martedì 17 ottobre 2017

Hikikomori: i rinchiusi. Soli dentro la stanza e soli fuori - Santa Spanò



«Mi chiedo che fine faremo.» Mi capita di essere tormentato da simili pensieri, ma in fin dei conti sono un fallito, uno hikikomori. Finché non toccherò il limite, ho deciso che continuerò a fuggire dalla realtà.
Tatsuhiro Satō da Welcome to the NHK
Quando il mondo è in una stanza, il resto ovviamente resta fuori. E quando dico “fuori” intendo tutto, è una scelta estrema di isolamento che a farla sono soprattutto giovani e giovanissimi, di sicuro avrete sentito il termine hikikomori, viene usato in Giappone per indicare chi decide di abbandonare la vita sociale per confinarsi nella propria camera e vivere rinchiusi (letteralmente “stare in disparte, isolarsi”, dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”).
Avete presente la tartaruga? Difronte al pericolo ritira testa e zampe e si trincera nella corazza, è una reazione istintiva di autodifesa. In Giappone ci sarebbero oltre un milione di giovani che per difendersi hanno scelto l’autoreclusione, se state pensando ad una faccenda tutta giapponese non è così, non lo è affatto. È una questione che tocca anche l’Europa e in Europa ci siamo anche noi.

In Italia? Ma va! Questo è il Bel Paese, semmai c’è da chiedersi: avete sentito il termine “tiratardi”? E invece si parla di 40 mila casi registrati.

Hikikomori Italia
, la prima associazione italiana ad occuparsi e sensibilizzare sul problema, riferisce che “secondo alcune stime (non ufficiali) nel nostro (bel) paese ci sarebbero almeno 100.000 casi.” (qui)

Ma da cosa scappano queste migliaia di giovani? Torno alla tartaruga e al pericolo, come farebbe un animale “lento” a sfuggire ai predatori “veloci” senza difese? La risorsa della nostra tartaruga è proprio il suo guscio, barricarsi dentro per sopravvivere, altri animali, per così dire più deboli, sprigionano tossine, altri si mimetizzano, lei si rintana in casa, sembra la scelta più ovvia, anzi naturale.
Ma chi sono i predatori di questi ragazzi che invece di trasformarsi in Tartarughe Ninja sbarrano la porta della loro stanza? Ovviamente la realtà non è un fumetto e davanti al pericolo non ci trasformiamo in supereroi, né subiamo mutazioni genetiche, piuttosto ci paralizziamo o scappiamo, non sempre siamo capaci di affrontare la minaccia con discernimento, di analizzarla e di conseguenza prendere le giuste misure. È un fatto di esperienza, d’età, anche di carattere e questi giovani sicuramente hanno pochi strumenti per affrontare il più temibile dei nemici: la pressione.
Il nostro è un modello agonistico, fisici scolpiti, magrezza, carisma, neanche un brufolo ti viene perdonato, devi eccellere, a scuola, nel gruppo, nei social, devi essere “figo”. Veniamo bombardati da slogan patinati, realizzazione, successo. È l’era del tipo forte, del leader. È l’era del piacione!
“Mostragli un po’ di debolezza e ti faranno a pezzi, puoi starne certo.”  da Skins
Checchè se ne dica con l’evoluzione del pensiero, la nostra resta una catena alimentare, fatta di prede e predatori.
Se la gazzella avesse una camera dove stare al sicuro, non avrebbe più la necessità di correre più veloce del leone.
Che dirvi, ci sono volte in cui anch’io vorrei chiudermi in una stanza. Quest’estate nei giorni in cui tutti erano in vacanza mi sono ritrovata sola tra le quattro mura di casa e ho riflettuto parecchio sul perché si chiudono i contatti fisici col mondo esterno e si arriva all’estremo dell’autoreclusione.

