Si sentiva davvero tanto il bisogno di dotarci del nuovo caccia aereo Tempest, cento milioni di euro cadauno, entro il 2035 come recita il recentissimo accordo, fresco d’inchiostro, tra Londra, Tokyo e Roma e relative aziende armiere. Per quell’anno si sarà raggiunto il punto di non ritorno per la Terra.
Anton Cechov diceva, non so dove, che se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari. Sembra una banalità, ma non lo è affatto. Il grande russo intendeva dire che “se compare una pistola in una scena e poi, nel resto del testo, nessuno la usa, è un elemento inutile che va eliminato”. In un modo poco diverso si attribuisce a Cechov anche la frase seguente: «Se nel primo atto di una pièce teatrale appare un fucile appeso al muro, nell’ultimo atto questo fucile sicuramente sparerà». Un detto che è stato persino definito il principio drammaturgico del “fucile di Cechov”. Qualcuno pensa perfino che il concetto “il fucile di Cechov” abbia reso l’autore più famoso che non Giardino dei ciliegi o Tre Sorelle. La storia ha infatti dimostrato che questo principio non si applica solo alla drammaturgia, (per esempio nell’Ivanov dello stesso Cechov, in cui alla fine, al quarto atto, si sente uno sparo fuori scena, che gli spettatori immaginano mortale) ma anche alla vita di tutti i giorni. La critica – mi insegnano – è in primo luogo confronto di posizioni; allora conviene citare un altro autore dello scaffale preferito, Raymond Chandler, che poco dopo l’inizio di “Addio mia amata” scrive: “Le pistole non concludono mai niente”, dissi. “Sono soltanto un sipario rapido su un secondo atto scadente”. Si potrebbe dire che Chandler avesse letto con interesse Cechov ma fosse anche convinto che i suoi lettori, appassionati di azione, considerassero il commediografo un perditempo.
Ma restiamo a Cechov. Prendendo per buona questa interpretazione cechoviana
della vita e della storia – della pistola e dello sparo – abbiamo letto con
estremo disagio dell’accordo tripartito – Regno Unito, Giappone, Italia – per
mettere in volo un aeroplano da combattimento costruito insieme dalle tre
nazioni (ormai si dice così), che possa presentarsi – e guerreggiare – nel
2035. Per saperne di più può servire il comunicato ufficiale – in italiano e in
inglese, non però in giapponese – del governo italiano, emesso venerdì 9
dicembre per definire il Global Compact Air
Programme, un aereo da combattimento ultra moderno e
invincibile; per citare solo un passo: “Le nostre tre nazioni hanno relazioni
strette e di lunga data, basate sui valori di libertà, democrazia, diritti
umani e Stato di diritto. Stiamo oggi compiendo il passo successivo nel
rafforzamento del nostro partenariato trilaterale. Annunciamo il Global Combat
Air Programme (GCAP), un ambizioso progetto volto allo sviluppo di un aereo da
caccia di nuova generazione entro il 2035”. Nota 1
Il comunicato giapponese, come si è accennato, non ci è pervenuto, mentre
si dispone di quello inglese, che prende le mosse dalla Raf, tutto considerato
un po’ risentita, per la trascurataggine dei governi inglesi, spesso oberati da
frequenti traslochi. “UK (Regno unito) Italia e Giappone uniranno le
forze per sviluppare gli aerei da combattimento del futuro. Sommando le
competenze delle nostre industrie della difesa, con il collegamento
internazionale si realizzerà un salto di qualità nella nostra forza aerea e
nella nostra capacità di difesa. Ci aspettiamo che dal programma consegua
lavoro altamente specializzato in UK e nei paesi alleati per tutto il prossimo
decennio e oltre. …. Il primo ministro visiterà oggi una base inglese della Raf
di Coningsby per lanciare la prima fase fondamentale”. Per buon peso si
aggiunge che il primo ministro Rishi Sunak (con il ministro della difesa Ben
Wallace) incontrerà tecnici e piloti della base di intervento rapido (Quick Reaction Alert Station) “quelli che proteggono i
cieli dell’UK ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana”.
I media, quelli italiani in primis, hanno
sorvolato la notizia, forse incerti sull’atteggiamento da assumere, comunque
convinti dell’assuefazione degli utenti a novità su armi, armati, stragi
(attuali e future). Neppure la popolazione (o il parlamento) del Bel
Paese ha mostrato emozioni.
