Vale la pena
rileggere alcuni frammenti di un testo del 1972. Uno dei pochi studi seri
storico antropologici sull’istituzione
della polizia: La Polizia di Angelo D’Orsi. Al paragrafo ‘La filosofia
dell’ordine’ ci ricorda che “la polizia è l’istituzione cui è affidato, dalle
classi detentrici del potere, il compito della gestione della violenza per
proteggere l’assetto sociale dato, per difendere – o realizzare – l’ordine
politico voluto. Ma, proprio ai fini della sua stessa autoconservazione, la
polizia ha l’esigenza di ricoprirsi con una specie di nube protettiva di tipo
pubblicitario (…) Si tratta cioè di persuadere la pubblica opinione che la
polizia è necessaria, è al servizio di tutti, è imparziale, è democratica, è
controllata, funziona ottimamente”.
Non ci dobbiamo mai dimenticare di questo strumento
che le forze dell’ordine utilizzano: la violenza. L’uomo in divisa ha manganello, pistola e manette.
Le usa con due finalità correlate: mantenere l’ordine politico e difendere se
stesso.
Temo che il poliziotto non arresti un ladro per
difendere la proprietà del derubato, ma per difendere il sistema, per dichiarare che il sistema non
permette che ci siano furti. Arresta l’assassino non per impedire che compia
altri crimini o perché venga punito per quelli che ha compiuto, bensì per
tutelare un sistema che altresì risulterebbe indebolito.
E lo fa con la violenza. La violenza non è l’extrema ratio, ma il principale strumento che gli viene messo a disposizione. L’uomo in divisa è l’unico che può usarla. È come il cavatappi per il sommelier.
E lo fa con la violenza. La violenza non è l’extrema ratio, ma il principale strumento che gli viene messo a disposizione. L’uomo in divisa è l’unico che può usarla. È come il cavatappi per il sommelier.
Mi si dirà: e che cambia? Se una guardia impedisce che
ti rubino il motorino… che te ne frega se lo fa per te, per sé o per il
sistema? E se può sparare è anche meglio. Risulta più efficiente.
Mi importa perché è tutto un altro gioco. Per la salvaguardia del sistema le
stesse guardie lasciano i migranti nei campi in nord Africa in balia di guardie
ancor più violente. Per la salvaguardia del sistema può morire un sedicenne di
Traiano (Davide Bifolco), ma non un suo
coetaneo del Vomero (la morte di un sedicenne del Vomero sarebbe contro il
sistema). Per la salvaguardia del sistema e degli uomini in divisa che lo
difendono il processo sulla morte di un diciottenne di Ferrara (Federico Aldrovandi) si chiude
con una pena ridicola.
Ma è
difficile affrontare questo discorso oggi. Un po’ per il giustizialismo che porta
consensi e voti più o meno a tutti i partiti. Un po’ per una terribile propaganda che in questi
anni è stata fatta a favore delle forze dell’ordine. Decine di film e soprattutto fiction che
ci mostrano uomini e donne in divisa che
scoppiano di umanità. Persone eticamente perfette, sensibili e persino
simpatiche fino alla comicità.
Mi ricordo
un brutto film sull’eccidio alle fosse Ardeatine, Rappresaglia, con Marcello Mastroianni e Richard
Burton. L’attore americano interpretava Kappler, l’ufficiale tedesco
responsabile di rastrellamenti e stragi. Il partigiano Pasquale Balsamo disse
“quando fai fare la parte di Kappler a Richard Burton… hai detto tutto”.
Non ce la fai a immaginarti ragazzi e ragazze massacrati
di botte da Gigi Proietti a Bolzaneto. Non ce la fai a immaginarti Nino
Frassica che spacca la faccia a Cucchi o ammazza di botte Aldrovandi.
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