«Mi chiedo che
fine faremo.» Mi capita di essere tormentato da simili pensieri, ma in fin dei
conti sono un fallito, uno hikikomori. Finché non toccherò il limite, ho deciso
che continuerò a fuggire dalla realtà.
Tatsuhiro Satō da Welcome to the NHK
Quando il mondo è in una stanza, il
resto ovviamente resta fuori. E quando dico “fuori” intendo tutto, è una scelta
estrema di isolamento che a farla sono soprattutto giovani e giovanissimi, di
sicuro avrete sentito il termine hikikomori,
viene usato in Giappone per indicare chi
decide di abbandonare la vita sociale per confinarsi nella propria camera e
vivere rinchiusi (letteralmente “stare in disparte, isolarsi”,
dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”).
Avete presente la tartaruga? Difronte al pericolo
ritira testa e zampe e si trincera nella corazza, è una reazione istintiva di
autodifesa. In Giappone ci sarebbero oltre
un milione di giovani che per difendersi hanno scelto
l’autoreclusione, se state pensando ad una faccenda tutta giapponese non è
così, non lo è affatto. È una questione che tocca anche l’Europa e in Europa ci
siamo anche noi.
In Italia? Ma va! Questo è il Bel Paese, semmai c’è da
chiedersi: avete sentito il termine “tiratardi”? E invece si parla di 40
mila casi registrati.
Hikikomori Italia, la prima associazione italiana ad occuparsi e sensibilizzare sul problema, riferisce che “secondo alcune stime (non ufficiali) nel nostro (bel) paese ci sarebbero almeno 100.000 casi.” (qui)
Hikikomori Italia, la prima associazione italiana ad occuparsi e sensibilizzare sul problema, riferisce che “secondo alcune stime (non ufficiali) nel nostro (bel) paese ci sarebbero almeno 100.000 casi.” (qui)
Ma da cosa scappano queste migliaia di
giovani? Torno alla tartaruga e al pericolo,
come farebbe un animale “lento” a sfuggire ai predatori “veloci” senza difese?
La risorsa della nostra tartaruga è proprio il suo guscio, barricarsi dentro
per sopravvivere, altri animali, per così dire più deboli, sprigionano tossine,
altri si mimetizzano, lei si rintana in casa, sembra la scelta più ovvia, anzi
naturale.
Ma chi sono i predatori di questi ragazzi
che invece di trasformarsi in Tartarughe
Ninja sbarrano la porta della loro stanza? Ovviamente la realtà
non è un fumetto e davanti al pericolo
non ci trasformiamo in supereroi, né subiamo mutazioni genetiche,
piuttosto ci paralizziamo o scappiamo, non sempre siamo capaci di affrontare la
minaccia con discernimento, di analizzarla e di conseguenza prendere le giuste
misure. È un fatto di esperienza, d’età, anche di carattere e questi giovani
sicuramente hanno pochi strumenti per affrontare il più temibile dei
nemici: la pressione.
Il nostro è un modello agonistico,
fisici scolpiti, magrezza, carisma, neanche un brufolo ti viene perdonato, devi eccellere, a
scuola, nel gruppo, nei social, devi essere “figo”. Veniamo
bombardati da slogan patinati, realizzazione, successo. È l’era del tipo forte,
del leader. È l’era del piacione!
“Mostragli un po’ di debolezza e ti faranno a pezzi, puoi starne
certo.” da Skins
Checchè se ne dica con l’evoluzione del
pensiero, la nostra resta una catena alimentare,
fatta di prede e predatori.
Se la gazzella
avesse una camera dove stare al sicuro, non avrebbe più la necessità di correre
più veloce del leone.
Che dirvi, ci sono volte in cui anch’io
vorrei chiudermi in una stanza. Quest’estate nei giorni in cui tutti erano in
vacanza mi sono ritrovata sola tra le quattro
mura di casa e ho riflettuto parecchio sul perché si chiudono i
contatti fisici col mondo esterno e si arriva all’estremo dell’autoreclusione.
Il confronto con gli altri è sempre più
pesante, vedo una società di mercato, impersonale, si da una grande importanza
al successo, al denaro, all’apparire e in ogni situazione bisogna mostrarsi
capaci, non sono ammesse le debolezze, né le cadute, devi essere sempre al top, si dice così. Una
dimensione per narcisisti. Una delle frasi che mi terrorizza di più è: Se hai bisogno chiama! Che
tradotto vuol dire: “Mi hai sentito oggi non mi sentirai mai più”. Ecco, se
vieni percepito come un peso, un “portatore di bisogni”, taaac vieni espulso!