Solo il Sole 24 Ore (10 dicembre 2022) ha dedicato
subito alla questione un’intera pagina, animata da preoccupazioni e speranze
per il successo delle industrie del ramo-armamenti nelle quotazioni borsistiche
e nei bilanci degli azionisti che evidentemente contano parecchio sulle
commesse inerenti alla preparazione delle armi, sofisticate e costose, per le
prossime guerre. Per vincerle, o, ancora meglio, farne risultare un fruttifero
pareggio con le armi altrui, quelle del nemico del momento, preludio di una
catena di rivincite e di affari continui. Sulla pagina del Sole, sotto il cappello “L’industria della difesa” c’è
un fondo di Celestina Dominelli “Difesa: Italia, Giappone e UK insieme per il
nuovo caccia”. A fianco, l’analisi di Adriana Cerretelli: “Divisioni e rivalità
nella UE che frenano l’eurodifesa”. Poi, ancora, con qualche soddisfazione
campanilistica, un articolo firmato B.R. “Il velivolo concorrente
franco-tedesco ritardato da attriti sul ruolo delle aziende” e infine, da
Tokyo, un breve spunto di Gianluca Di Donfrancesco: “Svolta storica per il
Giappone, da sempre partner degli Stati Uniti”, (tranne che negli anni
quaranta, si potrebbe notare scherzosamente, quando si scambiavano colpi
proibiti da Pearl Harbour fino a Hiroshima e Nagasaki). Siccome gli articoli
corrispondono abbastanza bene ai titoli, non sarà difficile ai lettori
immaginarne i testi, tutt’altro che misteriosi, ricchi di buonumore per gli
affari attesi e di elegante soddisfazione, solo accennata del resto, per le
difficoltà del partito avversario, per l’altro aereo europeo – chissà mai, nel
2035 – nemico.
Forse agli inglesi della Raf sarà venuto in mente un libretto, importante
nella loro storia letteraria, 1984, di uno
scrittore quasi dimenticato del secolo scorso, George Orwell, in cui il
protagonista, Winston Smith, un impiegato del ministero della verità,
ha il compito di correggere la storia del passato, per tener dietro alle nuove
alleanze decise dal Grande Fratello, personificazione del potere assoluto e
inconoscibile; e mentre la nazione cambia alleanze mondiali e confini, il
popolo dei sudditi rimane convinto che le cose non siano cambiate affatto,
prima di dimenticarle del tutto. Nei media nostrani, per tutti i giorni
successivi, si è scritto molto poco, soprattutto se si escludono, nell’insieme,
i giornalisti embedded, catturati cioè
mentalmente o comprati continuamente dall’opportunità di ottenere informazioni
esclusive col frequentare ministeri, caserme, stati maggiori. Un testo godibile
ma meno raggiungibile del Sole e
degli embedded da redazione è invece una fiaba di
Alessandro Ghebreigziabiher. Qui c’è Madre Terra che interroga tre monarchi:
Sunak re del Regno Disunito, Kishida, imperatore dell’Arcipelago del Sole
Morente e Giorgia, regina del Paese dello Stivale. Madre Terra espone i gravi
problemi dell’ambiente in situazione critica e della sopravvivenza umana del
prossimo futuro e poi chiede ai tre cosa intendano fare. Così viene a sapere
che essi, insieme, progettano un aereo da combattimento per il 2035: il
Tempest, di sesta generazione per sostituire il Typhoon molto caro a quelli
della Raf, ma un po’ invecchiato. Nota 2
Un mese fa, è caduto in Sicilia un Eurofighter in volo di esercitazione. Lo
pilotava un giovane aviatore bravo ed esperto. La famiglia vorrebbe
saperne di più, ma si può prevedere che la vicenda in breve passerà sotto
silenzio; il segreto militare… dopo l’Italia di
Guido Crosetto, ministro della difesa, si è però ben presto consolata, ordinando
altri aerei da combattimento di grado superiore – tuttofare si dice per
modestia – alla casa madre americana Lockheed Martin. Una dozzina e mezza al
prezzo di circa 100 milioni di euro per aereo. Si tratta in questo caso di
altri modelli, sempre più costosi e sofisticati. Bisogna fare di più e di più;
anche la caduta dell’Eurofighter è certo triste ma mostra che bisogna
migliorare…
La soluzione Tempest è quella che s’impone, ma è opportuno tralasciarla per
un attimo e ricordare la più che ventennale vicenda dell’F35, in tutti i suoi
travestimenti. La classe F35A costa meno di cento milioni di euro, mentre la
classe B un po’ di più. In tutto disporremmo, tra poco, orgogliosamente, di 90
F35A e di 60 F35B, divisi però tra aviazione, marina e altro. La marina avrebbe
un aereo F35 (senza indicare la lettera di identificazione, per non favorire i
nostri nemici, trafficanti di clandestini compresi). Trattandosi di aerei
invisibili, nessuno che non sia del ramo (o sufficientemente embedded) ne ha mai visto uno volare. Sembra che i
russi – tradizionali nemici della Nato – abbiano un aereo simile, il
Sukhoi Su 57 addirittura più veloce, capace di volare più in alto, più armato,
più invisibile del “nostro” F35, comunque travestito da A,B,C.