Il confronto con gli altri è sempre più pesante, vedo una società di mercato, impersonale, si da una grande importanza al successo, al denaro, all’apparire e in ogni situazione bisogna mostrarsi capaci, non sono ammesse le debolezze, né le cadute, devi essere sempre al top, si dice così. Una dimensione per narcisisti. Una delle frasi che mi terrorizza di più è: Se hai bisogno chiama! Che tradotto vuol dire: “Mi hai sentito oggi non mi sentirai mai più”. Ecco, se vieni percepito come un peso, un “portatore di bisogni”, taaac vieni espulso!
Microcosmi di solidarietà, di cooperazione, sparute oasi dove la qualità prevale sulla quantità, un’esistenza liquida dove ti dicono che anche il lavoro te lo devi “inventare”, ma senza strumenti, che devi avere ambizione (non quella sana), essere insolente, spregiudicato, che se non vuoi essere schiacciato devi schiacciare…
Ditemi voi se non si ha voglia di “tapparsi” in casa dentro questa “giungla” distopica che finge la felicità e non si cominciano a fare pensieri che non si dovrebbero fare.
Ma se un adolescente ha dei genitori che gli consentono il sostentamento, pagando le bollette e lasciando il cibo fuori dalla porta della camera, per un adulto è ben diverso, il necessario per la sopravvivenza deve procurarselo, altrimenti non gli resta che lasciarsi morire finite le riserve, quali esse siano. Ma non lo chiameremmo hikikomori, useremmo la parola “inetto”, diremmo che non ha obiettivi, progetti, anzi la frase più comune è: “Non ha le palle!”.
Ovviamente la definizione che “nella vita bisogna avere le palle” riguarda uomini e donne, che a voler essere precisi, dando seguito alle crociate, per me assurde, sulla parità di genere anche nella declinazione dei nomi, per le donne dovremmo dire: “nella vita bisogna avere le bocce”.
Che poi ad esagerare, a forza di palle e palle e palle si rischia di venirne schiacciati. Non si vive di solo pa…lle!

Sto divagando, per cui lasciamo stare le “sfere” che, beate loro, sono l’unico solido geometrico a non avere differenze al loro interno.
Tornando al punto, luogo comune vuole che un “senza palle” non riesca ad affrontare le difficoltà, per immaturità o paura, di conseguenza invece di rimanere scappa, anzi si rintana.
“Coraggio è essere spaventati a morte, ma montare comunque in sella.”  
John Wayne
Ma i Cowboy non ci sono quasi più e neanche le vacche di una volta, è tutto diverso, anche i “problemi” sono intricati, vengono fuori da talmente tante combinazioni di cause che a volerle prendere tutte in esame non ci si allontanerebbe più dalla scrivania e nascerebbero gli hikikomori degli hikikomori.
Mi gira un po’ la testa. 

