venerdì 13 ottobre 2017

insegnante aggredita da uno studente in una scuola

  
Il grave episodio subito da una nostra collega, malmenata da uno studente all’Alberghiero di Monserrato, è una ferita aperta per l’intera società.

È accaduto qualche giorno fa all’Istituto Alberghiero di Monserrato e il fatto è diventato oggetto di interesse non solo dei giornali locali ma anche nazionali.
Una insegnante riceve durante l’ora di lezione un pugno in faccia da un ragazzo, cade a terra e sviene.
Intervengono i colleghi e le colleghe, il personale Ata, la dirigente. 
Vengono chiamati il pronto soccorso e i carabinieri. 
Viene convocato il padre del ragazzo. 
Nel colloquio con la collega aggredita il padre dice con assoluta sicurezza che il ragazzo hasemplicemente reagito ai due schiaffi della docente. 
Evidentemente il ragazzo ha subito confezionato una versione dei fatti che possa giustificarlo pienamente trasformandolo da aggressore ad aggredito. 
Per fortuna ci sono testimoni che smentiscono clamorosamente questa versione. 
E restituiscono alla docente il ruolo di aggredita. 
Non vogliamo soffermarci sulla ricostruzione dei fatti che pure è importante. 
Sui giornali locali abbiamo letto dei racconti molto diversi da quanto ci sono stati raccontati dalla protagonista passiva, che è una nostra collega e amica di tante/i di noi nonché compagna di molte lotte (che hanno avuto pieno successo anche davanti ai giudici). 
Sarebbe troppo semplice e naturale. 
Vorremmo solo provocare una riflessione nell’ambito dei COBAS della Scuola, tra colleghe e colleghi ma anche all’interno della società civile.
Questo episodio come sappiamo non è il primo e temiamo non sia l’ultimo. 
Il che significa: siamo tutti a rischio. 
Due anni fa era successo ad una collega dell’Istituto Tecnico Agrario di Nuoro: aveva subito una minaccia di aggressione da un ragazzo in classe durante la lezione anche in questo caso per aver cercato di impedire l’uso continuo di uno smartphone.
Il ragazzo era stato prima sanzionato con una sospensione dalle lezioni dal Consiglio di Classe ma poi la sanzione era stata incredibilmente annullata dalla commissione interna di garanzia, su proposta e voto favorevole della dirigente scolastica. 
E per di più la dirigente aveva aperto un procedimento disciplinare contro la docente su richiesta della famiglia la quale, anche in questo caso, asseriva che il proprio figlio avesse solo reagito perché la docente l’aveva preso a calci.
Ovviamente tale ricostruzione era falsa ed il procedimento disciplinare è stato archiviato ma la cosa sconcertante é che il ragazzo ha ottenuto il pieno riconoscimento sociale del suo gesto esemplare. 
Non possiamo esimerci dal fare i complimenti alla dirigente che si è così ben adoperata per difendere lo studente dalle “angherie” di una docente che pretendeva di svolgere la lezione senza disturbo continuo e senza uso del cellulare. 
Un comportamento come quello della dirigente di Nuoro (per fortuna molto diverso da quello della dirigente di Monserrato che ha espresso piena solidarietà, alla collega aggredita) trova, sempre più spesso, pieno consenso nell’opinione semlicisticamente più diffusa che i docenti non sono in grado di svolgere bene il loro lavoro, non sanno captare l’attenzione dei ragazzi, non sono in grado di fare un lavoro educativo come richiede la sfida del tempo della globalizzazione e della tecnologia multimediale. 
La scuola è in crisi e la responsabilità è dei docenti. 
I ministri e le ministre della istruzione (sempre molto competenti e lungimiranti) e la legge della “buona scuola”, varata su iniziativa del governo guidato dal mai abbastanza lodato primo ministro Renzi, hanno tentato di riformare radicalmente la scuola ma nulla si può fare contro la resistenza e l’incapacità della classe docente, pagata profumatamente e unica categoria di lavoro che ha un numero di giorni di vacanza da far invidia ai giudici.
Questi sono alcuni dei messaggi espliciti e soprattutto impliciti che ci vengono dai mass media e dalla società civile. 
Letti in questa cornice interpretativa, le aggressioni alle docenti avvenute a Nuoro e Monserrato possono confermare il giudizio impietoso sull’inattualità della scuola e sull’impreparazione educativa della classe docente incapace di rinnovarsi nonostante tutte le occasioni di formazione offerte dalle parti migliori e più attive e moderne della società civile e delle istituzioni pubbliche. 
Crediamo che questi fatti debbano richiedere una attenzione particolare. 
Occorre riflettere su tante questioni: le aspettative e le immagini anche implicite della scuola che hanno le nuove generazioni; la loro immagine di sé; il triangolo, quasi sempre implicito, che si genera tra giovani studenti, docenti e famiglie; gli obiettivi che le istituzioni assegnano ai docenti e la loro libertà di insegnamento; le enormi pressioni per coartare la loro libertà e il loro modo di insegnare, in nome di una nuova moda e una nuova ideologia modernista sposata dalle classi dirigenti che intende promuovere l’addestramento alle competenze  (sul cui significato non univoco si discute da decenni); il rapporto tra scuola e ambiente di vita, che non è e non può essere definito in termini di “territorio” ma che comprende mondi vitali sempre molto complessi.