Ma torniamo a bomba, se così si può dire. L’alleanza con il Giappone è
stata l’unica vera novità degli ultimi decenni nella storia dell’aviazione
militare dell’Occidente. Il fatto era che l’aeronautica bellica dell’Italia e
degli altri paesi dell’Europa “democratica” – Spagna di Franco compresa – era
sempre stata una questione Nato e dominata dal Pentagono e dalle sue propaggini
aviatorie. Cosa c’entri il Giappone con la Nato (la sigla significa Patto
dell’Atlantico del Nord) non è ancora ben chiaro, se non in un’alleanza preventiva
in funzione anticinese. Con l’Atlantico – del Nord o in generale, senza confini
geografici – l’Italietta stessa c’entra pochino; è come un parente povero
ammesso generosamente alla tombola della befana. Forse per questo La Nazione peninsulare vuol fare bella figura,
mettersi in vista, comprare aerei di tutti i tipi. L’epopea degli F35 ha
costituito un importante gradino di una scala abbastanza lunga che non
proveremo a ricordare in alcuno dei principali pianerottoli, in attesa che sia
Giulio Marcon o qualcun altro esperto a rifare ordine in materia. Nel primo
dopoguerra, o almeno dagli anni sessanta, il Pentagono con le società
industriali collegate, nel novero del mai sconfessato apparato
militare-industriale – Martin Marietta e Raytheon e Lockheed e Boeing e tutte
tra le altre imprese associate al Pentagono – svolsero un’intensa attività di
reclutamento delle industrie extra americane che nei decenni precedenti avevano
animato la guerra mondiale, su entrambi i fronti. La Raf (Royal Air Force, inglese)
cui ci siamo affezionati in decine di film, durante la seconda metà del secolo
scorso, con code filmiche e televisive che arrivano fino ai giorni nostri,
affrontò sportivamente la nuova situazione e non ebbe alcuna protesta
nazionalista da fare; abbracciò il nemico di allora, Ala Littoria (o come si
chiamava) e Luftwaffe comprese, purché il comando restasse inglese. L’unico
problema vero era che i francesi, mossi dal loro senso di superiorità, dalla
loro alterigia, non sempre si adattavano alle decisioni d’Oltre Atlantico e
d’Oltre Manica. Volevano essere loro a comandare, almeno alla pari. Arrivò ben
presto il generale de Gaulle e diede la linea, per la Francia e per la Nato.
Ogni tanto, forse al cambiare di ministero, i francesi dei vari governi, decidevano
che era il momento di cambiare. La loro industria si chiamava Dassault e il
loro aereo era le Rafale, la Raffica. La linea
gaullista-dassaultiana resiste e rende sempre difficile un accordo con gli
Usa.
Il nostro fabbricante, visto che noi ormai facevamo
il tifo per la Raf (e per i Messerschmitt, quelli che bombardavano Londra e
Coventry nei “giorni più bui”) era Aeritalia, nata dalla
Fiat, che poi ha cambiato nome in Finmeccanica e poi, più di recente, in
Leonardo. Il nostro campione volante è invece Typhoon, cioè Uragano. Adesso
sembra possibile dargli un nome nuovo, più mediterraneo: Tempesta.
