Renzi peggio di Berlusconi. Se
quest’ultimo, non più tardi di due mesi dalla straordinaria vittoria
referendaria sull’acqua del giugno 2011, aveva provato a rimettere in campo
l’obbligatorietà della privatizzazione dei servizi pubblici locali (bocciata
l’anno successivo dalla Corte Costituzionale), Renzi con il “pacchetto 12” contenuto
nello “Sblocca Italia”
fa molto di più.
Questa volta non si parla
“solo” di privatizzazione, bensì di obbligo alla quotazione in Borsa: entro un
anno dall’entrata in vigore della legge, gli enti locali che gestiscono il
trasporto pubblico locale o il servizio rifiuti dovranno collocare in Borsa o
direttamente il 60%, oppure una quota ridotta, a patto che privatizzino la
parte eccedente fino alla cessione del 49,9%.
Se non accetteranno il diktat,
entro un anno dovranno mettere a gara la gestione dei servizi; se soccomberanno
otterranno un prolungamento della concessione di ben 22 anni e 6 mesi!
Come già Berlusconi, anche
Renzi si mette la foglia di fico di non nominare l’acqua fra i servizi da
consegnare ai capitali finanziari; ma, a parte il fatto che il referendum non
riguardava solo l’acqua, bensì tutti i servizi pubblici locali, è evidente
l’effetto domino del provvedimento, sia sulle società multiutility che già oggi
gestiscono più servizi (acqua compresa), sia su tutti gli enti locali che
verrebbero inevitabilmente spinti a privatizzare tutto, anche per poter
usufruire delle somme derivanti dalla cessione di quote, che il Governo pensa
bene di sottrarre alle tenaglie del patto di stabilità.
Nel pieno della crisi
sistemica, ecco dunque il cambio di verso dello scattante premier: non più
l’obsoleta privatizzazione dei
servizi pubblici locali, bensì la loro diretta consegna agli interessi dei
grandi capitali finanziari, che da tempo attendono di poter avviare un nuovo
ciclo di accumulazione, attraverso “mercati” redditizi e sicuri (si può vivere
senza beni essenziali?) e gestiti in condizione di monopolio assoluto (per un
solo territorio vi è un solo acquedotto, un solo servizio rifiuti).
Da queste norme, traspare in
tutta evidenza l’idea non tanto dell’eliminazione del “pubblico” –quello è bene
che rimanga, altrimenti chi potrebbe organizzare il controllo sociale
autoritario delle comunità?- bensì della sua trasformazione da erogatore di
servizi e garante di diritti, con un’eminente funzione pubblica e sociale, in
veicolo per l’espansione della sfera d’influenza degli interessi finanziari
sulla società.
Naturalmente, è ancora una
volta la Cassa Depositi e Prestiti ad essere utilizzata per questo enorme
disegno di espropriazione dei beni comuni: come già per la dismissione del
patrimonio pubblico degli enti locali, è già allo studio un apposito fondo per
finanziare anche la privatizzazione dei servizi pubblici locali.
Emerge, oggi più che mai, la
necessità di una nuova, ampia e inclusiva mobilitazione sociale, che deve
assumere la riappropriazione della funzione pubblica e sociale dell’ente locale
come obiettivo di tutti i movimenti in lotta per l’acqua e i beni comuni, e di
una nuova finanza pubblica e sociale, a partire dalla socializzazione di Cassa
Depositi e Prestiti.
E, poiché, il disegno di
espropriazione dei servizi pubblici locali viene portato avanti con il pieno
consenso dell'Anci, espresso a più riprese dal suo Presidente Piero Fassino,
una domanda sorge spontanea: non è il momento per i molti Sindaci che ancora
non hanno abdicato al proprio ruolo di primi garanti della democrazia di
prossimità per le comunità locali, di iniziare a ragionare su un'aggregazione
alternativa degli enti locali, fuori e contro un Anci al servizio dei poteri
forti?
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