Una riscoperta italiana: Flavio Giurato
Premessa: e' il 1982. un anno che
ancora non sappiamo essere di un decennio che non avrà in futuro una brutta
fama. E' Marzo e tutti sono impegnati a parlare di Campionati del Mondo che
stanno per arrivare. Craxi e Andreotti stanno mettendo a frutto la loro
"alleanza" e stanno "pensando" cosa fare di buono (per
loro) nel prossimo futuro. C'e' confusione ma non si vede.. Politicamente
esiste ancora il PCI che e' sempre li' per li' per vincere le elezioni ma alla
fine il risultato e' sempre lo stesso. Berlusconi e' ancora un semplice
"muratore" (nel vero del termine, cioe' colui che costruisce le case
e nel senso politico, cioe' colui che e' iscritto alla Massoneria e cerca di
costruire sempre maggiori case anche se non proprio legalmente), e le Tv sono
ancora libere.. Le radio sono al massimo della liberta' (nonostante tutto.) e
l'Italia pullula di Dj dall'accento regionale al 100% ma che, comunque, mandano
buona musica senza dover per forza di cose fare i conti con Network
"demenziali"... Le Feste dell'Unita' sono un appuntamento serio.. Ci
si va e si canta Bandiera Rossa.. Nessuno sogna piu' la Russia ma almeno i
valori di eguaglianza e solidarieta' sono sempre ben presenti. specie sui piu'
giovani. La storia ci insegnera'. Purtroppo, che molti di quei contestatori al
Governo in carica, specie i piu' radicali, un giorno saranno forza governativa.
solo che anziche' sotto la Bandiera Rossa saranno sotto un cielo Azzurro e
canteranno una canzone di Partito (o di azienda.fatte voi) che e' una delle
cose piu' ridicole che la storia delle sette note abbia mai prodotto nelle sua
lunga storia... io che all'epoca avevo 22 anni sorridevo per canzoni tipo
Umberto Tozzi o altre cose simili.. Ma mai avrei immaginato che un giorno ci
sarebbe stata una canzoncina peggiore di tutte. Ad ogni modo nella Tv Pubblica
(in mano sempre alla politica ma con un senso del "pubblico" diverso
dall'attuale senso che la Destra ha dato negli anni..) la sera, se non sbaglio
il Martedi' alle 22.30. un certo Carlo Massarini invento' un programma che era
una rivoluzione per i tempi."Mr. Fantasy". Il titolo del programma
arrivava da un disco dei Traffic e la scenografia era molto
"all'avvanguardia" per allora. tempi in cui, non dimenticatelo, la
cosa piu' elettronica che avevamo erano le calcolatrici con 13 funzioni!!! I
calcolatori elettronici erano delle cose enormi che avevamo visto solo in Tv e
che occupavano stanze di svariati metri quadri. Carlo massarini, come tutte le
cose intelligenti di quegli anni, svani' nei retri degli studi di produzione e
solo dopo anni gli fu affidata una bella trasmissione su Rai3 ma verso l'ora di
pranzo.in modo che potesse essere visto da non piu' di 1650 persone! Non era un
tipo pericoloso per la Democrazia, nel senso che non era un rivoluzionario, ma
solo che mostrava di "pensare da solo" e gia' allora i Padrini
spirituali dell'attuale Primo Ministro vedevano male chi "pensava".
Comunque in questo quadro la musica rock italiana era ben divisa.. C'era il
rock. (ma neanche tanto. ) che faceva "rumore fastidioso" per la
grande platea pubblica, ed inoltre era sempre una "conseguenza" di
quello che veniva dagli Usa o dall'Inghilterra.. E poi c'erano i cantautori.
Dalla, Venditti, De Gregori, Vecchioni, Guccini, etc etc... erano gente che
faceva stupende canzoni, canzoni con testi immediati, senza ermetismi e forse
con sola troppa retorica (specie quando sei 20 anni che dici le stesse cose.).
Loro trovavano facile riempire uno stadio.. (specie con un PCI al 27% dei
voti!)..e anche la Tv del Governo non poteva trascurarli. Carlo Massarini,
invece, introdusse un'altra via.. Trasmettere cose "poco conosciute".
