“Là dove
domina l’elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende
impaziente di inabissarsi. Una teoria dell’isola è segnata da questa certezza.
Un’isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti,
sull’instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave: vi incombe il
naufragio”. (Manlio Sgalambro)
Mi capita
tutte le volte che me ne vado da qui, a valigie non ancora pronte che strugge
d’essere isola forse pure io.
Aveva voglia
Nisticò a classificare i siciliani in siciliani di scoglio e di mare, gli uni
abbarbicati al substrato come una cozza, un dattero, un riccio spinoso,
incuranti della natura claustrofobica dell’appartenenza. Gli altri, con la
valigia in mano, fermi non ci stanno, e appena la prima brezza lo consente,
prendono il largo a vele gonfie. Ma tutti si portano dentro la stessa
insularità, che è condanna del viaggio e nostalgia struggente per il porto di
partenza. Solo che ai primi arriva subito, ci soffrono di più, basta che si
mettano poco fuori l’uscio di casa, si vadano a sbrigare un documento nel
capoluogo. I secondi, al più, con la lacerazione del distacco ci si sono
abituati a convivere. Ma tanto tornano, prima o poi vedi se tornano e non passa
minuto che con la testa non si organizzano per farlo. Mi pare che questo
desiderio di ritorno sia proprio il risultato della paura atavica che l’isola non
la ritrovi più, che qualcuno, mentre ti allontani giusto un attimo, se la possa
portare via. Forse lo tsunami o li turchi, anche se – ed è
evento inconfutabile -, qualunque cosa arriva, dopo un primo attimo di
sgomento, gli si apre la porta di casa e, passati al più cinque minuti, ti
scordi che è arrivata allora allora, e ti pare che sia lì da sempre, ci fai
l’abitudine. Tuttavia, poiché non si sa mai ed a scanso di equivoci, metti in
giro strane voci, che lì ci sono i Lestrigoni, i Lotofagi, forse Circe, che giù
per lì Scilla e Cariddi hanno un brutto carattere, che quei sassi, isole essi
stessi, ce li lanciano Ciclopi a basso tasso di socievolezza, e che le figlie
di Kokalos avvelenano gli ospiti. Di più, se per ragioni di modernità te ne
devi andare per qualche giorno, che ne so, a Poggibonsi, San Giovanni in
Persiceto o a Cormano, saluti parenti e amici, fazzoletto in mano, come se
stessi andando a sfidare i cannibali del Borneo.
Ad ogni buon
conto, mettetela come vi pare, uno che nasce su un’isola sta già viaggiando.
Perché il mare, tutto intorno, fermo non ci sta, e si muove di correnti e
flutti, in definitiva, viaggia conto terzi. Non merita citare chissà chi per
comprendere che il viaggio è una precisa connotazione antropologica, e pure se
ha talune accezioni di ingegneria nautica, non è solo uno spostamento da e per.
Alla fine “basta aprire la finestra e si ha tutto il mare per sé. Gratis.
Quando non si ha niente, avere il mare – il mediterraneo – è molto. Come un
tozzo di pane per chi ha fame”. (Jean Claude Izzo)
Nell’insularità
è connaturata la pigrizia più atavica, quella persino trascendente, che si fa
connotazione definitiva ed archetipo illustrativo di genti. E del resto che ti
agiti a fare se sei proprio dentro il gorgo più gorgo, il tutto che si muove
permanentemente? Fatica sprecata. Per altri quella è ignavia, accidia, in
realtà è saggia contemplazione del mondo che non sta fermo, dunque perché
inseguirlo nell’apoteosi dell’operatività? Il mare vortica così tanto che ti fa
dono ora del primato di paradiso terrestre, ora d’inferno in terra, né fu
creato per compiacere chi vi si trova circondato senza scampo; inutile cercare
di opporvisi. Se serve qualcosa, servissero tre secoli e più, prima o poi
un’onda bislacca te la schiaffa davanti, spiaggiata a pancia rivolta al sole.
Né si tratta d’un fiume che scorre in un unico verso, cosicché sai già cosa
t’arriva a valle se conosci il monte. Il turbinio è pluridirezionale, dipende
dalle stagioni, talora dall’umore nero della burrasca o talaltra
accondiscendente d’un venticello virato a bonaccia. Sfidare quel tutto che si
muove per provare a spostarsi in altra direzione è atto temerario. Ed in tutto
quel bailamme agitato meglio star fermi giacché, prima o poi, da qualche parte
arrivi, e se non arrivi – quella data parte, intendo – presto o tardi, t’arriva
lei. Ma l’isola, quella, da dentro non te la togli nemmeno se ti metti a pizzo
di montagna. Non c’è niente da fare, t’entra in valigia, col sale e tutto il
resto.
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