“È andato fino in fondo, ha esaurito le sue possibilità di resistere alla
distruzione … si è pienamente realizzato”. Non possono che coinvolgere queste
parole di Emil Cioran su Paul Celan, come lui rumeno, scritte dopo il suicidio
di quest’ultimo a Parigi, il 20 aprile 1970.
Celan, ebreo rumeno, i cui genitori muoiono durante la deportazione
nazista, dalla quale lui stesso si è fortunosamente salvato, ha scelto
di scrivere in tedesco, invece che nella lingua natale. Questa scelta è un
grande gesto di politica culturale – mettendo in forte
risonanza cultura e politica – perché distingue la grandezza creativa di una
lingua, di una cultura, da chi la stravolge irrigidendola nel più atroce
razzismo. Celan ha resistito alla distruzione proprio esprimendosi nella lingua
dei distruttori: ha restituito a quella lingua la sua grandezza, separandola
dal suo uso razziale, affermandone, invece, l’umana universalità. Ha vinto gli
assassini (anche) della lingua. E ha vinto per tutti.
Pensiamo alla densità dei versi di Celan in confronto alla lingua degli
scritti o dei discorsi di Hitler, ai secchi ordini mortali urlati dalle SS nei
lager… Celan scinde la lingua di Hölderlin e di Goethe dall’uso nazista con un
gesto essenziale di salvezza, umana e politica: la lingua tedesca non è razzista
– l’essere umano non è solo odio e violenza.
Colpisce questo paradosso tragico: il poeta esprime nella lingua dei
persecutori una tragedia personale e storica, in quella perfetta fusione dei
due aspetti che è la qualità essenziale del linguaggio poetico – tale proprio
per la capacità di mostrare il nesso costitutivo tra l’”intimo” e lo “storico”.
In questo modo esprime pienamente la dimensione tragica della condizione umana,
ben colta nelle parole di Cioran, che la vita e l’opera del poeta mostrano con
una peculiare intensità. Celan si è realizzato nell’esprimere una tragedia che,
alla fine, lo ha ucciso, ma consegnandoci le parole adeguate per dirla è andato
oltre: ha superato la sua personale tragedia e ha anche comunicato a tutti una
speranza, concreta nella potenza dei suoi versi.
La possibile salvezza della condizione umana risiede nella potenza
comunicativa, cioè nella effettiva manifestazione del carattere relazionale
dell’umano, togliendolo dal suo stravolgimento predatorio diffuso nella
violenza dominante.
Questa potenza comunicativa si è espressa finora nell’arte, nella
letteratura ma anche in innumerevoli forme sociali creative.
Quest’ordine di riflessioni sembra tanto più significativo in un momento
storico nel quale lo Stato d’Israele afferma con violenza genocida che nella
storia c’è posto solamente per persecutori o perseguitati: “There is not
alternative!”. Fare politica in basso, nella società, creando forme
comunitarie, vuole affermare invece che “There is alternative”, che l’essere
umano non è solo odio e violenza, a malapena celato sotto la maschera
dell’economia.
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