Seduto sul bordo del fiume, aspetto che passi la famosa contro-egemonia
culturale della destra che viene ogni giorno annunciata con grande dispiego di
mezzi. Per ora è una faccenda di parolette in libertà, la Patria nominata con
il famoso metodo “a cazzo” ad ogni piè sospinto, i “patrioti”, dolorosamente
impossibilitati a chiamarsi “camerati” come piacerebbe a loro, la parola
“Nazione” che sostituisce “Paese”. Ma insomma, tomo tomo, cacchio cacchio, ecco
il nuovo Italiano che avanza, spinto dalle avanguardie culturali (mi scuso)
della destra meloniana. Ha fatto (flebilmente) notizia, l’intenzione del
ministro Valditara, titolare dell’Istruzione e persino del Merito (ehm…) di
voler mettere mano alle linee guida per la scuola elementare e media, insomma,
cambiare un po’ i programmi, ripristinare un po’ di orgoglio nazionale tra i
ragazzini delle elementari perché così, contessa, dove andremo a finire. Si
metterà in piedi un comitato di esperti, e a presiederlo sarà la
professoressa Loredana Perla, che ci sarebbe francamente sconosciuta
(colpa nostra, per carità) se non come co-autrice di un libro scritto a quattro
mani con Ernesto Galli della Loggia, Insegnare l’Italia. Dove si legge, tra le
altre cose, che bisogna insegnare “l’identità italiana”, che sarebbe “Un tema
visto negli ultimi decenni con profonda diffidenza, soprattutto per ragioni
ideologiche”. Urca!
In attesa di un ritrovato nazionalismo didattico e magari, che so, di
qualche lezione sul “suicidio Matteotti”, la gloria dell’Impero e “quando c’era
Lui, caro lei”, si torna sempre lì, alla bizzarra lettura di un passato
immaginario: un’Italia in cui la mefitica e staliniana sinistra ha manipolato
storia e cultura per opprimere e sminuire l’identità della nostra bella patria
e dei nostri bei patrioti.
E del resto, questa visione storica degli italiani fieri di esserlo e
baciati dagli dei ma oppressi dal “comunismo” (eh? ndr), risuona qui e là in
discorsi e dichiarazioni pubbliche, lanciate nell’etere o sui giornali con un
cospicuo sprezzo del ridicolo. Tra le più divertenti, la recente uscita (in
un’intervista) del ministro della cultura Sangiuliano per cui in Italia ci
sarebbe stata, nel dopoguerra, una “dittatura comunista”. Roba da fare un salto
sulla sedia, non tanto per la fesseria storica conclamata, ma per la
dabbenaggine di una tale dittatura. Brutta cosa le dittature comuniste, capaci
di tutto davvero: in Unione Sovietica di mandare Solgenitsin in Siberia, e in
Italia di mandare Sangiuliano alla direzione del Tg2, quando si dice non
azzeccarne una. Ma insomma, poi Sangiuliano ha tentato di metterci una pezza,
ha scritto un pezzo sul Corriere per dire che sì, vabbé, non c’è stata
veramente una dittatura comunista, però Togliatti… però il Komintern… però
Stalin… Insomma, palla in tribuna e ritirata strategica. Tutto da ridere.
Il problema è che per fare revisionismo storico e per creare una
conto-egemonia, ci vorrebbe qualcosa di solido da contrapporre all’egemonia, e
questo qualcosa la destra meloniana al potere non ce l’ha. Chi come me è
affezionato al profilo twitter del ministro della cultura e segue i suoi
consigli “un libro al giorno”, capisce che non basta consigliare l’opera omnia
di Prezzolini o “Il libro nero del comunismo” per costruire una base culturale
alternativa a quella – solidissima – della cultura antifascista italiana del
Novecento. Ci provano lo stesso, certo, rapidi ed invisibili, come i
sommergibili della canzone, ma come diceva De Gaulle “Vaste programme”. Auguri.
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