Nelle ultime settimane
si sono moltiplicati in Tunisia gli arresti arbitrari di persone della società
civile, giornalisti, avvocati: la repressione è la risposta alla forte
opposizione contro le leggi liberticide e i proclami di odio razziale lanciati
del presidente Kais Saied. La deriva sempre più autoritaria e violenta della
Tunisia non è più di tanto un problema per Ue e Italia che considerano quello
di Tunisi uno dei regimi amici con i quali promuovere politiche di
esternalizzazione dei controlli di frontiera. Intanto, ignorate dai media
internazionali, le brutali aggressioni contro i migranti che tentano di
mettersi in mare e le omissione di soccorso fanno crescere il numero delle
vittime. In questo articolo Fulvio Vassallo Paleologo, spiega perché se gli
accordi con l’Ue e l’Italia continueranno ad avere attuazione, senza l’apertura
di canali legali di ingresso e senza l’evacuazione dei potenziali richiedenti
asilo, la Tunisia rischia di trasformarsi in un gigantesco hotspot
mediterraneo. Una situazione sempre più esplosiva che i governi europei cercano
di nascondere
Dopo i fallimenti a catena del governo Meloni sui principali dossier
riguardanti la migrazione e l’asilo, con il rinvio a tempo indeterminato dell’attuazione del Protocollo Italia-Albania, il blocco delle
procedure accelerate in frontiera tuttora all’esame della Cassazione e della Corte di Giustizia UE, il mancato avvio
delle procedure per gli ingressi legali in Italia per lavoro, la implosione dei centri di detenzione (CPR) e delle
procedure di espulsione, per una campagna elettorale ancora basata su discorsi
d’odio e provvedimenti in forma di decreti legge che stravolgono i principi
costituzionali, i risultati vantati nella collaborazione con la Tunisia,
rimangono l’unico punto che trova ancora spazio nella propaganda governativa
diffusa sui principali media. Tutti gli altri argomenti, che potrebbero fare perdere
consensi, vanno nascosti. Si utilizzano così i numeri, che segnalano un forte
calo delle traversate del Mediterraneo centrale, in particolare dalle coste
tunisine, e si nascondono le conseguenze devastanti che la collaborazione con
l’autocrate Saied a Tunisi stanno producendo sulle persone, anche più
vulnerabili, come donne e minori. Resta invece alto il costo in vite umane per i tentativi di fuga via mare, contrastati con
crescente brutalità, se non con atti di abbandono e di omissione di soccorso,
senza alcuna attenzione per la salvaguardia della vita umana e del diritto al
salvataggio e allo sbarco in un porto sicuro.
Neppure il nuovo Patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, che pure ha visto
sconfitta l’Italia sulla richiesta di una modifica delle regole sulla
responsabilità dei paesi di primo ingresso (Regolamento Dublino per l’esame
delle richieste di asilo), ha previsto espressamente missioni di ricerca e
salvataggio in acque internazionali, oltre le attività di contrasto
dell’immigrazione irregolare affidate all’agenzia Frontex in collaborazione con
le forze di polizia dei paesi UE ed extra UE. Anche su questo versante, dopo
gli accordi con le autorità europee e italiane, la Tunisia di Saied ha approvato una nuova legge che mira ad
aumentare le intercettazioni in alto mare, e la
collaborazione (coordinamento) con le forze di polizia marittima dei paesi
europei più vicini, dunque Italia e Malta.
La quotidiana reiterazione di crimini contro l’umanità in conflitti che
sono al centro dell’attenzione mediatica e politica in tutto il mondo, come la pulizia etnica in corso in Palestina, e lo stallo nel
conflitto tra Russia e Ucraina, sulla pelle delle popolazioni civili, spostano
l’attenzione dell’opinione pubblica sul versante orientale e sulle esigenze di
“protezione dei confini esterni” terrestri dell’Unione europea, contribuendo a
creare una diffusa assuefazione nel senso comune della popolazione. In modo da
consentire ai governi impegnati nella campagna per le prossime elezioni europee
di nascondere gli abusi e le violenze perpetrate dai regimi ”amici” nei paesi
africani verso i quali si sono rivolte le politiche di esternalizzazione dei
controlli di frontiera, con una fitta rete di Memorandum d’intesa e di accordi
bilaterali.
