martedì 28 maggio 2024

IMMANUEL KANT VA IN GUERRA - Declan Hayes


Sebbene Kant sia innegabilmente tedesco come il gasdotto Nord Stream, Putin (e chiunque altro, ovunque) ha il diritto di citarlo mattina, mezzogiorno e sera.


Innanzitutto, tanto di cappello a Russia Today (e alla VPN che mi permette di accedervi) per avermi fatto sapere che il cancelliere tedesco Olaf Scholz si è scagliato contro il presidente russo Vladimir Putin, colpevole, secondo lui, di aver citato l’iconico filosofo tedesco Immanuel Kant. Visto che Putin aveva citato il filosofo in occasione di un evento per il 300° anniversario della nascita di Kant, Scholz ha accusato Putin di aver cercato di “appropriarsi” del grande pensatore e di averne travisato le idee.

La storia, a prima vista, è così ridicola che ho dovuto cercare su Google per assicurarmi di non essere stato preso in giro da quel mercuriale camaleonte della NATO chiamato “disinformazione russa”. Comunque, dato che molte fonti occidentali hanno poi verificato la storia, possiamo procedere.

Die Zeit cita Scholz che, all’Accademia delle Scienze di Berlino-Brandeburgo, avrebbe detto: “Putin non ha il minimo diritto di citare Kant, eppure il regime di Putin continua ad impossessarsi di Kant e della sua opera, quasi ad ogni costo“.

Fermiamoci un attimo. Kant era nato nel 1724 a Koenigsberg (l’attuale Kaliningrad), che all’epoca apparteneva al Regno di Prussia, prima di entrare a far parte dell’Impero Russo. Il filosofo, famoso per i suoi lavori sull’etica, l’estetica e l’ontologia filosofica, è giustamente considerato uno dei pilastri della filosofia classica tedesca. Sebbene sia innegabilmente tedesco come il gasdotto Nord Stream, Putin (e chiunque altro, ovunque) ha il diritto di citarlo mattina, mezzogiorno e sera. Anche se Kant è tedesco come Tolstoj (che si considerava un filosofo e non uno scrittore) è russo, la loro genialità appartiene al mondo. Scholz, in altre parole, è libero di citare Tolstoj, quando, naturalmente, avrà imparato a leggere.

Poiché Putin aveva tenuto il suo discorso nel famoso luogo di nascita di Kant, era ovviamente del tutto appropriato che Putin citasse il grande filosofo e Scholz, se non fosse un ignorante, avrebbe dovuto sfruttarlo a suo vantaggio, invece di apparire come l’ovvio babbuino che è.

Si dà il caso che Putin abbia trascorso gran parte della sua vita lavorativa in Germania e che parli la lingua di Kant, Schiller e Goethe almeno con la stessa scioltezza di Scholz. Non solo, ma Putin ha elogiato e citato Kant per decenni ed è persino arrivato a dire che il filosofo dovrebbe diventare un simbolo ufficiale della regione di Kaliningrad. La Germania e i tedeschi come Kant hanno sempre avuto un effetto profondo e spesso benevolo sulla Russia fin da prima che Vasili III, Gran Principe di Mosca, fondasse il Quartiere Tedesco di Mosca nel XV secolo. Caterina la Grande, che in realtà era nata in Prussia, e il tedesco Putin, ammiratore di Kant, hanno portato avanti questi legami in tempi più moderni.

E, anche se Caterina la Grande, purtroppo, non è più tra noi, Putin lo è, e le sue osservazioni sul fatto che Kant sia “uno dei più grandi pensatori del suo tempo e del nostro” non solo sono degne di rispetto, ma sono anche considerazioni che leader tedeschi più colti di Scholz avrebbero sfruttato a loro vantaggio.

