(articolo di un anno fa, come fosse oggi)
C’è un
abisso, una faglia tra Africa ed Europa, dove migliaia di migranti stanno
scomparendo ieri e oggi. “Fatti sparire”, presi a tenaglia tra due fronti: le
detenzioni e gli abusi in Libia e i muri spinati e armati europei. Circa
ducento persone sono annegate in solo tre giorni, dal 25-27 ottobre, in
vari “naufragi” come si chiamano eufemisticamente. Nessuno
osa parlare di eliminazione, eppure la scomparsa di massa è il frutto di una linea politica dell’Ue – il
blocco del flusso migratorio a tutti costi, alla partenza e in viaggio -, non
il frutto delle onde.
Uomini e
donne, molte incinte, imbarcati su gommoni già sgonfi alla partenza, che
imbarcano acqua e benzina, e corpi ustionati e feriti per non parlare delle
torture di massa nei lager libici. Ragazzi denutriti che non riescono a
camminare sulla banchina del porto e tanti che hanno visto morire un compagno
in celle o in mare. Guardate i loro occhi non sono
“migranti economici”.
E nessun intellettuale o giornalista, osa ancora
parlare di eliminazione. Sì il termine “eliminazione” disturba, ci renderebbe
tutti complici di questa odierna fossa comune, eppure come nominare diversamente un connubio di
politiche che per risultato ha la scomparsa dei migranti, – perché migranti?
Una miscela letale di politiche migratorie mirate al respingimento di massa e
politiche neoliberiste di devastazione delle autonomie e risorse africane,
di esternalizzazione delle frontiere e di Migration Compact – una foglia di fico per
nascondere controllo violento dei confini da polizie o paramilitari locali,
rimpatri e deportazioni – nelle dittature come
Eritrea, Sudan,
Etiopia, Gambia ecc… – con tutti gli abusi e i rischi di sparizioni che
comporta; senza elencare la censura sulla reale operazione militare con
pattuglie di navi Nato nell’Egeo e nel Mediterraneo centrale.
Come
analizzava perspicacemente Daniel J. Goldhagen in Peggio della guerra. Lo sterminio di massa nella storia
dell’umanità, una politica eliminazionista è una strategia politica
(per la redistribuzione del potere) un programma di morte
pianificato a tavolino. Come lo è, nel caso nostro, la strategia
europea di “blocco dei migranti” a tutti costi, inclusa l’uso della forza sul
corpo dei migranti, alla partenza o in viaggio. Le criminali scelte come
l’interruzione di Mare Nostrum, i Processi di Khartoum e di
Rabat, gli accordi bilaterali di controllo dei confini e di riammissione con
regimi terzi, i pattugliamenti armati di Frontex, le deportazioni e i
respingimenti verso dittature di origine, possono produrre lo stesso effetto
letale. 4.383 morti e dispersi a mare e 416 a terra, per un totale di 4.799
vittime nel solo 2016 (fonte Nuovi Desaparecidos).
Però in questo tassello innominabile, ora dopo le precedenti prove di
omissione di soccorso della tragedia del 3 e 11 ottobre (ora indagine dalla
Procura di Roma), del rapporto Death by Rescue (va letto) dei
ricercatori Lorenzo Pezzani e Charles Heller, abbiamo ora un’ennesima prova
che il blocco dei migranti non esclude l’eliminazione fisica.
I fatti del
21 ottobre. Pestati e fatti naufragare a mare.
Alle ore 3 della notte del 21 ottobre, vi è stato un attacco da parte di un
motoscafo della guardia costiera libica a un gommone con circa 150 migranti a
bordo, mentre era in corso un’operazione di soccorso da parte dell’Ong tedesca
Sea-Watch. L’operazione SAR, in coordinamento con la centrale operativa della
guardia costiera italiana, era in atto a 14 miglia dalle coste libiche, quando
agenti libici sono saliti a bordo del gommone e hanno a colpito violentemente i
migranti con bastoni. «L’attacco da parte dei libici ha creato una situazione
di panico a bordo, uno dei tubolari del gommone è collassato provocando la
caduta in mare della maggior parte delle persone», riporta il comunicato dell’Ong
tedesca. Inoltre, gli equipaggi delle due imbarcazioni di Sea Watch 2 sono
stati violentemente minacciati impedendo loro di lanciare altri salvagenti.
