Il grave episodio subito da una
nostra collega, malmenata da uno studente all’Alberghiero di Monserrato, è
una ferita aperta per l’intera società.
È accaduto
qualche giorno fa all’Istituto Alberghiero di Monserrato e il fatto è diventato
oggetto di interesse non solo dei giornali locali ma anche nazionali.
Una
insegnante riceve durante l’ora di lezione un pugno in faccia da un ragazzo,
cade a terra e sviene.
Intervengono
i colleghi e le colleghe, il personale Ata, la dirigente.
Vengono
chiamati il pronto soccorso e i carabinieri.
Viene
convocato il padre del ragazzo.
Nel
colloquio con la collega aggredita il padre dice con assoluta sicurezza che il
ragazzo hasemplicemente reagito ai due schiaffi della docente.
Evidentemente
il ragazzo ha subito confezionato una versione dei fatti che possa
giustificarlo pienamente trasformandolo da aggressore ad aggredito.
Per fortuna
ci sono testimoni che smentiscono clamorosamente questa versione.
E
restituiscono alla docente il ruolo di aggredita.
Non vogliamo
soffermarci sulla ricostruzione dei fatti che pure è importante.
Sui giornali
locali abbiamo letto dei racconti molto diversi da quanto ci sono stati raccontati
dalla protagonista passiva, che è una nostra collega e amica di tante/i di noi
nonché compagna di molte lotte (che hanno avuto pieno successo anche davanti ai
giudici).
Sarebbe
troppo semplice e naturale.
Vorremmo
solo provocare una riflessione nell’ambito dei COBAS della Scuola, tra colleghe
e colleghi ma anche all’interno della società civile.
Questo
episodio come sappiamo non è il primo e temiamo non sia l’ultimo.
Il che
significa: siamo tutti a rischio.
Due anni fa
era successo ad una collega dell’Istituto Tecnico Agrario di Nuoro: aveva
subito una minaccia di aggressione da un ragazzo in classe durante la lezione
anche in questo caso per aver cercato di impedire l’uso continuo di uno
smartphone.
Il ragazzo
era stato prima sanzionato con una sospensione dalle lezioni dal Consiglio di
Classe ma poi la sanzione era stata incredibilmente annullata dalla commissione
interna di garanzia, su proposta e voto favorevole della dirigente
scolastica.
E per di più
la dirigente aveva aperto un procedimento disciplinare contro la docente su
richiesta della famiglia la quale, anche in questo caso, asseriva che il
proprio figlio avesse solo reagito perché la docente l’aveva preso a calci.
Ovviamente
tale ricostruzione era falsa ed il procedimento disciplinare è stato archiviato
ma la cosa sconcertante é che il ragazzo ha ottenuto il pieno riconoscimento
sociale del suo gesto esemplare.
Non possiamo
esimerci dal fare i complimenti alla dirigente che si è così ben adoperata per
difendere lo studente dalle “angherie” di una docente che pretendeva di
svolgere la lezione senza disturbo continuo e senza uso del cellulare.
Un
comportamento come quello della dirigente di Nuoro (per fortuna molto diverso
da quello della dirigente di Monserrato che ha espresso piena solidarietà, alla
collega aggredita) trova, sempre più spesso, pieno consenso nell’opinione
semlicisticamente più diffusa che i docenti non sono in grado di svolgere bene
il loro lavoro, non sanno captare l’attenzione dei ragazzi, non sono in grado
di fare un lavoro educativo come richiede la sfida del tempo della
globalizzazione e della tecnologia multimediale.
La scuola è
in crisi e la responsabilità è dei docenti.
I ministri e
le ministre della istruzione (sempre molto competenti e lungimiranti) e la legge
della “buona scuola”, varata su iniziativa del governo guidato dal mai
abbastanza lodato primo ministro Renzi, hanno tentato di riformare radicalmente
la scuola ma nulla si può fare contro la resistenza e l’incapacità della classe
docente, pagata profumatamente e unica categoria di lavoro che ha un numero di
giorni di vacanza da far invidia ai giudici.
Questi sono
alcuni dei messaggi espliciti e soprattutto impliciti che ci vengono dai mass
media e dalla società civile.
