domenica 1 gennaio 2023

Guerra e guerra, il best seller evergreen

 

articoli, disegni, video, musica di Alain Juillet, Igor Karaulov, Pepe Escobar, Ennio Remondino, François Hollande, Giuseppe Callegari, Guido Viale, Gianandrea Gaiani, Roberto Mazzoni, Julian Macfarlane, Giacomo Gabellini, Stefano Orsi, Bruna Bianchi, Enrico Tomaselli, Giuseppe Masala, Enrico Vigna, Manlio Dinucci, Francesco Masala, Andrea Zhok, Gilberto Trombetta, Charles Schulz, Giorgio Gaber, Matthew Ehret, Mike Whitney, Robert G. Rabil

Partita Stati Uniti-Mosca sull’Ucraina già dal 1957. Parola (e documenti) della Cia – Ennio Remondino

La premessa d’obbligo come un mantra contro polemiche e ripetizioni inutili, che ciò che di terribile sta accadendo in Ucraina, l’ha iniziato Putin. Nella altrettanto scontata certezza che non è lui il solo cattivo in un mondo di verginelli buoni.
Ma oggi scopriamo, documenti statunitensi desecretati, e quando Putin, ancora giovanotto, poteva combinare guai solo come agente del KGB sovietico, anno 1957.
All’inizio delle Guerra Fredda e partendo proprio dall’Ucraina spiega Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa. Ad evitare di finire noi tra i veri amici italiani di Putin, ripetiamo che citeremo solo documenti americani.

Ucraina 1957, fronte debole del blocco sovietico

Le operazioni statunitensi per destabilizzare l’Ucraina e allontanarla da Mosca hanno preso il via già nelle fasi iniziali della Guerra Fredda, almeno a livello di pianificazione. Secondo gli analisti americani una rivolta antisovietica avrebbe goduto di ampio sostegno in diverse aree della Repubblica Socialista Sovietica dell’Ucraina e la linea di demarcazione tra ‘pro’ e ‘contro’ «Mosca avrebbe seguito all’incirca lo stesso confine che separa oggi le repubbliche popolari del Donbass di Donetsk e Luhansk e Crimea dal resto dell’Ucraina».

Testuale, da uno studio su «I fattori di resistenza e le aree di operazioni delle forze speciali in Ucraina – 1957”, commissionato dall’US Army al Georgetown University Research Project».

Unione sovietica e trame all’incontrario

«Uno studio che ricorda nei temi e nell’approccio analitico quelli sovietici emersi dopo la caduta dell’URSS e del Patto di Varsavia in cui si valutavano le possibilità di infiltrare incursori e sobillare rivolte negli stati europei membri della NATO», e anche questo andava detto subito.

I segreti declassificati che continuano a fare male

La CIA ha declassificato questo studio nel 2014 (l’anno in cui i fatti del Maidan, la piazza di Kiev, portarono al rovesciamento del governo di Kiev vicino a Mosca), che è stato citato nel dettaglio anche dalla BBC in un articolo del 2017 rintracciabile oggi sul web nella versione in lingua russa mentre la versione in inglese appare rintracciabile solo dopo una ricerca sommaria sul sito Stalkerzone, dichiaratamente filo-Mosca. Rimozione politicamente opportuna, con colpevoli facilmente sospettabili.

Storia di Guerra Fredda

Gli Stati Uniti durante la presidenza di Harry Truman fecero fronte alla Guerra Fredda intraprendendo la politica di “trasformazione” dei nemici sconfitti (Germania e Giappone) in amici e degli alleati nella Seconda Guerra Mondiale (l’URSS) in nemici.

Memoria dall’Operazione Barbarossa

In risposta all’Operazione Barbarossa, l’invasione nazista della Russia sovietica era stato Harry Truman, nel 1941 ancora senatore, a dichiarare che «se vedessimo la Germania vincere dovremmo supportare la Russia, ma se fosse la Russia prossima alla vittoria dovremmo aiutare la Germania e in questo modo lasciare che ne uccidano il maggior numero possibile». (McCullough, David, 15 June 1992. Truman. New York, New York: Simon & Schuster. p. 262. ISBN 978-0-671-45654-2).

La CIA, istituita proprio da Truman presidente nel 1947, divenne il principale strumento delle operazioni clandestine che hanno caratterizzato la politica estera di Washington.