Se ci pensate bene neppure gli stessi Clash erano cosi' popolari in Italia al
tempo. solo dopo Rock the Cabash le cose cambiarono (ma per la verita' solo per
quel singolo!), e lui mandava Clash, Abc, Depeche Mode, Talking Heads e mille
altri che allora non vedevi e non sentivi tanto facilmente in giro... Sta di
fatto che anche i DJ "regionali" e di "quartiere"
iniziavano a "copiare" il Massarini introducendo nelle loro scalette
musicali tanta musica "nuova". la "new wave"! Massarini
aveva un grosso merito, quello di essere uno che ascoltava musica da sempre ma
che non si era fermato ad un periodo solo della musica.. "andava
avanti". "cresceva".e quindi riusciva a riconoscere anche
prodotti validi nell'underground piu' profondo. Massarini si innamoro' (fu
proprio amore e non solo spinta promozionale) di un cantautore o musicista rock
romano. Un tipo alto, con la voce particolare (ne bella ne brutta, ne
intonatissima ne stonata, ma particolarmente accattivante), un tipo da
"metropolitana londinese", un tipo che cantava cose diverse dai
cantanti rock "politici" o solo "rock". insomma uno che usa
fiati, chitarre elettriche, sfumature progressive e testi - semplicemente -
stupendi. Di cosa parlano? Ma di tutto e di tutto quello che vogliamo trovarci
dentro! Incide un disco tra Milano, Roma e Londra e trova pure una casa
discografica (la CGD) che gli da la possibilita' di "provarci".
esegue video di altissima qualita' per il periodo e di una
"Barrettiana" visione che oggi mi piacerebbe veramente rivedere se
mai qualcuno li avesse... Mel Collins e' l'ospite illustre del disco che si
chiama : "Il Tuffatore" Il disco (allora in vinile) e' con 12
tracce.. Dove un'introduzione di "sax e strumenti all'inizio di un
concerto" ci da l'idea che il disco sara' una specie di concept album. e
cosi' e', in effetti.. Parla di ragazzi normali e di problemi semplici e
complicati, l'amore e la droga, le frustrazioni sociali e il disagio giovanile.ma
tutto trattato con una Poesia unica. I titoli delle canzoni sono gia'
affascinanti: "L'acchiappatore dell'acqua" (cantata in due lingue
:inglese e italiano), per esempio.ma anche "La stanza del Mezzosogno"
o "Valterchiari".. "oggi i ragazzi non sanno che fare sono
insicuri su cosa fa bene e molti sono spesso a un passo da sbagliare.. "
dice ad un certo punto il Flavio e lo dice con convinzione e con trasporto.
Solo che l'anno e' quello sbagliato. Nel quadro che ho fatto poco piu' su non
c'e' posto per un disco di Flavio Giurato, e il successivo Marco Polo e' un
totale buco nell'acqua. forse l'avranno acquistato solo un pugno di persone in
Italia e Flavio ha finito cosi' la sua carriera musicale. Sparito. Non se ne sa
piu' nulla. Un disco che anche oggi avrebbe trovato sinceramente poco spazio ma
che forse un po di piu' ne avrebbe.. Certamente se fosse "inglese"
sarebbe meglio.. Nel senso che un disco cosi' in Inghilterra avrebbe permesso
all' autore di viverci di questa sua creativita'.. Pazienza, cosi' e' andata la
storia ma mi piacerebbe che in questo periodo qualcuno si comprasse questo
disco ora disponibile in cd. e che il buon Giannici decida di dedicargli uno
spazio sul sito di Iamr e che Nello Giovane provi a sentirlo e ad inserirlo
sulla sua belle rubrica sul Mucchio. Alle volte hai usato parole esagerate per
cantanti e canzoni non tali (secondo me, ovviamente.) ma sono convinto che su
questo disco tu riusciresti a trovare le parole che io, anche sforzandomi, non
sono riuscito ad esprimere.. Se c'e' l'hai bene, altrimenti compralo.. Se e' un
bidone te ne compro uno io a tua scelta per rimborsarti. Giuro pubblicamente.
(tra parentesi il disco si trova a 18-20.000 lire, in Euro non lo so ancora.)
Inoltre mi piacerebbe sentire qualcosa al riguardo anche da Stanz (che
sicuramente ricorda.) , sempreche' abbia voglia di rispondere ad altri e
sempreche' non sia eternamente Killato...
" ..volevo essere un tuffatore
che si aggiusta e si prepara di bellezza non comune."
-- ".le delusioni sono unite
dalla Ferrovia." e' tratto da "Marcia Nuziale" -Flavio Giurato-
Questa recensione è apparsa in rete anonima in una discussione. Invitiamo l'autore a farsi eventualmente vivo con noi per i credits.
Questa recensione è apparsa in rete anonima in una discussione. Invitiamo l'autore a farsi eventualmente vivo con noi per i credits.
