo e il mio amore
e l’eco di un giorno estraneo
come il mio pallore
e fu vano supplicarlo di ridarmi indietro la voce di Habibi
(traduzione di Gassid Mohammed)
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