Quelle deportazioni verso i paesi di origine
Il caso della Tunisia è emblematico delle conseguenze negative di queste
politiche che il governo Meloni ha promosso e perseguito fin dal suo
insediamento, con una intensa attività diplomatica, culminata, all’interno del cosiddetto Piano Mattei per l’Africa, in una raffica
di accordi di settore, con i quali si sta cercando di saldare il contrasto
dell’immigrazione irregolare (law enforcement), da tradursi nel
blocco dei potenziali richiedenti asilo, con aiuti economici anche per deportazioni a catena verso i paesi di origine, magari sotto
forma di rimpatri volontari, ma anche con progettazioni comuni in campo
energetico e ambientale, in modo da contrastare la crescente presenza russa che
dal Sahel si sta estendendo alla Libia ed alla Tunisia.
Quanto sta succedendo in queste ultime settimane in Tunisia, con gli
arresti arbitrari di attivisti, giornalisti e avvocati, appare direttamente
collegato alla forte opposizione che la società civile tunisina ha esercitato
dopo le leggi liberticide e i proclami di odio razziale lanciati da Saied, al
punto di paventare il rischio di una “sostituzione etnica”, utilizzato contro i
migranti presenti in Tunisia per aizzare il suo elettorato. Intanto, persone in
prevalenza di origine subsahariana, inclusi nuclei familiari ormai residenti da
tempo in quel paese, sono rimasti intrappolati senza uno status legale di
soggiorno, e hanno subito retate di polizia, per effetto degli accordi con
l’Italia e con l’Unione europea (oltre che per la mancata attuazione della
Convenzione di Ginevra sui rifugiati e il mancato rispetto degli obblighi di
ricerca e soccorso in acque internazionali, sanciti a carico delle autorità
italiane e maltesi che rimbalzano sui guardia-coste tunisini e libici le richieste
di aiuto che ricevono).
Rispetto all’Egitto, con il quale pure il governo
Meloni ha concluso nuovi accordi di polizia, mentre Al Sisi continua a dare
copertura agli assassini di Giulio Regeni, malgrado la pratica della tortura
dei detenuti rimanga impunita, in Tunisia, dopo la fase delle cosiddette
primavere arabe si era verificata una forte crescita civile, con un ruolo importante delle donne.
Di fronte all’attacco generalizzato alle comunità dei migranti presenti nel
paese erano scattate molteplici forme di solidarietà, a partire della difesa
legale, con una incisiva partecipazione di organi di informazione che cercavano
di sottrarsi alla narrazione imposta dal regime, ormai diventato una” dittatura
democratica”, con gli arresti dei principali esponenti dell’opposizione e l’esautoramento
del Parlamento. Contro questo risveglio democratico della società
civile tunisina, che si schiera a difesa dei migranti perseguiti dal regime, si
scaglia oggi la polizia e la magistratura dell’autocrate Saied, con il supporto
di Giorgia Meloni e del suo governo.
Nascondere le conseguenze della collaborazione con Tunisi
Malgrado questa situazione nota da tempo, l’Ue l’Italia hanno portato avanti la collaborazione con il governo
di Tunisi, e adesso tentano di nascondere gli effetti perversi che ne sono
derivati, con una crescente pressione su giornalisti e avvocati,
e con una feroce spaccatura tra la popolazione, che in parte manifesta anche a
favore di Saied, preoccupata dell’aumento incontrollato della presenza di
immigrati non regolari che neppure possono passare (o ritornare) in Libia per
la chiusura dei valichi di frontiera, in particolare di Ras Jedir, ormai in mano alle milizie locali
e ai contrabbandieri.
Le continue deportazioni di persone migranti verso i confini desertici con
la Libia e l’Algeria trovano così un parziale consenso anche tra la popolazione tunisina, stremata dalla
crisi economica, mentre si aggravano le forme più diverse di sfruttamento di
migranti in Tunisia che da paese di transito o di origine, sembra diventata un
paese di destinazione e di blocco. Se gli accordi con l’Ue e l’Italia
continueranno ad avere attuazione, senza l’apertura di canali legali di
ingresso e senza l’evacuazione dei potenziali richiedenti asilo, la Tunisia rischia di trasformarsi in un gigantesco Hotspot
mediterraneo. E questo non potrà che aggravare anche la condizione
dei giovani tunisini, che sempre più spesso sono costretti a migrare per la
mancanza di prospettive di vita nel loro paese. Chi oggi in Italia si compiace
per il calo degli “sbarchi”, tra qualche mese potrebbe essere costretto a
rivedere le sue stime.