Può capitare di sentirlo suonare
nei piccoli teatri dell’Urbe: il solito ragazzo di un tempo, solo un po’
invecchiato; i capelli sempre lunghi (ma un po’ meno) da neri a bianchi, la
barba incolta e la chitarra imbracciata. Flavio Giurato è senza dubbio uno dei
segreti meglio custoditi del cantautorato italiano. Romano, classe 1949. Dopo
un’assenza che sembrava procrastinarsi ad aeternum è tornato
in corsa con una nuova raccolta di inediti. Un ritorno atteso in particolare da
quanti hanno avuto la fortuna di imbattersi in un eccellente binomio
(indimenticabile per la musica italiana): Il tuffatore (1982)
e Marco Polo (1984). Quest’ultimo energico, minuzioso e
sperimentale, comprendeva una serie di canzoni a dir poco memorabili,
come Le funi o Marco e Monica. Ma il pubblico
di quegli anni chiedeva altri suoni e colori. Nel 1985 avviene la rescissione
del contratto da parte dell’etichetta discografica CGD. La chitarra appesa al
chiodo. Il divano. I pomeriggi. Il timore sordo della disfatta. Pazienza. C’era
altro da fare. Ad esempio allenare i ragazzi della Lazio (settore baseball,
antica passione di Flavio) o lavorare negli studi Rai come regista, dove
sovente gli capita di incontrare il fratello Luca. Passa il tempo. Anni decenni
e secolo. Nel 2007 esce Il manuale del cantautore; la bravura
resta immutata, cristallizzata e genuina. Stavolta il cantante si sofferma su
alcuni casi irrisolti della nostra storia (Ustica, Moltesi, Pasolini). Il
progetto si rivelerà transitorio; servirà nondimeno a rispolverare la chitarra
e riprendere l’attività dal vivo. Il nome torna a scorrere tra addetti ai
lavori e appassionati…
scrive Enrico De Regibus:
Anche geniale. E Intenso.
Originale. Assurdo. Irregolare. Lirico. Lirico e onirico. Dal primo all'ultimo
secondo. Dalla prima all'ultima nota. Dalla prima all'ultima parola.
La strada principale e' quella della canzone d'autore, ma la traiettoria e' a zig zag, le ruote dell'ispirazione rasentano spesso il ciglio della carreggiata, a volte si infilano in deserte stradine secondarie o in caotiche tangenziali.
E' un andare e venire quando meno te lo aspetti. Frenate e progressioni. Pieni e quasi vuoti.
Un inizio fatto come una fine, una fine con un coro scalcinato a volume bassissimo.
Una voce trovata chissa' dove, per niente accondiscendente. Chitarre molto acustiche e chitarre molto elettriche, pianoforti, percussioni, tamburi, campane, sax, cori. E tutti con una ragione di essere, e di essere li' e in quel momento..
Un lessico mai scontato, punti di vista obliqui, alogici. Visioni, ossimori, aforismi, ironie, giustapposizioni, iperboli, reticenze.
Parole e musiche che si accoppiano da far invidia, come fossero state sempre la stessa cosa.
Un disco che prende, e non restituisce identici a prima. Un disco.....
Quant'è difficile descrivere un disco cosi'.
PS: Era il 1982 quando usciva "Il tuffatore", preceduto da "Per futili motivi", che non ha niente a che vedere con questo, soprattutto qualitativamente, e seguito da un'altro intitolato "Marco Polo", sin troppo velleitario, in cui lo stile era sempre quello ma il risultato finale decisamente no. E poi il buio fino a quando un paio di anni fa l'album e' stato ripubblicato su cd in serie economica.
Chissà che fine ( o inizio) avrà fatto il suo autore.
La strada principale e' quella della canzone d'autore, ma la traiettoria e' a zig zag, le ruote dell'ispirazione rasentano spesso il ciglio della carreggiata, a volte si infilano in deserte stradine secondarie o in caotiche tangenziali.
E' un andare e venire quando meno te lo aspetti. Frenate e progressioni. Pieni e quasi vuoti.
Un inizio fatto come una fine, una fine con un coro scalcinato a volume bassissimo.
Una voce trovata chissa' dove, per niente accondiscendente. Chitarre molto acustiche e chitarre molto elettriche, pianoforti, percussioni, tamburi, campane, sax, cori. E tutti con una ragione di essere, e di essere li' e in quel momento..
Un lessico mai scontato, punti di vista obliqui, alogici. Visioni, ossimori, aforismi, ironie, giustapposizioni, iperboli, reticenze.
Parole e musiche che si accoppiano da far invidia, come fossero state sempre la stessa cosa.
Un disco che prende, e non restituisce identici a prima. Un disco.....
Quant'è difficile descrivere un disco cosi'.
PS: Era il 1982 quando usciva "Il tuffatore", preceduto da "Per futili motivi", che non ha niente a che vedere con questo, soprattutto qualitativamente, e seguito da un'altro intitolato "Marco Polo", sin troppo velleitario, in cui lo stile era sempre quello ma il risultato finale decisamente no. E poi il buio fino a quando un paio di anni fa l'album e' stato ripubblicato su cd in serie economica.
