Sebbene Kant sia innegabilmente tedesco come il gasdotto Nord Stream, Putin (e chiunque altro, ovunque) ha il diritto di citarlo mattina, mezzogiorno e sera.
Innanzitutto, tanto di cappello a Russia Today (e
alla VPN che mi permette di accedervi) per avermi fatto sapere che il
cancelliere tedesco Olaf Scholz si è scagliato contro il presidente russo
Vladimir Putin, colpevole, secondo lui, di aver citato l’iconico filosofo
tedesco Immanuel Kant. Visto che Putin aveva citato il filosofo in occasione di
un evento per il 300° anniversario della nascita di Kant, Scholz ha accusato
Putin di aver cercato di “appropriarsi” del grande pensatore e di averne
travisato le idee.
La storia, a prima vista, è così ridicola che ho dovuto cercare su Google per assicurarmi di non
essere stato preso in giro da quel mercuriale camaleonte della NATO chiamato
“disinformazione russa”. Comunque, dato che molte fonti occidentali hanno poi
verificato la storia, possiamo procedere.
Die Zeit cita Scholz che, all’Accademia delle Scienze di
Berlino-Brandeburgo, avrebbe detto: “Putin
non ha il minimo diritto di citare Kant, eppure il regime di Putin continua ad
impossessarsi di Kant e della sua opera, quasi ad ogni costo“.
Fermiamoci un attimo. Kant era nato nel 1724 a Koenigsberg
(l’attuale Kaliningrad), che all’epoca apparteneva al Regno di Prussia, prima
di entrare a far parte dell’Impero Russo. Il filosofo, famoso per i suoi lavori
sull’etica, l’estetica e l’ontologia filosofica, è giustamente considerato uno
dei pilastri della filosofia classica tedesca. Sebbene sia innegabilmente
tedesco come il gasdotto Nord Stream, Putin (e chiunque altro, ovunque) ha il
diritto di citarlo mattina, mezzogiorno e sera. Anche se Kant è tedesco come
Tolstoj (che si considerava un filosofo e non uno scrittore) è russo, la loro
genialità appartiene al mondo. Scholz, in altre parole, è libero di citare
Tolstoj, quando, naturalmente, avrà imparato a leggere.
Poiché Putin aveva tenuto il suo discorso nel famoso
luogo di nascita di Kant, era ovviamente del tutto appropriato che Putin
citasse il grande filosofo e Scholz, se non fosse un ignorante, avrebbe dovuto
sfruttarlo a suo vantaggio, invece di apparire come l’ovvio babbuino che è.
Si dà il caso che Putin abbia trascorso gran parte della
sua vita lavorativa in Germania e che parli la lingua di Kant, Schiller e
Goethe almeno con la stessa scioltezza di Scholz. Non solo, ma Putin ha
elogiato e citato Kant per decenni ed è persino arrivato a dire che il filosofo
dovrebbe diventare un simbolo ufficiale della regione di Kaliningrad. La
Germania e i tedeschi come Kant hanno sempre avuto un effetto profondo e spesso
benevolo sulla Russia fin da prima che Vasili III, Gran Principe di Mosca,
fondasse il Quartiere Tedesco di Mosca nel XV secolo. Caterina
la Grande, che in realtà era nata in Prussia, e il tedesco Putin,
ammiratore di Kant, hanno portato avanti questi legami in tempi più moderni.
E, anche se Caterina la Grande, purtroppo, non è più tra
noi, Putin lo è, e le sue osservazioni sul fatto che Kant sia “uno dei più
grandi pensatori del suo tempo e del nostro” non solo sono degne di rispetto,
ma sono anche considerazioni che leader tedeschi più colti di Scholz avrebbero
sfruttato a loro vantaggio.