Le 12 parti dell’Ucraina a misura di lealtà sovietica

Lo studio americano del 1957 divideva l’Ucraina in 12 zone, in base alla loto lealtà nei confronti dell’URSS o al sostegno di un’eventuale rivolta contro il governo sovietico tenendo conto che dal 1945 alla metà degli anni ’50 rimasero attive (in Ucraina come nelle Repubbliche Baltiche annesse all’URSS) organizzazioni della resistenza anti-sovietica. Il report riferisce che dopo il 1955 era rimasta in attività solo una sacca di resistenza, nella regione montuosa dei Carpazi…

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Il fascismo che avanza – Francesco Masala

TORINO Piazza XVIII Dicembre pannello illuminato il 21 dicembre 2022 e spento il 29 dicembre 2022

È di questi giorni il divieto di appendere dei manifesti, di Amnesty International – Italia, che ricordano e denunciano l’apartheid di Israele verso i palestinesi.

…l’Azienda Trasporti GTT, proprietaria degli impianti a Torino, non ammette messaggi di “connotazione politica”  e  Mondadori  a MILANO inibisce il caricamento di messaggi con richiamo ad “attività politiche”… (leggi qui).

“La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”, scrive Marx. Da noi tragedia e farsa vanno a braccetto.

L’Italia è cobelligerante in una guerra contro la Russia, ma se qualcuno critica questa decisione incostituzionale viene emarginato e sbeffeggiato, però se qualcuno, con i soldi propri, non con soldi pubblici, critica l’apartheid israeliano non può farlo, in Italia non si parla di politica.


LA PELLE DELL’ORSO – Enrico Tomaselli

Gli imperi, così come ogni altra forma di organizzazione umana, sorgono, vivono e poi decadono. Nella fase di formazione, un impero manifesta una forma di aggressività espansiva, nella fase di declino una forma di aggressività difensiva. Quando un impero comincia a manifestare quest’ultima forma di aggressività, è segno inequivocabile che è iniziato il suo declino. La sola questione aperta è quanto durerà tale fase, e quanto sarà rovinosa.

Giro di boa

Come sempre, la realtà prima o poi si afferma. Comincia a filtrare attraverso le maglie delle narrazioni mistificatorie, si aggruma qui e là, quindi emerge in tutta la sua evidenza. È ciò che sta accadendo, riguardo al conflitto in Ucraina. Giorno dopo giorno, si delineano i pezzi del puzzle, si ricompone il disegno complessivo. In fin dei conti, è davvero stupefacente che ancora nessuno osi dire l’intera verità.
Per quanto l’impero statunitense abbia programmato lo scontro con la Russia da almeno tre lustri, per quanto lo abbia lungamente preparato, alla prova dei fatti la sua strategia si sta dimostrando fallace.
Gli obiettivi di Washington erano almeno tre: impegnare Mosca in una lunga guerra di logoramento, tranciare definitivamente ogni connessione tra Russia ed Europa, ed isolare internazionalmente il paese nemico. Questi tre obiettivi, però, erano e sono subordinati ad una condizione ineludibile, ovvero la capacità di condurre lungamente la guerra senza uscirne sconfitti. E ciò implica il riuscire a logorare la capacità di combattimento della Federazione Russa, ed in misura abbastanza significativa, prima di trovarsi a propria volta logorati dal conflitto. L’evidenza dei fatti dice che questa condizione non si è verificata, né si verificherà, e pertanto il disegno strategico degli USA si fondava su un calcolo sbagliato.

Innanzitutto, i centri di potere che guidano l’impero USA (pur consapevoli del declino imperiale, che è poi la ragione della postura bellicista assunta) non hanno avuto la corretta percezione dei cambiamenti intervenuti nel mondo o, quanto meno, della loro vastità e profondità. Da Washington si continua a parlare di “comunità internazionale” e di “ordine internazionale basato su regole”, senza accorgersi che stanno parlando del solo occidente collettivo, e che il resto del mondo non si riconosce più in questo ordine – anche perché ha ben chiaro che l’occidente, quando gli fa comodo, se ne frega delle sue stesse regole. Il risultato dell’aggressività statunitense, quindi, è stato l’opposto di quello desiderato: invece di spingere i paesi terzi ad allontanarsi dalla Russia, li stanno spingendo a diffidare sempre più degli USA, ed a collaborare tra di loro per proteggersi. Non si tratta solo dei BRICS+ o della Shanghai Cooperation Organization (SCO), ormai subissate di richieste di adesione; c’è un vero e proprio smottamento globale degli equilibri e dei posizionamenti internazionali.
Nonostante le differenze e taluni interessi persino divergenti, Russia e Cina rinsaldano i propri rapporti. Paesi di grandissima importanza strategica, come India ed Arabia Saudita, si allontanano sempre più dal sistema unipolare a stelle e strisce, riposizionandosi in favore del nascente multipolarismo. Un rogue state come l’Iran stringe un’alleanza strategica con Mosca, che dalla collaborazione in Siria assume oggi una dimensione globale. Nell’Africa sub-sahariana numerosi paesi cacciano i francesi e chiamano i russi. Persino all’interno della NATO c’è chi non accetta i diktat di Washington e va per conto suo, con la Turchia (secondo esercito dell’Alleanza) che si ritaglia un ruolo di mediatore, e l’Ungheria che si rifiuta di collaborare.

