uno dei tanti criminali attacchi ai beni comuni, quando ancora non si chiamavano così.
ecco il testo del famoso (almeno in Sardegna) “Editto delle Chiudende”:
Regio Editto Sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di Sardegna. In data del 6 d’ottobre 1820, Torino Il Re Carlo Emanuele, Avolo mio d’immortal memoria, fra le molte sue cure pel rifiorimento della Sardegna, manifestò il pensiero di favorire le chiusure dei terreni; principalissimo mezzo d’assicurare, ed estendere la proprietà, e così promuovere l’agricoltura. Convinti Noi di questa verità, già soggiornanti nell’Isola, Ci siamo applicati ad incoraggiare sì gran miglioramento, e l’anno scorso abbiamo poi creduto bene d’annunziare la legge, che si stava d’ordine nostro preparando. Ora col parere del Nostro Consiglio, di certa Nostra scienza, ed autorità Sovrana, ordiniamo, e stabiliamo in forza di legge quanto segue.
Regio Editto Sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della Corona, e sopra i tabacchi, nel Regno di Sardegna. In data del 6 d’ottobre 1820, Torino Il Re Carlo Emanuele, Avolo mio d’immortal memoria, fra le molte sue cure pel rifiorimento della Sardegna, manifestò il pensiero di favorire le chiusure dei terreni; principalissimo mezzo d’assicurare, ed estendere la proprietà, e così promuovere l’agricoltura. Convinti Noi di questa verità, già soggiornanti nell’Isola, Ci siamo applicati ad incoraggiare sì gran miglioramento, e l’anno scorso abbiamo poi creduto bene d’annunziare la legge, che si stava d’ordine nostro preparando. Ora col parere del Nostro Consiglio, di certa Nostra scienza, ed autorità Sovrana, ordiniamo, e stabiliamo in forza di legge quanto segue.
- Qualunque proprietario potrà liberamente chiudere di siepe, o di muro, o vallar di fossa, qualunque suo terreno non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana, o d’abbeveratoio.
- Quanto ai terreni soggetti a servitù di pascolo comune, il proprietario, volendo far chiusura, o fossa, presenterà la sua domanda al Prefetto, il quale nella sua qualità d’Intendente, sentito, in Consiglio raddoppiato, il voto delle Comunità interessate, procederà secondo le norme, che saranno stabilite.
- Qualunque Comune potrà esercitare sopra i terreni, che gli spettano in proprietà, gli stessi diritti assicurati ad ogni proprietario dall’art. 1 della presente legge.
- Il terreno di proprietà del Comune trovandosi nel caso indicato nell’art.II, la deliberazione dovrà essere presa parimenti in Consiglio raddoppiato, e sottoposta al Prefetto nella sua qualità d’Intendente, per aspettarne le superiori deliberazioni.
- Colle stesse forme potrà il Comune, invece di chiudere i terreni di sua proprietà, deliberare il progetto di ripartirli per uguali porzioni fra Capi di Casa, o di venderli, o di darli a fitto; il tutto con quelle riserve, o condizioni, che saranno determinate a vantaggio degli stessi Comuni, e del Regno.
- Quando fra un anno, dopo la pubblicazione della presente legge, il Comune non abbia deliberato il progetto di chiudere, o ripartire, o vendere, o dare a fitto, il riparto potrà essere chiesto davanti al Prefetto dai Capi di casa, in numero almeno di tre.
- I terreni propri della Corona, e fra questi i derelitti, e gli altri vacanti, potranno essere venduti, o dati a fitto, o ceduti gratuitamente, od altrimenti assegnati in un modo conforme alle massime stabilite pel riparto dei terreni Comunali.
- In qualunque terreno chiuso sarà libera qualunque coltivazione, compresa quella del tabacco.
- Sarà libera in tutto il Regno la vendita delle foglie di tabacco, la manifattura, la vendita e l’uscita del tabacco, mediante il pagamento dei dazi che saranno stabiliti.
Data dal Nostro Castello di Stupinigi, l’anno del Signore mille ottocento venti, e del Regno Nostro il decimonono, addì sei del mese d’ottobre. Vittorio Emanuele
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le cose andarono molto peggio del previsto: L’ex viceré di Sardegna, marchese di Yenne, scrisse due relazioni, la prima il 22 settembre 1832, la seconda il successivo 6 ottobre, che contengono una cronaca sufficientemente istruttiva degli effetti dell’Editto: «È veramente eccessivo l’abuso che fecesi delle chiudende da alcuni proprietari. Siffatto abuso è quasi generale. Si chiusero a muro ed a siepe dei boschi ghiandiferi, si chiusero al piano e ai monti i pascoli migliori per “obbligare i pastori a pagarne un altissimo fitto” e si incorporarono perfino le pubbliche fonti e gli abbeveratoi per meglio dettare ai medesimi la legge». Rincarando la dose, aggiunse che l’Editto «giovò nella sua esecuzione soltanto ai ricchi e potenti». Sempre dalla relazione del viceré si apprende (per aver egli assunto «le più accurate informazioni») che gli incidenti cominciarono a Gavoi, con l’abbattimento di tre chiusi e con «discussioni fra li demolitori e danneggiati»; seguitarono poi alla vicina Mamoiada e poi a Nuoro, Fonni, Bitti ed altri paesi, «portando in tutti codesti luoghi devastamenti, incendi e rovine, e segnatamente in Benetutti, il di cui aspetto mette orrore al passeggiero».
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…Scrive Enea Beccu nel suo libro “Tra cronaca e storia le vicende del patrimonio boschivo della Sardegna”: «Se il fine fu lodevole, non altrettanto lo fu l’applicazione pratica della norma, che ebbe effetti devastanti in molte campagne. Le concessioni di terreno da destinare a coltivazioni specializzate, oliveti, vigne, cereali, o a pascolo, dovevano essere di superficie limitata, e venivano accordate con la clausola che fossero lasciate libere alcune aree di uso comune: la strada per il passaggio del bestiame rude, quella per il passaggio del bestiame domestico e dei carri, il pubblico abbeveratoio e la vicina fonte perenne. In realtà poi le cose andarono diversamente e si verificarono tanti abusi: furono recintate anche superfici considerevoli, con o senza l’autorizzazione prescritta, inglobati abbeveratoi e strade, sottratti all’uso comunitario preziosi pascoli ghiandiferi, e ciò finì per generare molti disordini tra la popolazione rurale povera e già esasperata dalle angherie baronali. I “prinzipales”, i notabili dei singoli villaggi, le persone benestanti “le quali ad altro non pensano che a chiudere terreni per usurparne dalla Comunità e far necessitare l’abbeveraggio del bestiame nei fiumi, con il qual mezzo nell’invernale stagione e nella primavera si fanno pagare a caro prezzo dai pastori il pascolo”, approfittarono dell’Editto per impadronirsi di vaste terre d’uso comune e questo sfociò in disordini, devastazioni ed incendi, molti dei quali riguardarono aree boscate. Queste privatizzazioni incisero sulla disponibilità – se non a prezzi esosi – dei pascoli, ed anche delle ghiande occorrenti per l’allevamento dei maiali domestici e determinarono, in qualche caso, una riduzione di due terzi del loro numero»…
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Melchiorre Murenu scrisse una poesia diventata famosa:
«Tancas serradas a muru
fattas a s’afferra afferra;
chi su chelu fid in terra
l’haiant serradu puru.
Pascoli chiusi con muri
fatti all’arraffa arraffa;
se il cielo fosse stato in terra
avrebbero recintato anche quello.
(Tancas serradas a muru - Melchiorre Murenu)
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