Scholz, che si considera una specie di filosofo da bar,
non ne vuole sapere. Ritiene che il ruolo della Russia nelle aree russofone
dell’Ucraina contraddica gli insegnamenti fondamentali di Kant
sull’interferenza degli Stati negli affari di altre nazioni e difende la
decisione di Kiev di non impegnarsi in colloqui di pace con Mosca, a meno che
non siano alle condizioni di una resa incondizionata della Russia nei confronti
della NATO. Scholz, senza alcun senso dell’ironia o dell’autocoscienza riguardo
agli abortiti accordi di Minsk, ha detto che Kant credeva che i trattati
imposti con la forza non fossero il modo per raggiungere la “pace perpetua” –
un riferimento diretto a Per la pace
perpetua, una delle opere principali e più influenti di Kant.
Ma Kant era un filosofo, non uno statista, e aveva
scritto quella tesi nel 1795, proprio quando le guerre
rivoluzionarie francesi e un certo Napoleone Bonaparte iniziavano a
farsi avanti.
Grazie alla Germania, che ha rinnegato gli accordi di
Minsk, che è stata complice nell’attentato al Nordstream e che armato fino ai
denti il regime nazista di Kiev, altre guerre si stanno ora intensificando e,
al momento in cui scriviamo, non è affatto certo che tutti noi usciremo indenni
dall’Armageddon, di cui si parla sempre più spesso.
Ma le chiacchiere, come la filosofia, ci portano fino a
un certo punto e non oltre. Nel bene o nel male, la Koenigsberg di Kant è ora
la Kaliningrad della Russia e, a prescindere da ciò che si pensa, è evidente la
saggezza di Stalin nell’aver effettuato attacchi preventivi contro la Finlandia
e i bastardi Stati baltici perché, senza quegli attacchi, probabilmente la “più
grande generazione tedesca” (di nazisti) avrebbe ottenuto ciò che il
perfido Scholz sta cercando di fare ora, mettere in ginocchio la Russia e molto
altro.
Scholz può rivendicare Kant come esclusivamente tedesco
o, come è consuetudine intorno al Dnieper, rivendicarlo come proprio
dell’Ucraina, per quel che importa. Ma ciò che non può e non deve fare è
incoraggiare il regime nazista in Estonia ad attaccare i monasteri cristiani
ortodossi solo perché non vogliono rompere con il Patriarcato di Mosca. E, se
Scholz vuole fare la figura del Kant, dovrebbe rinfrescarsi la memoria su ciò
che sia Kant che Mendelssohn avevano da dire
sul tipo di oppressione religiosa che vediamo praticare dagli Stati estoni,
ucraini e simili nei confronti dei Cristiani ortodossi.
Ma veniamo al dunque. Scholz e gli americani a cui deve
rispondere non hanno alcun interesse per Kant, Mendelssohn o qualsiasi altro filosofo
tedesco o di altro genere degno di nota. Se Putin si riferisce con favore a
Kant, Mendelssohn, Goethe, Schiller o a qualsiasi
altro tedesco universalmente ammirato di un tempo, allora dovrebbe essere
affrontato su questo piano nello spirito dell’Inno
alla gioia di Schiller, che si riflette nella Nona
di Beethoven (il tedesco) e, in modo appropriato forse per quanto
riguarda Scholz, negli inni
razzisti della Rhodesia e dell’Europa, entrambi i quali infangano
Schiller, Beethoven e tutte le cose buone della Germania.
Se gli occidentali vogliono citare Pushkin, Dostoevskij,
Tolstoj o qualsiasi altro grande russo per prendersela con Putin, beh, allora
dovrebbero, come dicono gli americani, darci dentro. Ma l’impegno non sembra
più essere il loro forte. Sono finiti i giorni in cui il più grande dei
tedeschi (e degli europei), Leibniz, dava risalto alla corte di Pietro il Grande, ora sono
arrivati i pagliacci come Zelensky, che ballano come una Salomè da poco prezzo
per eccitare, a pagamento, Scholz e la sua congrega di incolti.
Chiamatemi pure all’antica, ma preferirei che Putin e
tutti gli altri leggessero i grandi della Germania, piuttosto che avere dei
tedeschi imbarazzanti come Scholz e quell’insopportabile parassita della von
der Leyen, che non solo trascinano nel fango quella che era stata una grande
nazione, ma la affogano nella loro ignoranza e nella loro miopia.
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