Chissà che fine ( o inizio) avrà fatto il suo autore.
…“Marco Polo” è una zattera gettata
nell’oceano della canzone italiana, invisibile a qualsiasi radar e lontana da
qualsiasi compromesso sulla rotta, e che, come il protagonista che evoca, non
ha interesse a giungere in nessuno specifico porto, ma quello d’esser vento di
se stesso e di toccare tutte le cose.
“I nuovi marinai già tirano le funi”, ed è proprio questa la grandezza di Marco Polo per Flavio Giurato: aver vissuto l’epica d’una condizione tutt’altro che epica, quello d’esser un uomo come tanti, un uomo destinato a morire e lasciar spazio a nuovi uomini in uno spazio/tempo che gli sopravvive ed a cui ha dedicato ogni fibra dei suoi gesti e sogni e con le sue visioni, viaggi e amori chiusi dentro al proprio cuore. Fino a che un giorno, qualcuno si è deciso a raccontare questa storia. E qualcun altro, poi, a musicarla, con questo disco.
Il disco fu un fiasco, perchè oltre ad estremizzare i contenuti cantautorali, ne estremizzò anche gli strumenti. Il pubblico non apprezzò, la propensione ai compromessi dell’autore era prossima allo zero e nell’Italia craxiana che iniziava le manovre per affondare, gli orecchi e l’attenzione si volsero verso altri tipi di musiche e personaggi. Iniziò così il silenzio artistico di Flavio Giurato.
Così ha magistralmente scritto di lui Claudio Orlandi: “Guardate un uomo che suona le sue gambe masticando l’aria. Si muove da sé. Sono mascelle portentose che tirano le funi del proprio corpo per farlo riscaldare e risuonare. Così nasce un gioco che può insegnare l’importanza di non essere visti pur essendo estremamente presenti” e di testimoniarci tutti, con una manciata di canzoni su un incredibile viaggio di più di settecento anni fa, narrato con una esposizione poetica così onesta da sottolineare che se Marco Polo fu un grande esploratore del Mondo, Flavio Giurato lo è del cuore e delle umane passioni e questo disco è la sua Grande Cina, da cui fu difficile per entrambi far ritorno. È risaputo: i cani sciolti non amano i recinti.
Per fortuna che “sotto l’asfalto c’è la sabbia”
“I nuovi marinai già tirano le funi”, ed è proprio questa la grandezza di Marco Polo per Flavio Giurato: aver vissuto l’epica d’una condizione tutt’altro che epica, quello d’esser un uomo come tanti, un uomo destinato a morire e lasciar spazio a nuovi uomini in uno spazio/tempo che gli sopravvive ed a cui ha dedicato ogni fibra dei suoi gesti e sogni e con le sue visioni, viaggi e amori chiusi dentro al proprio cuore. Fino a che un giorno, qualcuno si è deciso a raccontare questa storia. E qualcun altro, poi, a musicarla, con questo disco.
Il disco fu un fiasco, perchè oltre ad estremizzare i contenuti cantautorali, ne estremizzò anche gli strumenti. Il pubblico non apprezzò, la propensione ai compromessi dell’autore era prossima allo zero e nell’Italia craxiana che iniziava le manovre per affondare, gli orecchi e l’attenzione si volsero verso altri tipi di musiche e personaggi. Iniziò così il silenzio artistico di Flavio Giurato.
Così ha magistralmente scritto di lui Claudio Orlandi: “Guardate un uomo che suona le sue gambe masticando l’aria. Si muove da sé. Sono mascelle portentose che tirano le funi del proprio corpo per farlo riscaldare e risuonare. Così nasce un gioco che può insegnare l’importanza di non essere visti pur essendo estremamente presenti” e di testimoniarci tutti, con una manciata di canzoni su un incredibile viaggio di più di settecento anni fa, narrato con una esposizione poetica così onesta da sottolineare che se Marco Polo fu un grande esploratore del Mondo, Flavio Giurato lo è del cuore e delle umane passioni e questo disco è la sua Grande Cina, da cui fu difficile per entrambi far ritorno. È risaputo: i cani sciolti non amano i recinti.
Per fortuna che “sotto l’asfalto c’è la sabbia”
un’intervista a Flavio Giurato:
La prima domanda è la più
scontata: un ritorno discografico a distanza di 20 anni e oltre. Qual è stata
la molla che ti ha spinto a questo passo?
Il fatto di non averlo mai perso, questo passo, in realtà. Il fatto di aver continuato a lavorare comunque, il fatto di aver continuato a suonare tutti i giorni, il fatto di aver fatto i pezzi, di essere andato in pubblico, di essere stato strappato da casa e forzato a fare dei concerti quando ancora i pezzi non erano finiti. Però mi è servito, mi sono divertito, tutto questo mi ha aiutato a finire questo lavoro che è durato ventitre anni...