Microcosmi di solidarietà, di
cooperazione, sparute oasi dove la qualità prevale sulla quantità, un’esistenza
liquida dove ti dicono che anche il lavoro te lo devi “inventare”, ma senza
strumenti, che devi avere ambizione (non quella sana), essere insolente,
spregiudicato, che se non vuoi essere schiacciato devi schiacciare…
Ditemi voi se non si ha voglia di
“tapparsi” in casa dentro questa “giungla” distopica che finge la felicità e
non si cominciano a fare pensieri che non si dovrebbero fare.
Ma se un
adolescente ha dei genitori che gli consentono il sostentamento,
pagando le bollette e lasciando il cibo fuori dalla porta della camera, per un
adulto è ben diverso, il necessario per la sopravvivenza deve procurarselo,
altrimenti non gli resta che lasciarsi morire finite le riserve, quali esse
siano. Ma non lo chiameremmo hikikomori, useremmo la parola “inetto”, diremmo che non ha
obiettivi, progetti, anzi la frase più comune è: “Non
ha le palle!”.
Ovviamente la definizione che “nella vita bisogna avere le
palle” riguarda uomini e donne, che a voler essere precisi,
dando seguito alle crociate, per me assurde, sulla parità di genere anche nella
declinazione dei nomi, per le donne dovremmo dire: “nella vita bisogna avere le bocce”.
Che poi ad esagerare, a forza di palle e
palle e palle si rischia di venirne schiacciati. Non si vive di solo pa…lle!
Sto divagando, per cui lasciamo stare le “sfere” che,
beate loro, sono l’unico solido geometrico a non avere differenze al loro interno.
Tornando al punto, luogo comune vuole
che un “senza palle” non riesca ad affrontare le
difficoltà, per immaturità o paura, di conseguenza invece di rimanere scappa,
anzi si rintana.
“Coraggio è essere spaventati a morte, ma montare comunque in
sella.”
John Wayne
Ma i Cowboy non ci
sono quasi più e neanche le vacche di una volta, è tutto diverso, anche i “problemi” sono intricati, vengono
fuori da talmente tante combinazioni di cause che a volerle
prendere tutte in esame non ci si allontanerebbe più dalla scrivania e
nascerebbero gli hikikomori degli hikikomori.
Mi gira un po’ la testa.
Eh si, perché il problema non è solo la
società nel suo insieme, in questo bisogno di chiusura anche la famiglia ha immancabilmente un
ruolo centrale, l’interdipendenza tra madre e figlio e l’assenza di una
figura paterna sono tra le cause dell’insorgenza di hikikomori negli
adolescenti giapponesi.
“… Alcuni esperti, tra cui Tamaki Saitō,
attribuiscono la causa del disagio oltre alla suddetta mancanza della figura
paterna, al contesto familiare e sociale, fattori che contribuiscono allo
sviluppo di un’interdipendenza e collusione fra
madre e figlio, la quale, successivamente, si evolve in un sentimento di
estrema dipendenza (甘え amae?), impedendo di fatto alla
prole uno sviluppo psicologico autonomo. Il fenomeno infatti sembrerebbe
verificarsi tra gli adolescenti maschi con madri
troppo oppressive o al contrario totalmente assenti, ove il peso
dell’educazione e del mantenimento dei figli ricade esclusivamente su queste
ultime, le quali nel 95% dei casi ne assecondano l’isolamento, mentre il
rischio che essi rimangano schiavi di tale simbiosi è accresciuto dal fatto che
il padre raramente interviene come terzo elemento a separare la coppia
madre-figlio.” (da Wikipedia qui )
Beh, su
madri e padri ci sarebbe da scrivere un post a parte. Madri
talmente amorevoli da costruire simulacri d’amore, dove la loro presenza non è
mai abbastanza e l’affetto dei figli sempre troppo poco, tessono pericolose
ragnatele di dipendenza tra vittimismo e solitudine per essere sempre e comunque
indispensabili. Madri virago, autoritarie e frustrate. Madri e
padri che non hanno tempo per il troppo lavoro o la fatica, distratti dai
social, distratti dalla corsa al giovanilismo, permissivi, accondiscendenti e
amiconi ruffiani. Padri mancanti per troppa immaturità o egoismo… Rapporti
talmente aggrovigliati e confusi che non è possibile riassumere in poche righe
e la vostra soglia di attenzione credo sia già al limite (almeno così dicono
gli esperti) se non del tutto esaurita. Il tempo è denaro, bisogna essere
veloci (altra pressione)… Va bene, riprendo il filo del discorso.