Scholz, che si considera una specie di filosofo da bar, non ne vuole sapere. Ritiene che il ruolo della Russia nelle aree russofone dell’Ucraina contraddica gli insegnamenti fondamentali di Kant sull’interferenza degli Stati negli affari di altre nazioni e difende la decisione di Kiev di non impegnarsi in colloqui di pace con Mosca, a meno che non siano alle condizioni di una resa incondizionata della Russia nei confronti della NATO. Scholz, senza alcun senso dell’ironia o dell’autocoscienza riguardo agli abortiti accordi di Minsk, ha detto che Kant credeva che i trattati imposti con la forza non fossero il modo per raggiungere la “pace perpetua” – un riferimento diretto a Per la pace perpetua, una delle opere principali e più influenti di Kant.

Ma Kant era un filosofo, non uno statista, e aveva scritto quella tesi nel 1795, proprio quando le guerre rivoluzionarie francesi e un certo Napoleone Bonaparte iniziavano a farsi avanti.

Grazie alla Germania, che ha rinnegato gli accordi di Minsk, che è stata complice nell’attentato al Nordstream e che armato fino ai denti il regime nazista di Kiev, altre guerre si stanno ora intensificando e, al momento in cui scriviamo, non è affatto certo che tutti noi usciremo indenni dall’Armageddon, di cui si parla sempre più spesso.

Ma le chiacchiere, come la filosofia, ci portano fino a un certo punto e non oltre. Nel bene o nel male, la Koenigsberg di Kant è ora la Kaliningrad della Russia e, a prescindere da ciò che si pensa, è evidente la saggezza di Stalin nell’aver effettuato attacchi preventivi contro la Finlandia e i bastardi Stati baltici perché, senza quegli attacchi, probabilmente la “più grande generazione tedesca” (di nazisti) avrebbe ottenuto ciò che il perfido Scholz sta cercando di fare ora, mettere in ginocchio la Russia e molto altro.

Scholz può rivendicare Kant come esclusivamente tedesco o, come è consuetudine intorno al Dnieper, rivendicarlo come proprio dell’Ucraina, per quel che importa. Ma ciò che non può e non deve fare è incoraggiare il regime nazista in Estonia ad attaccare i monasteri cristiani ortodossi solo perché non vogliono rompere con il Patriarcato di Mosca. E, se Scholz vuole fare la figura del Kant, dovrebbe rinfrescarsi la memoria su ciò che sia Kant che Mendelssohn avevano da dire sul tipo di oppressione religiosa che vediamo praticare dagli Stati estoni, ucraini e simili nei confronti dei Cristiani ortodossi.

Ma veniamo al dunque. Scholz e gli americani a cui deve rispondere non hanno alcun interesse per Kant, Mendelssohn o qualsiasi altro filosofo tedesco o di altro genere degno di nota. Se Putin si riferisce con favore a Kant, Mendelssohn, Goethe, Schiller o a qualsiasi altro tedesco universalmente ammirato di un tempo, allora dovrebbe essere affrontato su questo piano nello spirito dell’Inno alla gioia di Schiller, che si riflette nella Nona di Beethoven (il tedesco) e, in modo appropriato forse per quanto riguarda Scholz, negli inni razzisti della Rhodesia e dell’Europa, entrambi i quali infangano Schiller, Beethoven e tutte le cose buone della Germania.

Se gli occidentali vogliono citare Pushkin, Dostoevskij, Tolstoj o qualsiasi altro grande russo per prendersela con Putin, beh, allora dovrebbero, come dicono gli americani, darci dentro. Ma l’impegno non sembra più essere il loro forte. Sono finiti i giorni in cui il più grande dei tedeschi (e degli europei), Leibniz, dava risalto  alla corte di Pietro il Grande, ora sono arrivati i pagliacci come Zelensky, che ballano come una Salomè da poco prezzo per eccitare, a pagamento, Scholz e la sua congrega di incolti.

Chiamatemi pure all’antica, ma preferirei che Putin e tutti gli altri leggessero i grandi della Germania, piuttosto che avere dei tedeschi imbarazzanti come Scholz e quell’insopportabile parassita della von der Leyen, che non solo trascinano nel fango quella che era stata una grande nazione, ma la affogano nella loro ignoranza e nella loro miopia.

da qui

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