Un work in progress...
Sì, una sera vedevo come andava Il caso Nesta, come riuscivo a farla, in un’altra come andava Silvia Baraldini,.. In pubblico ti rendi immediatamente conto se c’è qualcosa che è lungo, qualcosa che va bene, che rende. Ho usato questi anni per sperimentare.
Credi che il mercato conceda ancora spazio oggi a progetti cantautorali senza compromessi come il tuo?
Il mercato, mi diceva il mio primo discografico, è un cavallo bizzarro. E quindi non ne ho la minima idea, è una cosa che cambia in continuazione: arrivano sempre nuove folle di compratori. Ora forse queste folle non comprano più perché il passaggio dall’analogico al digitale ha danneggiato “la cerimonia”, per cui tu andavi a scegliere il disco nello scaffale con tutte le copertine e poi c’era la prima e la seconda facciata, ti dovevi alzare per cambiarla... Forse il pubblico pagava per questo. Adesso è tutto diverso, è una striscia continua. Io prima in composizione dovevo tenere presente il pezzo che apriva il lavoro, il pezzo che lo chiudeva, quello che chiudeva la facciata. Stare attento a non sforare di troppo i venti minuti altrimenti si sporcava la qualità... Un po’ di cose sono cambiate, anche nella registrazione. Ci sono cose che sono sopravvissute, che ho ritrovato intatte da quando ho smesso, altre che sono sparite: il nastro da due due pollici è sparito, un lexicon di plastica bianco l’ho ritorvato. È stato bello ritornare nel mondo della registrazione da cui mi ero distaccato.
A proposito di tecnologie vecchie e nuove. Internet ha avuto un ruolo importante nella nascita di una sorta di piccolo culto attorno alla tua musica e alla tua produzione. Addirittura la prima versione del manuale del cantautore, quella del 2002 è stata diffusa esclusivamente come mp3, attraverso la Rete. Secondo te la Rete può in qualche modo cambiare il rapporto tra chi fa canzoni e il suo pubblico?
Questo si riallaccia a quello che dicevamo prima: adesso c’è Internet e cambia tutto. Ancora credo che nessuno abbia capito a fondo di che cosa si tratta. È un’enorme enciclopedia che ci costruiamo da soli. Anche un artista di nicchia, che non ha mai venduto dischi, ha la possibilità di avere un negozio aperto 24 ore su 24 in tutto il mondo.
Che rapporto hai con queste nuove tecnologie?
Ho imparata a usare il telefono cellulare da poco, non so usare l’e-mail... (ride). Anche perché la tecnologia non ha influito nel lavoro di composizione a casa, perché gli strumenti sono sempre quelli, le chitarre sono sempre chitarre, le valvole sempre valvole. È un universo che si apre, che facilita la comunicazione, per cui il fatto che sto a Milano a fare il concerto alla Scighera diventa una notizia globale, anche se sembra un po’ folle dirlo... Bisognerà vedere cosa Internet porta, cosa porta anche sul fronte del diritto d’autore. C’è uno scoonvolgimento totale: non mi so valutare commercialmente, per tornare a quello che mi chiedevi prima, perché è cambiato tutto.
Parliamo un po’ del disco. Il manuale del cantautore più che un manuale mi sembra un diario degli ultimi 40 anni, si va dalla primavera di Praga sino ai giorni nostri. Secondo te la canzone può ancora raccontare, a modo suo, la Storia con la S maiuscola?
Sì, se questa ha a che fare con la tua minima esperienza personale. Deve avere qualcosa che riguarda anche me e che possa essere letto a più strati. C’entra anche la storia. Sono storie, quelle che racconto, che ci appartengono profondamente, da Ustica su cui dopo tutti questi anni non si sa ancora come sia andata, alle immagini di Padre Pio con le stigmate che buttavano sangue sulla copertina di Gente quando ero ragazzino o la Primavera di Praga in cui sono incappato io personalmente...
Quello dei tuoi testi è un procedere per immagini. Quanto questo è legato all’”altro” Flavio Giurato, quello che lavora con le immagini, quanto si contaminano i due aspetti?
Questo ora è assolutamente verificabile, perché sto facendo un video di ogni pezzo... Dodici pezzi, dodici video. Me lo dovrai dire poi tu che differenza c’è tra aver sentito il pezzo solo da cd e averlo sentito abbinato a un video...
Sono molto curioso, sarà un dvd?
