Durante
l'estate appena trascorsa il quotidiano toscano il Tirreno ha meritoriamente
chiesto ai suoi lettori di segnalare come sono cambiate le condizioni del
lavoro stagionale in quella regione, specie nel settore turistico-alberghiero.
Il quadro
che ne è uscito è più o meno questo: tuttofare di ristoranti che lavorano 70
ore a settimana per tre euro l'ora senza nemmeno un giorno libero; guardiani
notturni di stabilimenti balneari assunti per 15 giorni a 280 euro complessivi;
straordinari in hotel pagati mezzo euro l'ora; cuoche che per 564 euro fanno
120 ore al mese; assunti con contratti da 4 ore al giorno per lavorarne poi 14
o 16; "tirocinanti" a 500 euro al mese; cameriere pagate due euro per
ogni stanza pulita, quindi immerse in un corsa disperata e continua contro il
casino lasciato dai clienti; addette alla pulizia di una banca assunte per
mezz'ora al giorno, busta paga alla fine del mese di 60 euro.
Eccetera
eccetera: il catalogo è qui,
sicuramente comprende molti casi limite ma altrettanto sicuramente sono di più
quelli che non hanno avuto il coraggio di denunciare - nemmeno anonimamente -
condizioni simili o peggiori.
* * *
Quando due o
tre anni fa il governo Renzi varò prima il decreto Poletti poi il Jobs Act, io
sconsigliai i miei amici d'area Pd di farsi troppo vanto dei numeri Istat che
segnalavano un aumento degli occupati. Li sconsigliai per tre motivi: primo, il
curioso criterio per cui Istat considera occupato anche chi ha lavorato una
sola ora nella settimana di riferimento (e perfino chi ha lavorato almeno per
un’ora presso la ditta di un familiare senza essere retribuito); secondo,
l'evidente impatto su quei numeri degli sgravi fiscali a termine, un doping
pagato decine di miliardi dallo Stato, insomma una bolla e tutta a carico dei
contribuenti; terzo perché l'aumento dell'età pensionabile previsto dalla
riforma Fornero produce un effetto tappo in uscita, il che deforma il numero
finale complessivo degli "occupati".
Ma
soprattutto li sconsigliai di farsene vanto perché lo strombazzamento produce
l'effetto opposto, se non ha riscontri concreti nella vita delle persone. Cioè
determina l'effetto "non solo non c'è lavoro, ma mi pigliano pure per il
culo dicendo che tutto va bene".
È stato
probabilmente questo abisso tra narrazione e vita quotidiana a provocare (o
almeno a concausare) il rifiuto del renzismo che si è declinato il 4 dicembre
scorso. Se prendi tre euro l'ora o sei pagato a cottimo per portare cibo
giapponese in bicicletta, poi ti girano parecchio le balle a sentire in tivù
che l'occupazione va bene.
Ciò
nonostante, ancora ieri Renzi ha twittato contro i "gufi" per
l'aumento dell'occupazione Istat ad agosto, tutta trainata dal precariato
stagionale ben descritto dal Tirreno (specie per i giovani) e dal solito tappo
Fornero (per gli anziani). Amen. Dio acceca coloro che vuole perdere.
* * *
Chi invece
non vuole essere accecato, o annebbiato dalla narrazione tossica, può trovare
da giovedì 5 ottobre in libreria lo studio-inchiesta dell'economista Marta
Fana, che da qualche anno è andata vivere a Parigi come capita a molti
ricercatori italiani, ma ha continuato a occuparsi del lavoro nel nostro Paese.
Il libro si intitola, senza giri di parole, "Non è lavoro, è sfruttamento"
ed è edito da Laterza.
È, come
dicevo, una via di mezzo tra un'inchiesta sul campo nel mondo del lavoro
(quello vero, non quello dei dati Istat) e di analisi, cifre, tabelle,
confronti: insomma roba da economisti. Ma spiegato in modo talmente semplice
che lo capisco pure io.
C'è tutto:
c'è il lavoro gratuito più o meno nascosto da vari nomi, c'è il grande ritorno
del cottimo, c'è la parabola grottesca dei voucher, c'è lo schiavismo nella
logistica al servizio delle 'over the top' digitali, c'è la deriva nella stessa
direzione nei servizi pubblici e negli appalti delle pubbliche amministrazioni,
ci sono i meccanismi ricattatori e di torsione psicologica che si diffondono
nel nuovo clima tutto top-down, c'è il regalo di manodopera ad aziende come McDonalds,
Ibm e Bosch fatto passare per "alternanza scuola-lavoro".
Ma c'è anche
la distruzione del patto sociale che aveva garantito la crescita del Paese per
due decenni nel Dopoguerra; c'è la diffusione del mito farlocco e ideologico
secondo cui maggiore 'flessibilità' produce più posti di lavoro; c'è la
denuncia dell'interiorizzazione dello sfruttamento (quel "sempre meglio di
niente" che agevola parecchio la slavina del dumping salariale e di
diritti); ci sono gli interventi legislativi che hanno portato a questa
situazione (perché non è vero che il degrado non ha responsabili); e c'è la
guerra tra sfruttati, vero capolavoro del capitalismo contemporaneo.
E c'è infine
la denuncia politica: quello che è avvenuto non è stato una casuale
concomitanza di eventi - o uno spiacevole effetto collaterale della recessione
iniziata nel 2008: «Non siamo di fronte a un momento d'eccezione, bensì nel
pieno di un progetto politico che con la crisi è stato esacerbato per
riaffermare e consolidare il potere di una parte della società su un'altra.
Lavoro povero e sfruttamento sono la regola, non l'eccezione. (...) Dicevano:
meno diritti, più crescita. Abbiamo solo meno diritti».
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