Tanto Typhoon che Rafale ebbero molte evoluzioni che portarono le gloriose
ali della Nato (sì perché tutto il bailamme era nella Nato, o in linguaggio
tecnico nel Netma – Nato European and Tornado
Management Agency). Entrambi i velivoli crebbero in velocità e
potenza (e numero di esemplari venduti), continuando a raggiungersi e
superarsi, facendo di quando in quando guerra e incursioni – d’accordo o
separati – nei mondi dei cattivi. Oppure riarmando i buoni (e anche i così
così). L’anno fatale fu l’89 con la caduta del Muro. Insieme al Muro di Berlino
cadde anche la guerra fredda. I parlamenti democratici (o i sistemi di potere
diversi, quali che fossero) nei vari paesi compresero che senza guerra fredda
non c’era più un nemico da spaventare e tenere lontano. La necessità di nuovi,
sempre nuovi aerei da combattimento era finita. Le
Nazioni del Typhoon e anche le altre, tanto le rivali negli
affari che le storiche nemiche, sono state costrette a ridimensionare gli
acquisti e la produzione. Le tabelle presenti nella Nota 3 sono esplicite in materia. Gli italiani
riducono da 165 a 121 i loro acquisti, i tedeschi da 250 a 180, gli inglesi da
250 a 237 (segno che la Raf ha tenuto più delle aeronautiche consorelle).
Pensando male si può congetturare che si siano subito messi alla ricerca di
altri impegni in qualche parte del mondo, salvando anche così la democrazia
nazionale.
Può anche interessare qualche cultore di affari e di lobbies anche l’altra
tabella che mostra l’acquisto di un buon contingente di aerei da combattimento
da parte del Qatar. Un’abile lobbista avrà convinto i qatarini a comprare aerei
da combattimento e i qatarini riconoscenti, avranno mostrato di apprezzare gli
aerei, preparati, come si sa, in quattro diversi stabilimenti, dislocati in
altrettanti paesi. L’ultima tabella è tranquillizzante: la guerra continua.
Continua sì, ma come è difficile…Nota 3
Si è protratta per anni, senza rallentare, con attenzione preoccupante, la
denuncia delle varie serie di F35 fatta nel corso di una dozzina abbondante di
anni, da parte di Sbilanciamoci! e in particolare di Giulio Marcon, in un largo
schieramento di nemici della guerra. Il punto centrale, oltre il richiamo alla
stupidità generale, il pericolo insito nel programma, era il suo costo smodato.
Un aereo così costava quanto decine o centinaia di asili nido. Era questa
sproporzione, questo cattivo uso delle scarse risorse di fronte alla “critica”
dell’opposizione pacifista. Un altro punto era la “remissività” colpevole nei
confronti della Nato e del suo centro di comando, il Pentagono, con annessi e
connessi, anche italiani, che avevano il risultato di incidere, deformare,
asservire il sistema industriale di paesi alleati, in particolare dell’Italia.
Tutto vero, tutto indistruttibile come un bassorilievo dedicato alla lotta
tra Orazi e Curiazi. Nel frattempo si sono svolte decine di guerre con uso di
aviazione, ad alcune delle quali ha preso parte anche l’aviazione italiana,
quella discendente dall’Ala Littoria, o come si chiamava cento anni fa. Aerei
italiani, diversi dall’F35, hanno bombardato, per esempio, in Serbia, a
Belgrado. Qualcuno, in Italia, conserva ancora una stinta maglietta di allora,
con disegnato un semplice bersaglio: “Sono io, sparate anche me”.
Poche le guerre italiane; molte di più quelle svolte con armi nostre,
vendute da noi, da aviazioni, eserciti, dittatori nostri amici (o nostri
clienti) per colpire, sovrastare, opprimere popolazioni in disaccordo: curdi,
siriani, palestinesi, arabi, e africani e americani del sud, dispersi in ogni
plaga del mondo. F35 o il suo antagonista russo, Sukhoi Su 57, è l’esemplare da
fiera campionaria; poi ci sono compratori e venditori di aerei per tutti i
giorni: per mitragliare e bombardare le persone e le città. Gli affari si
fanno in fiera; si compra e si vende, veri dollari alla mano,
veri pezzi di morte, di conquista, di disastri ambientali. Per questo il nuovo
aereo in progettazione tra Regno Disunito, Paese dello stivale e Arcipelago del
sol morente, (come li chiama Ghebreiziabiher) che sarà pronto tra dieci anni e
più sparerà (vedrete!) anche droni modernissimi. Occorre prenotarsi, nel
vendere e nel comprare, non farsi battere – mai! – dalla concorrenza.