La liaison tra Europa e Russia si è effettivamente interrotta, forse persino più subitaneamente del previsto, ma è effettivamente ancora lungi dall’essere definitiva. E perché ciò accada è necessario che l’interruzione si prolunghi ancora a lungo, quindi non solo che permangano le condizioni che l’hanno determinata, ma che non emergano rilevanti fattori contrari. Nonostante la massiccia campagna di comunicazione messa in atto dalla propaganda di guerra, e la conseguente militarizzazione dell’informazione, infatti, è notorio che la gran parte delle opinioni pubbliche europee è quanto meno tiepida rispetto a questa politica di chiusura, così come che le stesse leadership dei paesi europei siano attraversate da non poche perplessità. Per tacere poi del fatto che, seppure con grande discrezione, i rapporti est-ovest continuano, per la semplice ragione che interromperli effettivamente, e di colpo, significherebbe il collasso del sistema socio-economico europeo.
Il prezzo (voluto) di questo congelamento dei rapporti con Mosca è innanzitutto una crisi del sistema europeo. Che non è semplicemente la crisi del sistema produttivo, e quindi del livello di benessere, ma ha un impatto assai più profondo. Da un lato sta stressando fortemente le relazioni intra-europee, acuendo la crisi dell’UE, e dall’altro prepara il terreno ad una crescente delegittimazione dei governi, tanto più probabile quanto maggiore ne è stato l’allineamento ai desiderata statunitensi.

Se sul breve termine un’Europa divisa e debole – economicamente e politicamente – può essere utile alla strategia USA, sul medio-lungo periodo rischia di rovesciarsi in un problema. Innanzi tutto perché la divisione può favorire le spinte centrifughe, e poi perché la debolezza ridurrà considerevolmente la capacità europea di condividere i costi della strategia imperiale, sostenendone lo sforzo bellico. Cosa che a Washington già stanno ipotizzando…
Ed è proprio su questo terreno che il disegno sta venendo meno.
La realtà di fatto è che, in capo a dieci mesi di guerra, la Russia occupa stabilmente oltre il 20% del territorio ex-ucraino, ne ha messo in ginocchio l’infrastruttura energetica, ed ha inflitto perdite enormi (1) alle forze armate del paese. Tutto ciò, praticamente da sola, forse con un piccolo aiuto da parte iraniana, e – pare – una piccola fornitura di munizionamento leggero nord-coreana. Di contro, ci sono almeno trenta paesi, NATO e non solo, che dal 26 febbraio 2022 assicurano un flusso costante di soldi, informazioni di intelligence, armamenti e munizioni, e che adesso sono in affanno.

Ed è qui il punto di svolta, la cartina di tornasole che svela l’inconsistenza della strategia yankee. Perché la guerra, si sa, è una faccenda che ha sì vita propria, può sempre comportare eventi imprevedibili capaci di ribaltare le aspettative, ma tutt’altra faccenda è sbagliare clamorosamente i calcoli su cui si è deciso di scatenarla. Ed è ciò che, incredibilmente, hanno fatto gli strateghi statunitensi; come altro definire – se non follia – l’idea di innescare una guerra di lunga durata, senza essere in grado di sostenerla neanche per un anno?
Risulta francamente difficile comprendere su quali valutazioni si basassero, al Pentagono, alla CIA, alla NSA, alla Casa Bianca; una incredibile sopravvalutazione delle capacità dell’Ucraina? Difficile; gli uomini della NATO hanno lavorato con loro per otto anni, a suo tempo dovettero impapocchiare gli accordi di Minsk per dar modo a Kyev di riprendere fiato, e nei mesi precedenti l’avvio dell’Operazione Speciale Militare si sono svolte ben tre grandi esercitazioni militari NATO in Ucraina. Impossibile dunque che non sapessero le reali possibilità di quelle forze armate. Una ancor più straordinaria sottovalutazione delle capacità della Federazione Russa? Se così fosse, saremmo ben oltre la follia, ché suscitare un conflitto potenzialmente capace di portare alla terza guerra mondiale, a partire da un errore di tale portata, è inconcepibile. Né d’altro canto è possibile pensare che non conoscessero neanche sé stessi – gli arsenali della NATO e le capacità produttive dell’industria bellica occidentale.
Insomma, com’è possibile che si siano venduti la pelle dell’orso, senza neanche avere le cartucce per ferirlo?…

