martedì 7 novembre 2017

L’ostinata resistenza dei mapuche - David Lifodi



La resistenza dei mapuche per la difesa del loro territorio passa anche dalla battaglia contro l’edificazione di nuove centrali idroelettriche. Dal 2009 la comuna di Kurarewe, nel sud del Cile, sta cercando di opporsi alla politica estrattivista del governo cileno, indipendentemente dal colore politico dei presidenti e delle maggioranze che si sono succedute alla guida del paese. La regione dell’Araucanía, dove tuttora abita la maggior parte dei mapuche residenti nel territorio dello Stato cileno, è ricca di risorse naturali e, secondo la loro cosmovisione, in ogni vulcano, fiume, albero e montagna è presente un elemento della Madre Terra con cui vanno d’accordo.
Tuttavia, di fronte allo sviluppo delle comunità mapuche, compresa quella di Kurarewe, composta da circa ottomila abitanti e dedita, per sopravvivere, al turismo comunitario, all’allevamento del bestiame e al lavoro dell’artigianato, le ricchezze naturali delle comunas sono divenute oggetto dell’attenzione delle multinazionali legate al business dell’energia elettrica che, sfruttando la falsa idea di una supposta crisi energetica del Cile, sbandierata dai vari governi del paese, ne hanno approfittato per lanciare una campagna volta alla costruzione del maggior numero possibile di centrali idroelettriche. In realtà, basta consultare i dati in possesso dell’Istituto nazionale di statistica cileno per rendersi conto che solo il 15% dell’energia totale del paese è consumata dalla popolazione.
Nella sola regione dell’Araucanía ci sono già 14 progetti idroelettrici approvati ed altri 53 in fase di approvazione che pendono come una spada di Damocle sui mapuche. La costruzione di nuove dighe non fa altro che attentare ulteriormente all’idea di sviluppo economico e sociale delle comunas, per le quali l’acqua non è soltanto un bene di consumo, ma generatrice di vita, possiede un proprio spirito, il Ngen Ko, che i mapuche pregano quando la stagione impone lunghi periodi di siccità. Se in inverno dai fiumi sgorga molta acqua, non è altrettanto così d’estate e, in un contesto di forti cambiamenti climatici come quello attuale, le comunas dei mapuche rischiano di rimanere sprovviste d’acqua, senza contare che le dighe saranno costruite talmente vicine alle abitazioni da inondare i luoghi sacri delle comunità. Da alcuni anni, l’impresa cilena Gtd Negocios S.A., insieme agli spagnoli del Grupo Enhol, intende costruire una centrale idroelettrica sul territorio della comuna di Kurarewe, sul fiume Trankura, per installare la centrale Añihuarraqui. Il luogo dei cerimoniali mapuche di Kurarewe, nguillatuwe, uno dei più antichi dell’Araucanía, molto probabilmente scomparirebbe. Ufficialmente le comunas sono state consultate e il governo ha fatto svolgere un referendum che avrebbe visto prevalere i favorevoli alla diga, ma i mapuche hanno parlato di una farsa ed hanno denunciato i tentativi di dividere le comunità tramite molteplici tentativi di corruzione. Non solo. Anche l’impresa ha cercato di comprare i mapuche, offrendo ai comuneros che avessero accettato il progetto circa 500mila pesos, ma l’operazione non è andata in porto. Da allora, era il 2015, la guerra a bassa intensità contro la comunità mapuche non si è mai interrotta, a partire da una violenta campagna di stampa contro di loro condotta dai principali organi di informazione cileni.
In un’intervista rilasciata a Punto Final, il portavoce della Coordinadora Arauco Malleco Héctor Llaitul Carrillanca ha evidenziato come lo Stato cileno abbia progressivamente militarizzato l’Araucanía per imporre i progetti estrattivisti in territorio mapuche. I circa tremila militari inviati nel Wallmapu, evidenzia Héctor Llaitul, servono per salvare gli interessi delle grandi multinazionali. Di fatto, l’intero territorio dei mapuche risulta già abbondantemente stravolto, se non dalle idroelettriche sicuramente da elicotteri, aerei, battaglioni e sofisticati sistemi di controllo del Wallmapu, che rendono permanente la criminalizzazione del popolo mapuche. L’immagine degli abitanti delle comunas è quella di “terroristi” ogni qualvolta che i mapuche difendono il loro diritto alla terra, ma se a tutto ciò ha contribuito soprattutto la destra economica e politica, anche la sinistra, persino quella più insospettabile, ha le proprie responsabilità. Ormai giunta alla fine del suo secondo mandato, non consecutivo, alla Moneda, la presidenta Bachelet non sarà certo ricordata per la sua attenzione alla causa mapuche. In primo luogo, ciò che ha sconcertato i mapuche è stata la sua proposta di impegnarsi per offrire sostegno ad agricoltori, coloni e imprenditori vittime della resistenza mapuche, come se questi ultimi non fossero le vittime storiche del conflitto imposto dallo Stato e dal suo progetto capitalista nei loro territori. In secondo luogo, ha ricevuto forti critiche anche il piano di sviluppo per l’ Araucanía presentato dal ministro del Partito comunista Marcos Barraza Gómez, presentato come uno dei migliori nella storia del paese, ma che di fatto non riconosce in tutto e per tutto i diritti dei mapuche, anzi, insiste con l’idea, esclusivamente assistenzialista, secondo la quale occorra soltanto superare i problemi di povertà e disuguaglianza in territorio mapuche, senza però mettere in dubbio la matrice di sviluppo estrattivista e capitalista in una regione, l’Araucanía, baluardo della destra più dura per la presenza dei coloni.
A breve il Cile avrà un nuovo governo, ma se non sarà riconosciuto e garantito costituzionalmente il diritto alla lotta politica e all’autodeterminazione della nazione mapuche e, contemporanemente, la responsabilità dello stato nel saccheggio del territorio e nella continua politica di spoliazione, per i mapuche difficilmente cambierà qualcosa.

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