L’altra
sera, domenica 5 novembre, ho acceso la TV e
mi si è presentato, inatteso, il volto di un giornalista locale
Antonello Lai, che dalle antenne di TCS, mandava in onda un servizio sul
quartiere popolare di Is Mirrionis fatto di interviste ai rivenditori di
estemporanee bancarelle; cresciute come funghi nella piazza Is Maglias della
città di Cagliari.
Di
fronte si intravedeva la piazza Medaglia Miracolosa restituita al quartiere, di
fresco restaurata, con le fioriere che attendono solo di competere in bellezza
con le Jacarande di maggio, luminosa; luogo nel quale respirare tutti assieme
adulti, bambini e anziani.
Un
grido di diffondeva dalle labbra dei signori e dalle signore intervistati i
quali la rivendicavano nuovamente per loro e per il commercio -che ora
praticano di fronte a venti metri soltanto-. Ponevano delle condizioni i
bancarellari, scatenando in modo plateale una guerriglia con i “Negri” ai quali
attribuiscono una discreta fetta del loro malessere.
Premetto
che amo molto questo quartiere popolare. Gli ho dedicato poesie piene di
sorrisi, ne apprezzo la sincerità e la capacità kitch di arrangiarsi che si è
fatta arte.
Non
ne ignoro le debolezze, le contraddizioni, l’illegalità passata e presente e le
difficoltà di una convivenza civile.
Ne
conosco la storia, fucina di un riscatto sociale che è partito dalla dalla
scuola negli anni ’70.
Lo
tengo vicino al mio sentire, luogo in cui sparsero i loro geni i fenici,
lasciandoci in eredità la meraviglia della più grande necropoli del
Mediterraneo -Tuvixeddu- come “memento” del fatto che giungiamo in questa vita
senza avere nulla di materiale, ci accapigliamo durante per avere qualcosa, ce
ne andiamo senza poterci portare appresso niente.
Eppure…eppure
ieri sera ho sentito una fitta nel costato a sentire le voci di tanti
“penultimi”, i bancarellisti,
prendersela con i ” NEGRI” gli ultimi.
Lo
spaccio a Is Mirrionis lo attribuivano alla presenza dei “Negri”, la loro
difficile condizione economica alla presenza dei “Negri” .
Quello
“spreco” di piazza Medaglia Miracolosa, medaglia che dovrebbero appuntarsi al
petto come dono a tutto il quartiere, alla sua riqualificazione, alla bellezza
di cui farsi custodi, lo hanno fatto diventare motivo di lagnanza con
l’amministrazione comunale. Tutto era brutto, tutto era cattivo, ma i più
cattivi di tutti erano i “Negri”.
Un
magone mi ha preso.
Ho
pensato che la scuola, tutte le scuole che operano nel quartiere, hanno un
compito immane, una responsabilità grave, che debbono pretendere di condividere
con tutte le agenzie educative presenti nel territorio. È urgente promuovere e
diffondere una cultura del rispetto degli esseri umani.
La
sofferenza, l’abbandono, la dimenticanza, creano dolore ed emarginazione e non
fanno differenza fra il colore della pelle o la provenienza geografica.
Questo
farsi “Capponi di Renzo” beccandosi a
sangue fra penultimi e ultimi, agevola solo i Primi senza che vi sia
consapevolezza in tal senso.
Eppure
dovremo saperlo bene noi sardi, che qualcosa di africano nei geni ce lo
portiamo dentro da secoli. Nel caso lo avessimo dimenticato ce lo ricorda
anche una bellissima poesia del premio
Nobel per la letteratura, Grazia Deledda quando dice che :
“Noi
siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi,
romani,
arabi, pisani, bizantini, piemontesi.
Siamo
le ginestre d’oro giallo che spiovono
sui
sentieri rocciosi come grandi lampade accese.
Siamo
la solitudine selvaggia, il silenzio immenso e profondo,
lo
splendore del cielo, il bianco fiore del cisto.
Siamo
il regno ininterrotto del lentisco,
delle
onde che ruscellano i graniti antichi,
della
rosa canina,
del
vento, dell’immensità del mare.
Siamo
una terra antica di lunghi silenzi,
di
orizzonti ampi e puri, di piante fosche,
di
montagne bruciate dal sole e dalla vendetta.
Noi
siamo sardi.”
Per
essere consapevoli di ciò che siamo e che siamo stati c’è però bisogno di
sostenere l’istruzione. Bisogna andare a scuola con la voglia di sapere, di
conoscere chi siamo oggi è perché, oltre la nostra bancarella di rape e
bandierine usate con impressi i quattro mori scoloriti. È necessario andarci
per recuperare il senso di appartenenza all’unico genere cui ha senso
appartenere, quello umano
o
rischiamo di continuare a raccontarci all’etere come caporali anziché uomini
E
la gara di questa misera “audience” la
vinceranno sempre i Primi.
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