Sicuramente. Adesso metteremo il primo, quello del Caso Nesta, su You Tube. È quindi una cosa completamente senza diritti. È la condivisione dell’immagine, la gratuità assoluta, non c’è ritorno economico, non c’è copyright. Gli altri 11 pezzi vorrei inserirli in un dvd, destinato ai pirla (ride) che si sono comprati il cd...
Un progetto multimediale, molto innovativo...
Io con i video ho cominciato molti anni fa, all’epoca di Mister Fantasy, quando la consideravamo una nuova forma d’arte, eravamo molto gasati. Mi fa molto piacere ritornare in quel campo da gioco lì.
Vorrei tornare un attimo sulle esibizioni live, mi hai detto che hanno funzionato come dei test...
Sì, è così.
Ma che rapporto hai con il palcoscenico, con le esibizioni dal vivo, che nel tuo caso non sono molto frequenti?
Adesso c’è il progetto di riuscire a portare in pubblico il lavoro del disco, se riesco a coinvolgere le persone che hanno suonato nel disco. Vorrei riuscire a fare un tour. Sarò di più in giro, almeno in questo 2008 che coincide con l’uscita del disco.
Hai già in cantiere nuove canzoni, un nuovo progetto discografico?
Sì, ci sarebbe da fare un’appendice al Manuale del cantautore.... In realtà mi piacerebbe fare un disco di otto pezzi, cioè sulla lunghezza dell’analogico, pubblicato su compact, ma pensato come un vecchio lp, m’è venuta nostalgia, dopo aver provato a fare il compact...
Il fatto di non averlo mai perso, questo passo, in realtà. Il fatto di aver continuato a lavorare comunque, il fatto di aver continuato a suonare tutti i giorni, il fatto di aver fatto i pezzi, di essere andato in pubblico, di essere stato strappato da casa e forzato a fare dei concerti quando ancora i pezzi non erano finiti. Però mi è servito, mi sono divertito, tutto questo mi ha aiutato a finire questo lavoro che è durato ventitre anni...
Un work in progress...
Sì, una sera vedevo come andava Il caso Nesta, come riuscivo a farla, in un’altra come andava Silvia Baraldini,.. In pubblico ti rendi immediatamente conto se c’è qualcosa che è lungo, qualcosa che va bene, che rende. Ho usato questi anni per sperimentare.
Credi che il mercato conceda ancora spazio oggi a progetti cantautorali senza compromessi come il tuo?
Il mercato, mi diceva il mio primo discografico, è un cavallo bizzarro. E quindi non ne ho la minima idea, è una cosa che cambia in continuazione: arrivano sempre nuove folle di compratori. Ora forse queste folle non comprano più perché il passaggio dall’analogico al digitale ha danneggiato “la cerimonia”, per cui tu andavi a scegliere il disco nello scaffale con tutte le copertine e poi c’era la prima e la seconda facciata, ti dovevi alzare per cambiarla... Forse il pubblico pagava per questo. Adesso è tutto diverso, è una striscia continua. Io prima in composizione dovevo tenere presente il pezzo che apriva il lavoro, il pezzo che lo chiudeva, quello che chiudeva la facciata. Stare attento a non sforare di troppo i venti minuti altrimenti si sporcava la qualità... Un po’ di cose sono cambiate, anche nella registrazione. Ci sono cose che sono sopravvissute, che ho ritrovato intatte da quando ho smesso, altre che sono sparite: il nastro da due due pollici è sparito, un lexicon di plastica bianco l’ho ritorvato. È stato bello ritornare nel mondo della registrazione da cui mi ero distaccato.
A proposito di tecnologie vecchie e nuove. Internet ha avuto un ruolo importante nella nascita di una sorta di piccolo culto attorno alla tua musica e alla tua produzione. Addirittura la prima versione del manuale del cantautore, quella del 2002 è stata diffusa esclusivamente come mp3, attraverso la Rete. Secondo te la Rete può in qualche modo cambiare il rapporto tra chi fa canzoni e il suo pubblico?
Questo si riallaccia a quello che dicevamo prima: adesso c’è Internet e cambia tutto. Ancora credo che nessuno abbia capito a fondo di che cosa si tratta. È un’enorme enciclopedia che ci costruiamo da soli. Anche un artista di nicchia, che non ha mai venduto dischi, ha la possibilità di avere un negozio aperto 24 ore su 24 in tutto il mondo.
Che rapporto hai con queste nuove tecnologie?
Ho imparata a usare il telefono cellulare da poco, non so usare l’e-mail... (ride). Anche perché la tecnologia non ha influito nel lavoro di composizione a casa, perché gli strumenti sono sempre quelli, le chitarre sono sempre chitarre, le valvole sempre valvole. È un universo che si apre, che facilita la comunicazione, per cui il fatto che sto a Milano a fare il concerto alla Scighera diventa una notizia globale, anche se sembra un po’ folle dirlo... Bisognerà vedere cosa Internet porta, cosa porta anche sul fronte del diritto d’autore. C’è uno scoonvolgimento totale: non mi so valutare commercialmente, per tornare a quello che mi chiedevi prima, perché è cambiato tutto.