Letti in
questa cornice interpretativa, le aggressioni alle docenti avvenute a Nuoro e
Monserrato possono confermare il giudizio impietoso sull’inattualità della
scuola e sull’impreparazione educativa della classe docente incapace di
rinnovarsi nonostante tutte le occasioni di formazione offerte dalle parti
migliori e più attive e moderne della società civile e delle istituzioni
pubbliche.
Crediamo che
questi fatti debbano richiedere una attenzione particolare.
Occorre
riflettere su tante questioni: le aspettative e le immagini anche implicite
della scuola che hanno le nuove generazioni; la loro immagine di sé; il
triangolo, quasi sempre implicito, che si genera tra giovani studenti, docenti
e famiglie; gli obiettivi che le istituzioni assegnano ai docenti e la loro
libertà di insegnamento; le enormi pressioni per coartare la loro libertà e il
loro modo di insegnare, in nome di una nuova moda e una nuova ideologia
modernista sposata dalle classi dirigenti che intende promuovere
l’addestramento alle competenze (sul cui significato non univoco si
discute da decenni); il rapporto tra scuola e ambiente di vita, che non è e non
può essere definito in termini di “territorio” ma che comprende mondi vitali
sempre molto complessi.
Nel gestire
quotidianamente questi difficili problemi, al di là di tutti i proclami
ideologici e le indicazioni istituzionali, i docenti e le docenti si trovano a
svolgere il loro lavoro, sempre più spesso, come persone sole, terribilmente
sole e talvolta senza il sostegno e la solidarietà delle altre colleghe e
colleghi e men che meno delle dirigenze scolastiche.
Di questi
importanti problemi però nei collegi docenti, ricchissimi di straordinari
progetti di grande valenza didattica ed educativa, non si discute mai.
E invece
questo appare il problema essenziale nella vita della scuola e dei suoi
protagonisti: studenti e docenti.
Al di là
dell’accuratezza dei PTOF, piani triennali della offerta formativa (termine che
bisognerebbe espellere dall’uso delle gergo scolastico per il suo significato
aziendalistico e mercantile) e al di là delle miracolistiche e infondate
speranze sugli organici di potenziamento, maschera mal riuscita di intenti
totalmente estranei alla didattica.
Non
pretendiamo di dare soluzioni semplici, né di condannare a priori un ragazzo
che non conosciamo e nella cui mente non possiamo entrare.
Però
vorremmo che tutte e tutti tornassero a riflettere pubblicamente sul grande
valore del lavoro docente e sulla sua estrema complessità.
Forse
dobbiamo di nuovo dire a noi stessi e a noi stesse, alla società e alla varia
umanità che il nostro è un lavoro difficile, duro, bello e affascinante, ma
anche di continua esposizione al giudizio degli altri.
E che prima
di tutto chi fa questa attività fa sempre qualcosa in più di un semplice
lavoro. E che è un lavoro che richiede un rapporto di osmosi con i ragazzi e le
ragazze, le loro famiglie, o chi si prenda cura di loro, ma che non può
sostituirsi a loro, che richiede che sia dato rispetto ma esige rispetto.
Questo
dobbiamo insegnarlo alle nuove generazioni ma dobbiamo pretendendo dalla
società e dalle istituzioni.
A iniziare
dal ministero che ci tratta come birilli, da quei dirigenti che ormai neanche
pensano che siamo esseri umani, per arrivare ai genitori che pretendono una
perfezione impossibile ma spesso non sono in grado di educare i figli in modo
da frequentare una comunità umana in modo non belluino.
Dobbiamo
dire tutti e tutte, a Simona e Rosaria che quello che è successo a loro, e che
per loro è stato un macigno, è stato un colpo per tutti e tutte.
E alla
società che quello che viene fatto a chi svolge una professione o un ruolo di
aiuto per la società come insegnanti, medici, infermieri, educatori, assistenti
sociali, o genitori, è una ferita aperta per tutta la società.
Quella
stessa ferita che si apre quando sentiamo che una dottoressa di guardia medica
notturna viene aggredita e stuprata.
Questo
dobbiamo dirci senza vergogna rivendicando la nostra dignità offesa, e senza nessuna
presunzione di avere vinto al lotto della verità.
per i Cobas
Scuola Sardegna
Andrea
Degiorgi
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