In questi ultimi mesi molti nodi politici legati al
tema immigrazione sono venuti al pettine. Il Governo italiano ha accelerato, su pressione
europea, la chiusura della rotta dalla Libia, le forze di centro sinistra che
lo sostengono hanno accettato un pesante silenzio sulle conseguenze di questa
accelerazione, nella convinzione che sia necessaria per porre un argine
all’avanzata della demagogia xenofoba e alla crescita del consenso a favore dei
partiti di destra. Le centinaia di realtà che operano nell’accoglienza e nella
tutela dei diritti umani si sono viste schiacciate in un angolo, isolate prima
da una forte campagna mediatica di screditamento sociale e poi dal riscoprirsi
in qualche modo rannicchiate in esperienze troppo tecniche e marginali.
Migliaia di
cittadini si sentono spiazzati da questa fase: basta poco per capire quanto
violente e inaccettabili sono le conseguenze delle politiche securitarie, sin
troppo chiare sono le condizioni disumane dei lager
libici a cui stiamo affidando migliaia di uomini, donne e
bambini e sin troppo chiaro è come questo sia il prezzo che una parte troppo
ampia della nostra società sembra pronta a pagare per evitare crescita di
populismi e pericolose derive. Ma come reagire?Nelle
ultime settimane il silenzio su tutto ciò è assordante, nessun giornalista
italiano ha la possibilità di verificare le reali conseguenze delle operazioni
in corso nel Mediterraneo e sembra sempre più solida la convinzione che la cosa
migliore sia evitare di parlarne.
Eppure girando l’Italia in questi giorni, ho incontrato un paese
completamente diverso, un paese pieno di persone che non vogliono accettare
questo status quo come inevitabile, che quotidianamente costruiscono pratiche
di interazione e solidarietà, che sanno bene come il movimento
dei popoli continuerà ad essere al centro delle nostre vite e del nostro
futuro.
Bisogna
uscire da questa sorta di ricatto, rompere il silenzio come
è stato fatto nella manifestazione dello
scorso 21 ottobre, ma avendo anche il coraggio di riconoscere i
propri limiti e mettersi insieme per elaborare delle nuove proposte, per uscire
dall’incubo della minaccia “o così o peggio”.
Se siamo arrivati a questo punto, al punto di
accettare violenze e violazioni sempre più esplicite, qualcosa dobbiamo aver
sbagliato. C’è un
qualcosa di molto pericoloso nell’ordine delle cose che domina le politiche
migratorie europee. E c’è qualcosa di troppo debole nel modo con cui
associazioni, attivisti, movimenti hanno fin qui provato a reagire.
Dobbiamo insieme capire cosa sta e ci sta succedendo,
e provare a cambiare. Per questo credo che l’appuntamento – 3 dicembre a Roma – del Forum
Nazionale Per cambiare l’ordine delle cose lanciato da Amnesty Italia,
MSF Italia, Banca Etica, Naga, Medu, ZaLab e JoleFilm sia l’occasione giusta al
momento giusto. Mi auguro
che in molti vi partecipino e che possa segnare l’inizio di una nuova fase
nella lotta contro le ingiustizie che le politiche migratorie europee hanno fin
qui prodotto. Dobbiamo avere il coraggio di ribaltare le prospettive di analisi
e suggerire nuove direzioni di pratica sociale e di proposta politica: se il
problema è l’immigrazione illegale, dobbiamo capire come renderla legale e
sottrarla dal controllo delle organizzazioni criminali e dalle violenze delle
operazioni repressive, se il problema è la crescita della discriminazione e
dell’odio dobbiamo capire come costruire non “assistenza ai profughi”, ma nuovo
tessuto sociale inclusivo tra migranti e residenti. E fare questo non è affatto
semplice. Ma bisogna provaci ora, subito e insieme.
Una sintesi
di tutto ciò l’ho trovata in un bell’articolo di Marco Carsetti uscito nel
numero di Novembre della rivista “Gli Asini”:
“Individuiamo degli obiettivi comuni e perseguiamoli non solo con campagne di
crowdfunding ma con azioni politiche, smettiamola di essere percepiti come
lobby dei diseredati. Non chiediamo ai nuovi imprenditori del sociale il
pedigree di tecnico dell’accoglienza, ma battaglie sociali e culturali da fare
insieme a quelle persone che individuano nei migranti i loro nemici. […] Due
sono le cose su cui concentrarsi: la corruzione morale prima, ed economica poi,
dell’accoglienza in Italia e le carceri libiche. […] Scegliamo degli obiettivi e pratichiamoli dal basso verso l’alto
senza piedistalli e non come trampolini mediatici per il nostro successo
personale e borghese, senza eroi e senza vittime. Ritroviamo, o
troviamo se non l’abbiamo mai avuti, un pudore e una radicalità nell’azione
come nella vita”.
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