Nel gestire quotidianamente questi difficili  problemi, al di là di tutti i proclami ideologici e le indicazioni istituzionali, i docenti e le docenti si trovano a svolgere il loro lavoro, sempre più spesso, come persone sole, terribilmente sole e talvolta senza il sostegno e la solidarietà delle altre colleghe e colleghi e men che meno delle dirigenze scolastiche. 
Di questi importanti problemi però nei collegi docenti, ricchissimi di straordinari progetti di grande valenza didattica ed educativa, non si discute mai. 
E invece questo appare il problema essenziale nella vita della scuola e dei suoi protagonisti: studenti e docenti. 
Al di là dell’accuratezza dei PTOF, piani triennali della offerta formativa (termine che bisognerebbe espellere dall’uso delle gergo scolastico per il suo significato aziendalistico e mercantile) e al di là delle miracolistiche e infondate speranze sugli organici di potenziamento, maschera mal riuscita di intenti totalmente estranei alla didattica. 
Non pretendiamo di dare soluzioni semplici, né di condannare a priori un ragazzo che non conosciamo e nella cui mente non possiamo entrare. 
Però vorremmo che tutte e tutti tornassero a riflettere pubblicamente sul grande valore del lavoro docente e sulla sua estrema complessità. 
Forse dobbiamo di nuovo dire a noi stessi e a noi stesse, alla società e alla varia umanità che il nostro è un lavoro difficile, duro, bello e affascinante, ma anche di continua esposizione al giudizio degli altri. 
E che prima di tutto chi fa questa attività fa sempre qualcosa in più di un semplice lavoro. E che è un lavoro che richiede un rapporto di osmosi con i ragazzi e le ragazze, le loro famiglie, o chi si prenda cura di loro, ma che non può sostituirsi a loro, che richiede che sia dato rispetto ma esige rispetto. 
Questo dobbiamo insegnarlo alle nuove generazioni ma dobbiamo pretendendo dalla società e dalle istituzioni. 
A iniziare dal ministero che ci tratta come birilli, da quei dirigenti che ormai neanche pensano che siamo esseri umani, per arrivare ai genitori che pretendono una perfezione impossibile ma spesso non sono in grado di educare i figli in modo da frequentare una comunità umana in modo non belluino.
Dobbiamo dire tutti e tutte, a Simona e Rosaria che quello che è successo a loro, e che per loro è stato un macigno, è stato un colpo per tutti e tutte. 
E alla società che quello che viene fatto a chi svolge una professione o un ruolo di aiuto per la società come insegnanti, medici, infermieri, educatori, assistenti sociali, o genitori, è  una ferita aperta per tutta la società. 
Quella stessa ferita che si apre quando sentiamo che una dottoressa di guardia medica notturna viene aggredita e stuprata.  
Questo dobbiamo dirci senza vergogna rivendicando la nostra dignità offesa, e senza nessuna presunzione di avere vinto al lotto della verità.

per i Cobas Scuola Sardegna
Andrea Degiorgi

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