Il 4
dicembre voterò no alla modifica costituzionale, perché è un regalo al mondo
degli affari contro i cittadini. L’impegno di banche, assicurazioni,
multinazionali e delle loro rappresentanze, per convincerci ad accettarla, né è
una riprova.
In sintesi
ecco le ragioni per cui a me non piace per niente e a loro, invece, piace così
tanto:
Accresce il potere delle lobby.
La riforma espropria le regioni di
importanti competenze economiche, fra cui le grandi opere e la produzione
energetica, per portarle sotto controllo statale. In conclusione per ottenere
provvedimenti favorevoli ai propri affari, le grandi industrie di costruzioni e
di estrazione energetica, non avranno più da fare anticamera in 20 regioni
diverse, ma presso un unico ufficio: quello di Palazzo Chigi. Un unico
organismo si condiziona sempre meglio di 20, specie se i partiti che ci stanno
dietro sono già sotto scacco perché vivono di contributi elargiti dalle
imprese.
Velocizza le leggi al servizio degli affari.
Salvo poche eccezioni, la
riforma riserva il potere legislativo alla sola Camera dei deputati. Il senato
ha solo facoltà di commento. In un momento di grandi trasformazioni
tecnologiche, le imprese hanno bisogno di rapidi passaggi legislativi per
adeguare le norme alla tecnologia che avanza. Del resto la litania la
conosciamo: la riforma è per la crescita. Serve, cioè, per creare un contesto
attraente per le imprese. E oltre alle riforme per abbattere salari, diritti
dei lavoratori, imposte sui profitti, servono leggi rapide per consentire l’uso
di tecnologie che rompono con abitudini radicate, con profonde convinzioni
morali, con una certa idea di sicurezza, con i rapporti interpersonali. Alcuni
esempi sono l’uso dei robot in ambito produttivo e civile, il ricorso sempre
più esteso alla bioingegnieria e alla procreazione artificiale, la circolazione
dei droni a fini commerciali, le questioni legate a internet. In un contesto
tanto amichevole per loro, a destra come a sinistra, le imprese non hanno
nessuna difficoltà a fare inserire i loro desiderata nei programmi di governo e
garantire automaticamente una corsia di approvazione privilegiata ai loro provvedimenti.
Lo stabilisce la norma sul voto a data certa. Ma oltre a nuove regole per
l’adozione di nuove tecnologie, le imprese hanno anche bisogno di approvazioni
celeri dei trattati internazionali, che ormai si stipulano quasi esclusivamente
per creare mercati più vasti e tutelare l’interesse delle imprese contro le
leggi che pongono divieti agli affari in nome della salute e dell’ambiente.
L’esclusione del Senato dalla ratifica dei trattati internazionali oltre a
essere una garanzia di celerità, riduce i rischi di bocciature.
Ignora le peculiarità locali per garantire contesti
legislativi uniformi a livello nazionale.
Riducendo i livelli regionali a meri amministratori di politiche decise a
livello statale, la riforma risponde a un’esigenza di fondo delle imprese che è
quello dell’omologazione legislativa. Per le imprese è strategico disporre di
un unico mercato con uniche regole perché la pluralità di regole, diversificate
per territorio, le costringe a una pluralità di strategie produttive, sociali,
fiscali, amministrative, che significano aumento di personale e quindi di
costi. E’ significativo che anche la sicurezza sul lavoro sia stata riportata
sotto controllo statale. Le imprese sognano un mondo con le stesse regole
sanitarie, ambientali, sociali, in modo da standardizzare al massimo la
produzione e le procedure amministrative. La standardizzazione abbatte i costi,
la diversificazione li accresce. In base a questo principio i panini di
McDonald’s sono gli stessi da un capo all’altro del mondo. Non a caso le
imprese spingono per trattati internazionali che armonizzano le legislazioni
nei paesi firmatari, esattamente come vorrebbero fare con il TTIP. La riforma
costituzionale è un passo in questa direzione eliminando le diversificazioni in
ambito nazionale.
Rende più difficile la partecipazione e la resistenza
popolare.
Lo
dimostra la decisione di sottrarre il senato al voto popolare e di riportare un
numero crescenti di competenze dalla periferia al centro. Più i centri
decisionali si allontano dai territori, più diventa difficile organizzare il
controllo e la pressione popolare per opporsi ai provvedimenti dannosi da un
punto di vista sociale, sanitario, ambientale. Del resto “la licenza di
protestare se vengono proposte modifiche sgradite dello status quo” è uno dei
punti che JP Morgan ha messo sotto accusa nel documento del maggio 2013. Ed
ecco la richiesta ai paesi del Sud Europa di sbarazzarsi di costituzioni
socialisteggianti se vogliono attrarre gli investimenti. Ma a questo punto una
domanda si pone: a che serve attrarre investimenti per ottenere nuovi posti di
lavoro se dobbiamo pagarli al prezzo della vita e della libertà?
Nessun commento:
Posta un commento