Non vogliamo prevedere che ci saranno scontri tra Tempest del futuro e Rafale nuovissima, ma temiamo fortemente che i due
magnifici aviogetti delle due formazioni contrapposte, preparati a puntino da
migliaia di esperti, progettisti, operai, manovali, camionisti dei due
schieramenti saranno venduti a clienti danarosi e potenti, i quali per loro
giustissimi, insindacabili motivi si faranno la guerra, causando lutti e
disperazione. Gli aeroplani voleranno, l’industria farà profitti. Aumenteranno
i migranti per fatto di guerra e una città dopo l’altra sarà rasa al suolo. La
guerra dell’Ucraina sarà solo il primo tempo; il fucile di Cechov continuerà a
sparare nel millennio. Il sipario non calerà.
Nota 1
Come Capi di Governo di Italia, Giappone e Regno Unito, siamo impegnati a
sostenere l’ordine internazionale libero e aperto basato sulle regole, più
importante che mai in un momento in cui questi principi vengono contestati e in
cui crescono minacce ed aggressioni. Poiché la difesa della nostra democrazia,
della nostra economia, della nostra sicurezza e della stabilità regionale
riveste una sempre maggiore importanza, abbiamo bisogno di forti partenariati
di difesa e di sicurezza, sostenuti e rafforzati da una capacità di deterrenza
credibile.
Le nostre tre nazioni hanno relazioni strette e di lunga data, basate sui
valori di libertà, democrazia, diritti umani e Stato di diritto. Stiamo oggi
compiendo il passo successivo nel rafforzamento del nostro partenariato
trilaterale. Annunciamo il Global Combat Air Programme (GCAP), un ambizioso
progetto volto allo sviluppo di un aereo da caccia di nuova generazione entro
il 2035.
Attraverso il GCAP, svilupperemo ulteriormente i nostri rapporti di lunga
data in materia di difesa. Il GCAP accelererà le nostre capacità militari
avanzate e il nostro vantaggio tecnologico. Approfondirà la nostra cooperazione
nel campo della difesa, la collaborazione scientifica e tecnologica, le catene
di fornitura integrate e rafforzerà ulteriormente la nostra base industriale
della difesa.
Questo programma produrrà benefici economici e industriali ad ampio raggio,
sostenendo l’occupazione in Italia, in Giappone e nel Regno Unito. Attirerà
investimenti in ricerca e sviluppo nella progettazione digitale e nei processi
di produzione avanzati. Fornirà opportunità per la prossima generazione di
tecnici ed ingegneri altamente qualificati. Lavorando insieme in uno spirito di
equo partenariato, condividiamo costi e benefici di questo investimento nelle
nostre risorse umane e nelle nostre tecnologie. Il programma sosterrà la
capacità sovrana di tutti e tre i Paesi di progettare, fornire e aggiornare
capacità aeronautiche di difesa all’avanguardia, con uno sguardo rivolto al
futuro.
Questo programma è stato progettato tenendo i nostri Alleati e partner al
centro della nostra attenzione. La futura interoperabilità con gli Stati Uniti,
con la NATO e con i nostri partner in Europa, nell’Indo-Pacifico e a livello
globale si riflette nel nome che abbiamo scelto per il nostro programma. Questo
concetto sarà al centro del suo sviluppo. Condividiamo l’ambizione di rendere
questo velivolo il fulcro di un più ampio sistema di combattimento aereo che
opererà in molteplici ambiti.
La nostra speranza è che il Global Combat Air Programme, e attraverso di esso
il nostro partenariato nello sviluppo delle rispettive capacità, costituirà una
pietra miliare della sicurezza globale, della stabilità e della prosperità nei
decenni a venire.
