Basta uscire dall’Italia perché amici e colleghi chiedano, apprensivi: «ma
come va con i fascisti al governo?». Solo da noi i solerti servitori
dell’establishment e i soloni decotti si sgolano a dire che: «no, altro che
fascismo, ma quale destra estrema, sono cambiati, moderati, europei, moderni…».
Basterebbe fare un po’ di attenzione alla lingua, per capire come stanno
davvero le cose. Le spiagge piene di «tossici e rifiuti» della ministra
dell’Ambiente (che tiene sul comodino il busto del Duce), l’«umiliazione» come
metodo di studio del ministro dell’Istruzione e del Merito, la mini-naia «al servizio
della patria» del presidente del Senato Ignazio Benito La Russa… Pensieri e
parole di morte: per stile e contenuti, saldamente piantati nell’immaginario e
nel vocabolario del fascismo storico e del post-fascismo. E accanto alla lingua
delle parole c’è quella delle immagini.
A partire, naturalmente, dallo stemma del partito “del” presidente del
Consiglio Meloni. Lo stemma con la fiamma fu ideato direttamente da Giorgio
Almirante, segretario di redazione dell’infame rivista La difesa della
razza, gerarca di Salò e poi fondatore e capo carismatico del Movimento
Sociale Italiano e ideale mentore di Meloni. Alfred Cucco, sottosegretario
della RSI, racconta che una sera «del dicembre 1946 mi venne a trovare […] Mimì
Pellegrini Giampietro, ex ministro delle Finanze della RSI […] a informarmi
circa la sigla che avrebbe assunto il Movimento da tutti noi superstiti
auspicato. […] Vedi, mi disse, la M è l’iniziale per noi più chiara e
significativa, non esprime solo Movimento, ma lo consacra con l’iniziale mussoliniana.
Vi sono poi le due lettere qualificative della RSI: S e I e questo dice molto».
Nello stemma, quella sigla così densa di significati campeggia su un trapezio:
la bara di Mussolini, dalla quale arde appunto la fiamma inestinguibile del
fascismo. Per potersi riprendere il Paese, la bara e il nome sono scesi fuori
campo: ma la fiamma brucia ancora, nello stemma.
Se poi si scende dalle formazioni più ripulite a quelle più francamente
fasciste, il gioco si fa scoperto. È il caso di Casa Pound, che il 26 novembre
scorso ha aperto una nuova sede a Firenze. Il manifesto creato per la fausta
occasione merita una lettura approfondita. Oltre ad annunciare gli autorevoli
ospiti (il presidente di Casa Pound e il fondatore della casa editrice che fu
infine espulsa dal Salone del libro), esso reca un motto decisamente esplicito:
«Riprende la marcia!». Detto nell’anno centenario della Marcia su Roma, e in
quello in cui i camerati tornano a Palazzo Chigi, direi che il messaggio è
chiaro.
Meno ovvio, ma ancora più inquietante, è il messaggio affidato alle
immagini. Si è infatti scelta una fotografia di piazza della Signoria,
sapientemente impaginata. Sullo sfondo, a sinistra, appare il David di
Michelangelo, mentre troneggia in primo piano uno dei due leoni della Loggia
dei Lanzi. Alla stragrande maggioranza del grande pubblico questa scelta non
dirà nulla. Ma bisogna sapere che in occasione della visita a Firenze di Adolf
Hitler, il 9 maggio 1938, le strade della città furono invase da un’enorme
quantità di copie in gesso e cartapesta delle statue più celebri del Quattro e
del Cinquecento fiorentini, alternate a grandi siepi verdi che dovevano coprire
tutto ciò che non era abbastanza solenne. Si cercava di ricreare (nascondendo
palazzi seriori, o scorticando quelli rifatti) una Firenze medioevale che fosse
il più possibile grata al Führer tedesco, e dall’altra parte si volle espandere
su una scala “imperiale” (romanamente fascista) la compassata e contenuta
misura del Rinascimento fiorentino. Nella regina delle strade d’Oltrarno (via
Maggio) una copia del San Giorgio di Donatello troneggiava,
tra le svastiche, su una copia del basamento della Giuditta sempre
di Donatello: un incredibile pastiche, che da una parte voleva
esaltare il padre del Rinascimento, dall’altra rimuovere Giuditta, che aveva il
doppio torto di essere stata una donna che uccise un uomo (sempre più accetto
il contrario, anche nelle attuali patrie dei pretesi nuovi rinascimenti arabi),
e di essere un’ebrea. Ma la chiave dell’allestimento fu la schiera di leoni di
gesso che accolsero Hitler alla Stazione di Santa Maria Novella sotto le
svastiche sventolanti, e che poi lo accompagnarono come un basso continuo
ovunque: essi erano proprio la moltiplicazione del leone della Loggia dei
Lanzi. Così piazza della Signoria, attraverso il suo simbolo più antico e
ferino (il leone), si espandeva a dismisura – perdendo cioè, in ogni senso, la
sua misura – prima di accogliere il dittatore nazista con un’osannante folla
oceanica.
Ora, sarà un caso che Casa Pound si faccia accogliere a Firenze dallo
stesso leone che fu per così dire il logo della visita a Firenze dell’artefice
di Auschwitz? Chi studia le immagini, come chi studia le parole, non crede alle
coincidenze, ma alla migrazione dei significati. L’unica migrazione gradita ai
fascisti del terzo millennio.
L’articolo è comparso
anche su Il Fatto Quotidiano
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