Parliamo un po’ del disco. Il manuale del cantautore più che un manuale mi sembra un diario degli ultimi 40 anni, si va dalla primavera di Praga sino ai giorni nostri. Secondo te la canzone può ancora raccontare, a modo suo, la Storia con la S maiuscola?
Sì, se questa ha a che fare con la tua minima esperienza personale. Deve avere qualcosa che riguarda anche me e che possa essere letto a più strati. C’entra anche la storia. Sono storie, quelle che racconto, che ci appartengono profondamente, da Ustica su cui dopo tutti questi anni non si sa ancora come sia andata, alle immagini di Padre Pio con le stigmate che buttavano sangue sulla copertina di Gente quando ero ragazzino o la Primavera di Praga in cui sono incappato io personalmente...
Quello dei tuoi testi è un procedere per immagini. Quanto questo è legato all’”altro” Flavio Giurato, quello che lavora con le immagini, quanto si contaminano i due aspetti?
Questo ora è assolutamente verificabile, perché sto facendo un video di ogni pezzo... Dodici pezzi, dodici video. Me lo dovrai dire poi tu che differenza c’è tra aver sentito il pezzo solo da cd e averlo sentito abbinato a un video...
Sono molto curioso, sarà un dvd?
Sicuramente. Adesso metteremo il primo, quello del Caso Nesta, su You Tube. È quindi una cosa completamente senza diritti. È la condivisione dell’immagine, la gratuità assoluta, non c’è ritorno economico, non c’è copyright. Gli altri 11 pezzi vorrei inserirli in un dvd, destinato ai pirla (ride) che si sono comprati il cd...
Un progetto multimediale, molto innovativo...
Io con i video ho cominciato molti anni fa, all’epoca di Mister Fantasy, quando la consideravamo una nuova forma d’arte, eravamo molto gasati. Mi fa molto piacere ritornare in quel campo da gioco lì.
Vorrei tornare un attimo sulle esibizioni live, mi hai detto che hanno funzionato come dei test...
Sì, è così.
Ma che rapporto hai con il palcoscenico, con le esibizioni dal vivo, che nel tuo caso non sono molto frequenti?
Adesso c’è il progetto di riuscire a portare in pubblico il lavoro del disco, se riesco a coinvolgere le persone che hanno suonato nel disco. Vorrei riuscire a fare un tour. Sarò di più in giro, almeno in questo 2008 che coincide con l’uscita del disco.
Hai già in cantiere nuove canzoni, un nuovo progetto discografico?
Sì, ci sarebbe da fare un’appendice al Manuale del cantautore.... In realtà mi piacerebbe fare un disco di otto pezzi, cioè sulla lunghezza dell’analogico, pubblicato su compact, ma pensato come un vecchio lp, m’è venuta nostalgia, dopo aver provato a fare il compact...
scrive Fulvio Abbate:
Non molto tempo fa, ho trovato
nella casella di posta elettronica un messaggio entusiastico dove, una voce da
fan, comunicava esattamente così: “Ciao a tutti, volevo avvisarvi che Flavio
Giurato ha vinto il Premio Ciampi 2003! Il merito è tutto di Flavio e del suo
grande talento. Ma un grazie sincero va a tutti voi che avete avuto voglia di
aiutarci in un progetto che solo pochi mesi fa sembrava del tutto folle (cmq
anche adesso....) a presto con qualche informazione in più sulla prossima
uscita del libro CD. Andrea”.
Il cantautore Flavio Giurato, se non fosse che siamo amici da molti anni, ci metterei un bel po’ a ricordarlo con chiarezza assoluta, lui e la sua chitarra di marca ovation. Davvero, faticherei a rimettere a fuoco il suo viso in pubblico, le copertine dei suoi dischi, gli accordi e tutte le altre sue utopie d’autore di canzoni.
Non è vero, scherzo, ed ecco che torna a piazzarsi subito nel presente della mia memoria, come non si fosse mai mosso: è il 1981, in tv c’è Carlo Massarini, con la sua trasmissione, “Mister Fantasy”. Nella stessa inquadratura c’è anche un bel ragazzo alto, l’aria del tipo di buona famiglia, lacoste blu, e sguardo rivolto al mare di Ansedonia, Porto Ercole, e così via fino a Orbetello, luoghi dove l’amore diventa verso, diario di una certa estate romana. E’ proprio lui, Flavio Giurato, che canta le canzoni del suo lp, “Il tuffatore”, uno dei dischi più belli di quell’anno, di più, degli anni Ottanta e oltre. Un disco, credo, prodotto da Paolo Giaccio.