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Sempre più armi – Guido Viale

Le macchine sono fatte per essere usate. Nessun imprenditore farebbe un investimento in impianti e attrezzature per poi lasciarle ferme senza produrre ciò a cui erano destinate. Il principale investimento in impianti e attrezzature degli Stati odierni, nel Nord come nel Sud del mondo, è da tempo quello in armi, macchine per uccidere. Le armi diventano obsolete in fretta e vogliono essere usate perché se ne possano produrre e comprare di nuove. Il modo più spiccio per sbarazzarsi delle armi vecchie è la guerra, che è il “prodotto” a cui sono destinate tutti gli investimenti in armi. Questo spiega come mai, gli Stati Uniti, il principale investitore in armi del mondo, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi non siano mai stati fermi e abbiano promosso o partecipato a quasi 200 tra guerre e conflitti armati.

Le macchine in cui le imprese investono i loro capitali hanno progressivamente preso il sopravvento sugli operai addetti al loro funzionamento, che, anche se indispensabili – senza il loro lavoro non c’è pluslavoro, plusvalore, profitto – ne sono sempre di più delle mere appendici.

Le macchine per fare le guerre di oggi non sono semplici apparecchiature, come cannoni, carri armati, blindati, aerei, razzi, navi, ma “sistemi d’arma”: non potrebbero funzionare senza reti dove telematica, sensori, radar, satelliti, radar, control room, ecc. effettuano non solo una rilevazione continua del campo delle operazioni, ma le programmano e le guidano. E queste reti coinvolgono migliaia o milioni di altre apparecchiature, con i relativi addetti macchina.

In queste condizioni i soldati, indipendentemente dal fatto che siano andati in guerra costretti o per scelta (nella migliore delle ipotesi, cioè quando non sono semplice carne da macello mandata allo sbaraglio), non sono che meri addetti macchina; appendici dei “sistemi d’arma” il cui controllo è nelle mani di chi la guerra la conduce, anche da remoto, e che non potrebbero funzionare senza l’assistenza continua di chi le produce e le vende.

Le sorti della guerra – ma anche il suo inizio e la sua conclusione – sono decise dalle macchine, cioè da chi le produce e le controlla, per lo meno fino a che ci sono degli addetti macchina che accettano disciplinatamente il loro ruolo. Se questi scompaiono, perché decimati o perché si ribellano, anche le macchine si fermano. E con esse la guerra. Non stiamo parlando di fucili, granate, mitragliatrici e bazooka e nemmeno delle loro versioni più moderne, bensì di attrezzature il cui consumo dall’andamento esponenziale sta svuotando gli arsenali e mettendo sotto stress persino le capacità produttive della più grande potenza del mondo, a un ritmo che supera le sue stesse previsioni.

Quando le macchine con cui si fa la guerra prendono il controllo dei loro addetti tutta l’attività bellica viene “industrializzata”, così come nel corso degli anni sono state industrializzate l’agricoltura, la medicina, l’informazione, la cultura, lo sport, il divertimento, ecc. La guerra fatta con le macchine e dalle macchine ha una componente nascosta costituita sia dai piani di attacco, sia dai segreti industriali di chi produce le armi che vengono usate, sia dalle regole del loro funzionamento. Ma, come ci è stato spiegato fin dalla Prima Guerra Mondiale, richiede anche una componente pubblica: una “mobilitazione totale” delle popolazioni coinvolte – e non solo di quelle – possibile solo quando esse sono o vengono convinte che alla guerra “non c’è alternativa” (There is not alternative: sappiamo bene chi l’ha detto per prima e perché).

Nella misura in cui la guerra viene fatta con le macchine, la mancanza di alternative si traduce, e non può non tradursi, nella richiesta di sempre più macchine, di sempre più armi. Così, se ieri si trovava la richiesta di più armi nei post-it appesi in cucina con l’elenco di ciò che manca, oggi apprendiamo da un telegiornale, che riporta la notizia con entusiasmo, che nelle loro letterine a Babbo Natale anche i bambini ucraini chiedono una cosa sola: armi. Mancava Babbo Natale. Adesso è arrivato.

Il cerchio si chiude: nemmeno l’ubriacatura bellica che aveva accompagnato l’entrata in guerra dell’Italia nel primo e nel secondo conflitto mondiale era arrivata a tanto.

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