Gentile bibliopatologo,
martedì scorso si è svolto il funerale di un professore liceale
che abitava sopra il mio studio con la moglie. L’indomani, dalle prime ore del
mattino, suocera e vedova hanno cominciato a trascinare lungo le scale
voluminosi sacchi neri portando ai bidoni dei rifiuti giornali, vestiti, dvd e
soprattutto libri che, essendo stati lasciati aperti i sacchetti, si sono
sparpagliati sotto la pioggia di questi giorni. Ho vissuto il gesto della
dispersione dei volumi come qualcosa di profondamente sacrilego oltre che
volgare, come se avessero ucciso una seconda volta il lettore proprietario.
– Cinzia
Gentile bibliopatologo,
ho sempre creduto che sbarazzarsi malamente di un libro, per
esempio gettandolo nella spazzatura, fosse un atto al limite della blasfemia.
Perciò, ho istituito una piccola cerimonia per dare una veste rituale al gesto
dell’abbandono: depongo la mia copia su una spalletta lungo la riva del fiume,
attendendo che una mano pietosa se ne appropri. Aggiungo una breve dedica al
futuro ignoto lettore. Ma, mi domando, di che rito si tratta secondo lei? Di un
rito di passaggio? Un rito propiziatorio? Forse espiatorio? O addirittura un
rito funebre?
– Luca
Cara Cinzia, caro Luca,
le vostre lettere, affiancate, compongono un dittico. Se si trattasse di
quadri, su un pannello vedremmo il celebre Bibliotecario (1562)
dell’Arcimboldo, una figura umana tutta composta di libri di varia foggia e
colore; sull’altro vedremmo invece Lo studioso di Shakespeare (2003)
dell’illustratore londinese Jonathan Wolstenholme, in cui un libro munito di
braccia scrive su un foglio con una penna d’oca mentre nell’altra mano tiene
amleticamente un teschio. Contempleremmo nel primo dipinto il bibliomorfismo
del lettore; nel secondo, l’antropomorfismo del libro.
I libri somigliano agli esseri umani più di tutti gli altri oggetti
inanimati, dice Joseph Conrad, “perché contengono il nostro pensiero, le nostre
ambizioni, le nostre indignazioni, le nostre illusioni, la nostra fedeltà alla
verità e la nostra persistente inclinazione all’errore”; soprattutto, aggiunge,
“ci somigliano nel loro precario rapporto con la vita”. Temono, come noi, la
morte.
Gli uomini, d’altro canto, somigliano ai libri. Lo rivela il magnifico
epitaffio di Benjamin Franklin (che non fu usato, purtroppo):
Il corpo
Di B. Franklin, stampatore
Come la copertina di un vecchio libro
Le cui pagine sono state strappate,
e spogliate delle loro dorature,
giace qui, cibo per i vermi.
Ma l’Opera non andrà perduta
Perché essa, crediamo,
riapparirà ancora una volta
in una nuova e più elegante edizione
corretta e approvata
dall’Autore.
Libri come persone, persone come libri: queste analogie disposte a chiasmo
spiegano molto del tuo senso di sacrilegio, Cinzia, e del tuo senso di
blasfemia, Luca. Non si butta via un cadavere pezzo per pezzo nella spazzatura,
come hanno fatto la vedova e la suocera del professore (perfino il losco
uxoricida della Finestra sul cortile seppelliva
in giardino i resti della moglie): una biblioteca è un organismo vivente, un
doppio cartaceo del suo proprietario allevato e nutrito amorevolmente per una
vita; bisognerebbe quanto meno lasciarlo decomporre con grazia, senza tutta
questa fretta di sbarazzarsene.
Il tuo rito funebre, Luca, è l’identica forma di pietà vista allo specchio,
l’immagine invertita che ci appare quando ci spostiamo sull’altro versante
dell’analogia. Ma è anche un piccolo rito propiziatorio. Chissà che il tuo
libro, lasciato sulla riva del fiume come Mosè nella sua cesta di canne, non
venga raccolto un giorno dalla figlia di un faraone.
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