È questa la realtà della Tunisia che si cela dietro gli arresti di
attivisti, giornalisti e avvocati rispetto ai quali l’Ue
non è andata oltre una timida “preoccupazione”, e che in Italia sono
completamente ignorati dal governo e dai grandi media. Si nasconde persino che
avvocati possano finire sotto tortura per avere difeso i diritti umani della
popolazione migrante, perché di questo si tratta, e non di discredito diffuso
contro agenti governativi, o che altri vengano sottoposti ad arresti arbitrari
per avere espresso sui social una qualsiasi opinione critica verso Saied. Di
certo la Tunisia non si può qualificare come paese terzo sicuro, e neppure come
“paese di origine sicuro” nella diversa accezione che vale per i tunisini
arrivati in Italia, che si cerca di rimpatriare anche se sono richiedenti
protezione internazionale.
L’involuzione autoritaria imposta da Saied è purtroppo sostenuta da alcuni
governi europei, e in particolare dal governo Meloni che, con
numerose visite a Tunisi, ha dato un grande impulso al Memorandum d’intesa
UE-Tunisia. Un “Piano d’azione” ottenuto da Statewatch delinea gli obiettivi e le
attività della cooperazione dell’Ue sulla migrazione con la Tunisia, il cui governo è
stato pesantemente criticato dal Parlamento europeo per “un’inversione
autoritaria e un allarmante arretramento sulla democrazia, i diritti umani e la
democrazia (rule of law).”
A differenza di quanto si sta verificando in quel paese, dove la
magistratura obbedisce alle direttive dell’autocrate Saied, applicando il famigerato decreto n.54/2022 contro la criminalità
informatica, per mettere a tacere difensori dei diritti umani
e oppositori politici, in Italia la magistratura dà ancora segnali di
indipendenza e riconosce come la Tunisia non sia un paese sicuro, né per i
migranti in transito, né per gli stessi cittadini tunisini. Ma anche in Italia
i giudici sono sotto attacco quando decidono in senso difforme dalla linea che
vorrebbe imporre il governo con i suoi decreti legge incostituzionali. Adesso a
Roma la battaglia si potrebbe spostare sul controllo dei vertici della
magistratura e sulla nomina dei nuovi giudici costituzionali. Per questa
ragione quanto sta accadendo in Tunisia riguarda tutti
noi perché dimostra le conseguenze di un totale controllo governativo sugli
organi della giurisdizione, e anche perché, malgrado questa involuzione
autoritaria abbia prodotto un temporaneo calo degli arrivi, presto potrebbe
esserci una inversione di tendenza, se non un aumento esponenziale, per una
vera e propria implosione della democrazia autoritaria riconosciuta con tanti
elogi a Saied da paesi come l’Italia. Paesi che in questo modo, non solo stanno
tradendo la loro tradizione democratica, come in tanti altri campi, ma che con
le loro politiche di esternalizzazione potrebbero determinare una grave
destabilizzazione del Mediterraneo, quando anche in Tunisia, come si è già
verificato in Libia, il governo “amico”, alleato per le politiche di blocco dei
migranti, in cambio di una manciata di aiuti economici, si ritroverà nella
incapacità di governare la crisi interna, e anche regionale, non solo
migratoria, ma su scala più ampia, di portata economica e militare. Dallo
scontro sociale interno innescato da Saied contro i migranti si potrebbe
passare a un conflitto interno. Perché la guerra rimane sempre conseguenza
inevitabile dei regimi che cancellano la democrazia e i diritti umani e per
questa ragione le migrazioni attraverso il Mediterraneo non potranno che
aumentare ancora in futuro, quali che siano le strategie di contrasto che i
paesi di destinazione cercheranno di attuare.
Fonte: Adif
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