Eh si, perché il problema non è solo la società nel suo insieme, in questo bisogno di chiusura anche la famiglia ha immancabilmente un ruolo centrale, l’interdipendenza tra madre e figlio e l’assenza di una figura paterna sono tra le cause dell’insorgenza di hikikomori negli adolescenti giapponesi.
“… Alcuni esperti, tra cui Tamaki Saitō, attribuiscono la causa del disagio oltre alla suddetta mancanza della figura paterna, al contesto familiare e sociale, fattori che contribuiscono allo sviluppo di un’interdipendenza e collusione fra madre e figlio, la quale, successivamente, si evolve in un sentimento di estrema dipendenza (甘え amae?), impedendo di fatto alla prole uno sviluppo psicologico autonomo. Il fenomeno infatti sembrerebbe verificarsi tra gli adolescenti maschi con madri troppo oppressive o al contrario totalmente assenti, ove il peso dell’educazione e del mantenimento dei figli ricade esclusivamente su queste ultime, le quali nel 95% dei casi ne assecondano l’isolamento, mentre il rischio che essi rimangano schiavi di tale simbiosi è accresciuto dal fatto che il padre raramente interviene come terzo elemento a separare la coppia madre-figlio.” (da Wikipedia qui )
Beh, su madri e padri ci sarebbe da scrivere un post a parte. Madri talmente amorevoli da costruire simulacri d’amore, dove la loro presenza non è mai abbastanza e l’affetto dei figli sempre troppo poco, tessono pericolose ragnatele di dipendenza tra vittimismo e solitudine per essere sempre e comunque indispensabili. Madri virago, autoritarie e frustrate. Madri e padri che non hanno tempo per il troppo lavoro o la fatica, distratti dai social, distratti dalla corsa al giovanilismo, permissivi, accondiscendenti e amiconi ruffiani. Padri mancanti per troppa immaturità o egoismo… Rapporti talmente aggrovigliati e confusi che non è possibile riassumere in poche righe e la vostra soglia di attenzione credo sia già al limite (almeno così dicono gli esperti) se non del tutto esaurita. Il tempo è denaro, bisogna essere veloci (altra pressione)…  Va bene, riprendo il filo del discorso.
Dopo quanto detto sopra da Tamaki Saitō starete pensando che l’hikikomori è un fenomeno maschile, siete fuori strada, il numero delle donne hikikomori è sottostimato.  A spiegarlo sempre Marco Crepaldi di Hikikomori Italia:
[…] Se un ragazzo non esce è considerato uno sfigato, se una ragazza non esce invece significa che è una con la testa a posto. E anche crescendo la situazione non cambia, è sempre l’uomo ad essere spinto a realizzarsi e ad avere una vita sociale attiva.
Mi viene in mente che una volta mi fecero una battuta: «Se un hikikomori è uno che se ne sta sempre chiuso in casa, allora di hikikomori donne sposate ne conosco a bizzeffe»”
Le donne hikikomori sono più di quello che pensiamo…  (qui)
Almeno qui possiamo stare tranquilli non c’è distinzione di genere, una distinzione invece va fatta tra Hikikomori e IAD. Sopratutto in Italia spesso si confonde l’hikikomori con il disturbo da dipendenza da Internet (IAD), ma questa non ne è la causa, semmai uno degli effetti della chiusura. Se il mondo è in una stanza non ti resta che il mouse per vedere senza essere visto, una “prigione” perfetta o un’uscita di sicurezza, in ogni caso l’unica forma di contatto con gli altri, quella meno spaventosa dell’interazione virtuale. Nella vastità del Web si può scegliere i contatti, restare anonimi, costruirsi un avatar e con un semplice reset azzerare tutto.
Questi ragazzi sembrano lo specchio dei nostri tempi, anzi direi l’antropomorfizzazione di un malessere largamente percepito: la solitudine.
Siamo iperconnessi e soli
Mi tornano in mente due film, diversi sicuramente tra loro anche per tematiche, ma che meritano di essere visti. Thomas in Love del 2000 diretto da Pierre Paul Renders, girato interamente in soggettiva e Castaway On the Moon un film di Hae-jun Lee del 2009.
Li ricordo perché sono un’inguaribile romantica e sicuramente mi piace pensare che un tocco d’amore può fare miracoli.
C’è anche una considerazione più pragmatica, Thomas ha un vitalizio che gli consente di vivere rinchiuso e la giovane Jung-yeon ha una madre che la mantiene.
Un povero o una famiglia povera non credo proprio avrà mai il problema dell’hikikomori 
Adolescente o adulto che sei se non appartieni ad una classe agiata, ad una famiglia che in ogni caso tende a proteggerti, ti tocca andare a lavorare, quanto meno ti tocca uscire, se una casa ce l’hai, per andare a cercarlo il lavoro o se non altro a trovare qualcosa per sopravvivere.
E qui s’innesca un’altra condizione tanto tragica quanto opposta all’hikikomori, quella dei giovani senza fissa dimora. Accomunati entrambi dall’emarginazione, quelli soli dentro la stanza e quelli soli fuori!
In Italia sono di sicuro andati molto oltre i 50 mila 724 senza tetto,rilevati dall’Istat nel 2014, di questi stando ad alcune analisi il 20 – 30%  sono giovani. Una moltitudine di 15 mila giovani soli per le strade. Leggi qui
Un’umanità che non esiste più 

In conclusione anche questa è la cosiddetta “società del benessere”, una società che ha saputo creare uno stile di vita impossibile e spietatamente crudele, oramai sembra di non vivere più, ma di esistere come consumatori, consumatori soli, colpiti da “malattie sempre più ambigue” e alla fine della fiera non ci accorgiamo neanche di essere stati “consumati”, chi fuori e chi dentro la stanza.
“Per essere felici bisognerebbe vivere. Ma vivere è la cosa più rara al mondo. La maggior parte della gente esiste e nulla più.”  
Oscar Wilde
Non lasciamo che il mercato ci consumi e ci isoli sempre di più.

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