Dopo quanto detto sopra da Tamaki
Saitō starete pensando che l’hikikomori è un fenomeno maschile, siete
fuori strada, il numero delle
donne hikikomori è sottostimato. A spiegarlo sempre Marco Crepaldi di Hikikomori Italia:
“[…] Se un ragazzo non esce è
considerato uno sfigato, se una ragazza non esce invece significa che è una con
la testa a posto. E anche crescendo la situazione non cambia, è sempre l’uomo
ad essere spinto a realizzarsi e ad avere una vita sociale attiva.
Mi viene in mente che una volta mi fecero
una battuta: «Se un hikikomori è uno che se ne sta sempre chiuso in casa,
allora di hikikomori donne sposate ne conosco a bizzeffe»”
Le donne
hikikomori sono più di quello che pensiamo… (qui)
Almeno qui possiamo stare tranquilli non
c’è distinzione di genere, una distinzione invece va fatta tra Hikikomori e
IAD. Sopratutto in Italia spesso si confonde l’hikikomori con il disturbo da dipendenza da Internet (IAD),
ma questa non ne è la causa, semmai uno degli effetti della chiusura. Se il
mondo è in una stanza non ti resta che il mouse per vedere senza essere
visto, una “prigione” perfetta o un’uscita di
sicurezza, in ogni caso l’unica forma di contatto con gli altri, quella
meno spaventosa dell’interazione virtuale. Nella vastità del Web si può
scegliere i contatti, restare anonimi, costruirsi un avatar e con un semplice
reset azzerare tutto.
Questi ragazzi sembrano lo specchio dei
nostri tempi, anzi direi l’antropomorfizzazione
di un malessere largamente percepito: la solitudine.
Siamo iperconnessi e soli
Mi tornano in
mente due film, diversi sicuramente tra loro anche per tematiche, ma che meritano di
essere visti. Thomas in Love del
2000 diretto da Pierre Paul Renders, girato interamente in soggettiva e Castaway On the Moon un
film di Hae-jun Lee del 2009.
Li ricordo perché sono un’inguaribile
romantica e sicuramente mi piace pensare che un
tocco d’amore può fare miracoli.
C’è anche una considerazione più
pragmatica, Thomas ha un vitalizio che gli
consente di vivere rinchiuso e la giovane Jung-yeon ha
una madre che la mantiene.
Un povero o una
famiglia povera non credo proprio avrà mai il problema dell’hikikomori
Adolescente o adulto che sei se non
appartieni ad una classe agiata, ad una famiglia che in ogni caso tende a
proteggerti, ti tocca andare a lavorare, quanto meno ti tocca uscire, se una
casa ce l’hai, per andare a cercarlo il lavoro o se non altro a trovare
qualcosa per sopravvivere.
E qui s’innesca un’altra condizione
tanto tragica quanto opposta all’hikikomori, quella
dei giovani senza fissa dimora. Accomunati entrambi dall’emarginazione, quelli
soli dentro la stanza e quelli soli fuori!
In Italia sono di sicuro andati molto
oltre i 50 mila 724 senza tetto,rilevati
dall’Istat nel 2014, di questi stando ad alcune analisi il 20 – 30% sono
giovani. Una moltitudine di 15 mila giovani soli per le strade. Leggi qui
Un’umanità che non esiste più
In conclusione anche questa è la cosiddetta
“società del benessere”, una società che ha saputo creare uno stile di vita
impossibile e spietatamente crudele, oramai sembra di non vivere più, ma
di esistere come consumatori,
consumatori soli, colpiti da “malattie
sempre più ambigue” e alla fine della fiera non ci accorgiamo
neanche di essere stati “consumati”, chi fuori e chi dentro la stanza.
“Per essere felici bisognerebbe vivere. Ma vivere è la cosa più rara al
mondo. La maggior parte della gente esiste e nulla più.”
Oscar Wilde
Non lasciamo che
il mercato ci consumi e ci isoli sempre di più.
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