Ma cos’è che rendeva la cifra di Giurato così straordinaria, al punto da suggerire, oltre a un’immediata sensazione di nostalgia, perfino un’aria di rivolta, un legame sentimentale inossidabile con il suo immaginario? Per cominciare, diciamo, la sua malinconia siderale. E poi, l’impressione che Giurato fosse lì a incarnare una specie di sentimentalismo civile, nel senso più rispettabile della parola. Ma se citassi soltanto “Il tuffatore”, comunque il suo lavoro più noto, farei torto alle fatiche successive, a dischi come “Marco Polo”, un lp “difficile”, forse anche “estremo”, segno che quando c’è da sperimentare Giurato non si tira indietro. E poi? Poi, c’è il presente. La certezza che per alcuni Flavio Giurato non si è mai mosso dalla scena. Tanto che una casa editrice di Milano, la Addictions, ha deciso di dedicargli un libro, un gruppo di scrittori “giuratiani” - fra gli altri, Tiziano Scarpa - si sono ispirati ai suoi pezzi per scrivere dei racconti. Anche il sottoscritto comunque, in fatto di riconoscimenti, ha fatto la sua parte. Consegnandogli, mesi fa, il premio Teledurruti, ispirato all’omonima trasmissione situazionista. Lo ha vinto con “La Giulia bianca”, dedicata a Pier Paolo Pasolini, ma anche un omaggio esplicito alle immagini della sigla della trasmissione che lo ha rimesso al mondo dei media, se è vero che un suo concerto in diretta di qualche anno fa, proprio lì, a Teledurruti, resta un piccolo must, peccato che il nastro che lo conteneva sia andato distrutto durante un incendio. Peccato, davvero.
da quiIl cantautore Flavio Giurato, se non fosse che siamo amici da molti anni, ci metterei un bel po’ a ricordarlo con chiarezza assoluta, lui e la sua chitarra di marca ovation. Davvero, faticherei a rimettere a fuoco il suo viso in pubblico, le copertine dei suoi dischi, gli accordi e tutte le altre sue utopie d’autore di canzoni.
Non è vero, scherzo, ed ecco che torna a piazzarsi subito nel presente della mia memoria, come non si fosse mai mosso: è il 1981, in tv c’è Carlo Massarini, con la sua trasmissione, “Mister Fantasy”. Nella stessa inquadratura c’è anche un bel ragazzo alto, l’aria del tipo di buona famiglia, lacoste blu, e sguardo rivolto al mare di Ansedonia, Porto Ercole, e così via fino a Orbetello, luoghi dove l’amore diventa verso, diario di una certa estate romana. E’ proprio lui, Flavio Giurato, che canta le canzoni del suo lp, “Il tuffatore”, uno dei dischi più belli di quell’anno, di più, degli anni Ottanta e oltre. Un disco, credo, prodotto da Paolo Giaccio.
Ma cos’è che rendeva la cifra di Giurato così straordinaria, al punto da suggerire, oltre a un’immediata sensazione di nostalgia, perfino un’aria di rivolta, un legame sentimentale inossidabile con il suo immaginario? Per cominciare, diciamo, la sua malinconia siderale. E poi, l’impressione che Giurato fosse lì a incarnare una specie di sentimentalismo civile, nel senso più rispettabile della parola. Ma se citassi soltanto “Il tuffatore”, comunque il suo lavoro più noto, farei torto alle fatiche successive, a dischi come “Marco Polo”, un lp “difficile”, forse anche “estremo”, segno che quando c’è da sperimentare Giurato non si tira indietro. E poi? Poi, c’è il presente. La certezza che per alcuni Flavio Giurato non si è mai mosso dalla scena. Tanto che una casa editrice di Milano, la Addictions, ha deciso di dedicargli un libro, un gruppo di scrittori “giuratiani” - fra gli altri, Tiziano Scarpa - si sono ispirati ai suoi pezzi per scrivere dei racconti. Anche il sottoscritto comunque, in fatto di riconoscimenti, ha fatto la sua parte. Consegnandogli, mesi fa, il premio Teledurruti, ispirato all’omonima trasmissione situazionista. Lo ha vinto con “La Giulia bianca”, dedicata a Pier Paolo Pasolini, ma anche un omaggio esplicito alle immagini della sigla della trasmissione che lo ha rimesso al mondo dei media, se è vero che un suo concerto in diretta di qualche anno fa, proprio lì, a Teledurruti, resta un piccolo must, peccato che il nastro che lo conteneva sia andato distrutto durante un incendio. Peccato, davvero.
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