Nota 2 Storie e Notizie: “Cosa avete in mente per il 2035?” del 9 dicembre 2022
Okay, raccontiamo anche questa come se
fosse una fiaba, ma una di quelle per adulti, perché ho la netta impressione
che i più piccoli la conoscano già, visto che i cosiddetti “grandi” la mettono
in scena quotidianamente.
Allora, com’è d’uopo, c’erano una volta i protagonisti di questa storia, ovvero
tre sovrani: Sunak, re del Regno Disunito, Kishida, imperatore
dell’Arcipelago del Sol Morente, e la Regina Giorgia, monarca del Paese dello Stivale.
Un bel giorno, ovvero il contrario, essendo alquanto preoccupata, la Madre Terra – cioè la mamma di tutti, quindi anche
loro – si recò dai nostri e disse: “Vado subito al punto, perché il tempo
stringe, anche se non ho ancora capito se ve ne siate resi conto o meno. A ogni
modo, siccome non me la sto passando affatto bene e non ho idea di quanto sarò
ancora qui con voi, volevo sapere cosa avevate pensato per il futuro, ecco.”
I tre si guardarono perplessi l’un l’altro, come a dire parla tu, no io no, rispondi tu, eccetera, e allora la Terra si
spazientì: “Non siamo a scuola, eh? Non interrogo e non sono la vostra maestra,
solo vostra madre e in quanto tale mi preoccupo per il domani, cosa che
dovreste fare anche voi in quanto umani. Per esempio, cosa avete in mente per
il 2035?”
I nostri stavolta si guardarono come se a tal proposito avessero una risposta
pronta, ma la Terra incalzò: “Non ho detto una data a caso, eh? Solo cinque
anni prima, ovvero entro il 2030, secondo un autorevole studio il 92% dei paesi che
ospito sperimenterà temperature “estremamente calde”, o
temperature che sarebbero state osservate solo una volta al secolo in epoca
preindustriale, ogni due anni. Sempre entro il 2035 le
emissioni globali di anidride carbonica aumenteranno del 43% se le
principali nazioni rimarranno legate alle politiche energetiche esistenti e non
agiranno per frenare il riscaldamento globale, secondo la US Energy Information
Administration. Quest’ultima, nella sua analisi energetica globale a lungo
termine, prevede che nel 2035 il consumo di energia
aumenterà del 49% tra il 2007 e il 2035. Capite cosa intendo?
Nel 2035 la metà degli ecosistemi delle
barriere coralline in tutto il mondo dovrà affrontare permanentemente condizioni inadatte se il
cambiamento climatico continuerà senza sosta. Ma soprattutto, un’altra
importante ricerca condotta da scienziati britannici e dei Paesi
Bassi afferma che nel 2035 attraverseremo
un punto di non ritorno, dopodiché sarà estremamente
improbabile riuscire a fermare l’aumento della mia temperatura di 2 gradi Celsius, dando il via a un pericoloso miscuglio di disastri globali. Restare sotto i 2 gradi
Celsius è fondamentale per il mio benessere, mi auguro lo sappiate. Una volta
che mi sarò riscaldata di altri 2 gradi, gli scienziati prevedono una
serie di effetti catastrofici, da inondazioni diffuse nelle zone costiere a
ondate di caldo torrido e tempeste estreme.”
La Madre Terra si interruppe, perché aveva il fiatone e si era accaldata, ormai
incapace di sapere se fosse colpa dell’effetto dell’agitazione o quello serra.
“Allora?” domandò di nuovo ai tre. “Cosa avete in mente per il 2035?”
“Un aereo”, rispose Sunak.
“Cosa?”
“Un aereo”, confermò la Regina Giorgia.
“Un aereo?” chiese la Madre di tutti.
“Ma un aereo da combattimento, eh? Sarà pronto proprio entro
il 2035”, chiarì l’Imperatore del Sol Morente.
“Già”, sottolineò il sovrano inglese. “Un jet supersonico di sesta
generazione.”
“Mica robetta”, aggiunse la regina nostrana. “Pensa che si chiama Tempest, cioè Tempesta, e costa circa 25 miliardi di sterline, quasi 30 miliardi di euro.”
“E l’avete pure chiamato Tempesta…”
La Madre Terra per poco non svenne, ma stavolta era certa che non fosse colpa
del riscaldamento globale.
“Sono praticamente spacciata, a meno di un miracolo…” pensò angosciata…….
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