Anche se il team di Sea-Watch 2 è riuscito a mettere in salvo 120 persone.
Quattro cadaveri recuperati, sarebbero quindi altri circa 25 morti (totale
circa 30 morti). Sulla stampa italiana, oltre al grave silenzio, a differenza
della stampa internazionale, si è fatto filtrare il dubbio che non fosse la
guardia costiera libica ma un motoscafo rubato con le sue insegne; nonostante
il portavoce della guardia costiera libica abbia riconosciuto l’abbordaggio (in
foto) anche se nega di aver bastonato i migranti e i documenti inoppugnabili,
come il log book della nave tedesca dove si conferma che la nave era in effetti
in acque internazionali. Lo staff umanitario ribadisce invece l’accusa alla
Guardia costiera libica, e quest’ennesima violazione del diritto internazionale
del mare. Sea-Watch chiede anche all’Ue di rivalutare l’addestramento di 80
agenti libici su navi militari dell’Ue, tra cui la San Giorgio e poi
prossimamente a terra, iniziato il 27 ottobre scorso, nell’ambito
dell’operazione Sophia di EuNavforMed.
Dicono, per
facilitare i soccorsi, in realtà si tratta e si tratterà di respingimenti e di attacchi camuffati da
operazioni di controllo in mare, al limite delle acque internazionali, un
limite sempre più incerto, ma portati con mezzi tali da mettere in pericolo la
vita dei migranti. Nell’ora dove emergono prove dell’uso di armi da fuoco
contro i rifugiati da parte della guardia costiera nell’Egeo e di Frontex nel
2014-15, come dimostrava l’inchiesta “Shoot first! di The Intercept, uno può
logicamente aver il dubbio che si stia replicando ora nel Mediterraneo quel
modello di deterrenza, usato in acque greco-turche che ha avuto per conseguenza
un calo delle partenze. Invece di diminuzione delle morti nel Mediterraneo centrale,
infatti dall’operazione Eunavfor Med, che ha per mandato di “intercettare,
identificare e distruggere le imbarcazioni usate degli scafisti”, il 2016 risulta l’anno più letale. E da quando è
partito l’addestramento ai libici,
mai sono stati cosi numerosi i cadaveri, in catena. Il 25-27 ottobre, 29
cadaveri sono stati recuperati in fondo ad un gommone dalla nave Bourbon Argos
di Msf), 97 sono dati per dispersi senza alcuna speranza di ritrovarli via dopo
il naufragio (davanti al largo di Tajoura a est di Tripoli), 51 quelli indicati
da alcuni superstiti dopo lo sbarco a Augusta, più alcuni “sparsi” (2 salme
trasbordate sulla nave Vos Hestia di Save the Children e un giovane profugo
recuperato dal mercantile danese Maersk Edward). Odio i bilanci, ma sono
necessari, circa 200 esseri umani sono stati uccisi nelle acque
libiche in soli 72 ore, e oltre 4.000 morti a mare nel 2016 che
tutti gli organismi internazionale Unhcr e Iom, certificano l’anno più letale,
senza spiegarci le vere ragioni; non solo la
violenza degli scafisti ma anche le intercettazioni violente a mare: si può
ancora parlare di strage o dobbiamo cambiare terminologia – e livello di
coscienza – e iniziare a nominare?
I pontili
vuoti, le onde dove galleggiano i salvagenti vuoti, le centinaia di cadaveri
che riaffiorano ogni giorno scomposti sulle coste libiche, le sparizioni nei
lager libici, e tutti quelli che non vediamo,
respinti e detenuti nelle celle dei “paesi terzi”, le migliaia di desaparecidos
prodotti dalla nuova Barbarie-Europa, perché non nominarla? Non aspettiamo la
Storia.
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