È iniziata da ben prima dell’insediamento dell’attuale governo fascistoide
la delegittimazione istituzionale, se non criminalizzazione, non solo delle Ong
che praticano ricerca e soccorso in mare, ma perfino di chiunque, sia pure
individualmente, compia atti di solidarietà verso persone
profughe.
Ricordo che la campagna contro le Ong fu inaugurata da Frontex, l’Agenzia europea per le
frontiere esterne, che già a dicembre del 2016 accusava le organizzazioni
umanitarie che operano nel Mediterraneo di colludere con i trafficanti di
esseri umani e di costituire per i/le migranti un fattore di attrazione che
li/le invoglierebbe a emigrare.
Essa è proseguita in Italia con campagne diffamatorie, denunce,
processi: una strategia denigratoria legittimata, tra gli altri, da Luigi Di Maio, che, com’è noto, nel
2017, in un post su Facebook, definì “taxi del mare” le navi delle Ong. È
indubbio che tali ignobili esempi dall’alto non facciano poi che incoraggiare e
legittimare intolleranza e razzismo “dal basso” (per così dire).
Dunque c’era da aspettarsi che il governo più di destra della
storia repubblicana desse un contributo rilevante alla guerra contro le Ong
impegnate nel soccorso in mare. Infatti, è ciò che è accaduto con il
decreto-legge del 2 gennaio 2023, “Disposizioni urgenti per la
gestione dei flussi migratori”, detto Meloni-Piantedosi, in realtà firmato
anche dai ministri Nordio, Salvini, Tajani e Crosetto, nonché dal Presidente
della Repubblica Mattarella: un decreto finalizzato apertamente a
ostacolare in ogni modo l’operatività delle navi delle Ong.
Com’è noto, il decreto impone alle navi delle Ong di far
sbarcare immediatamente le persone soccorse e in tal modo
impedisce loro di compiere ulteriori salvataggi o d’intervenire sollecitamente
in caso di altre segnalazioni di pericolo.
Infatti, come i casi più recenti dimostrano, ormai, grazie al
decreto, per lo sbarco non si sceglie «il posto sicuro più vicino» e
raggiungibile nel minor tempo possibile, ma qualche approdo che richiede molti
giorni di navigazione. Inoltre, il comandante della nave è obbligato
ad appurare chi fra le persone naufraghe tratte in salvo abbia intenzione di
chiedere la protezione internazionale: il che significa che la
presentazione della domanda debba essere fatta direttamente sulla nave, così
che l’obbligo di esaminarla spetti allo «Stato di bandiera» dell’unità di
soccorso.
È una procedura più volte rigettata poiché, secondo l’Unione
Europea e il regolamento Dublino III, «quando la nave si trova in acque
internazionali non si possono presentare richieste di asilo perché esse vanno
formalizzate dalle autorità nazionali preposte, alla frontiera e nel territorio
dello Stato inteso in senso stretto comprese le acque territoriali».
Infine, secondo il decreto, se l’Ong impegnata nel soccorso in mare
violasse tali regole infami, i responsabili della nave sarebbero
sottoposti a una multa fino a 50mila euro.
Insomma, la gran parte del decreto Meloni-Piantedosi è in aperto contrasto con il
diritto internazionale e con le Convenzioni a cui l’Italia ha aderito, a
cominciare da quella di Ginevra del 1951 sui diritti dei rifugiati e da quella
europea sui diritti umani.
Come ben sappiamo, il Mediterraneo è ormai divenuto un vasto cimitero
acquatico e il Canale di Sicilia ha guadagnato il sinistro primato di confine
più letale al mondo.
A un tale primato hanno contribuito non solo la guerra contro le Ong, ma
anche la sostituzione della missione Mare Nostrum, destinata al
salvataggio di vite umane, con quella denominata Triton, finalizzata al
controllo e alla protezione delle frontiere.
Oggi siamo al tempo in cui neppure il cadavere di un bambino riverso su una
spiaggia riesce a commuovere e a sollecitare la pietas collettiva,
come invece accadde a settembre del 2015, allorché fu diffusa l’immagine del
piccolo Ālān Kurdî, morto esattamente di tanatopolitica: era figlio
di due esuli curdo-siriani, in fuga dall’Isis e dalla guerra civile, dunque più
che meritevoli di asilo.
Per citare un caso esemplare, ricordo che l’11 ottobre del 2013 annegarono ben
268 profughi/e, dei quali almeno 60 bambini e un gran numero di donne in fuga
da Aleppo e da altre città siriane. Dopo l’affondamento del loro barcone,
mitragliato da una motovedetta libica, i 480 profughi siriani attesero
vanamente per cinque ore, mentre Malta e l’Italia si rimpallavano la
responsabilità dell’intervento per soccorrerli. Un tale reato, sebbene così
grave, poi sarebbe stato prescritto.
Attualmente, con il governo guidato da Meloni, si è compiuto un salto di
qualità foriero di svolte autoritarie, nonché assai pericoloso per la sorte e
per la vita dei profughi e delle profughe, delle persone d’origine immigrata,
ma anche dei rom…
Quanto al contributo delle istituzioni italiane alla strage di persone
profughe e migranti, va rimarcato che uno dei pilastri è costituito dal Memorandum
d’intesa fra la Libia e l’Italia, che in tal modo legittima non solo
le stragi nel Mediterraneo, ma anche gli orrori compiuti dalla cosiddetta
Guardia costiera libica e quelli che si consumano nei “centri di accoglienza
per migranti”, in realtà degli autentici lager.
Potremmo definirla migranticida, l’attuale strategia adottata
dal governo italiano e incoraggiata e/o approvata da talune istituzioni
dell’UE. È una strategia che dà la priorità all’esternalizzazione delle
frontiere, al blocco delle partenze dalla Libia, alla pretesa di sigillare
anche il sud libico stringendo accordi con le peggiori milizie e bande di
trafficanti.
Tale è l’ecatombe nel Mediterraneo e talmente palesi le responsabilità
dell’Unione europea che forse potremmo azzardarci a definirla genocidio,
intendendo quest’ultimo come una forma di eccidio di massa unilaterale, in
ragione dell’appartenenza a una certa collettività o categoria umana; o
perlomeno considerarla al pari di un crimine contro l’umanità.
Inoltre, sappiamo bene e da lungo tempo che il razzismo ha quasi
sempre anche una dimensione istituzionale (Carmichael e Hamilton,
1967). La discriminazione routinaria e la conseguente ineguaglianza
strutturale di taluni gruppi e minoranze non sono solo il frutto di
pregiudizi e comportamenti intolleranti “spontanei” da parte del gruppo
maggioritario, ma sono anche – forse soprattutto – l’esito di leggi,
norme, procedure e pratiche messe in atto da istituzioni.
Va precisato che la tendenza esemplificata da provvedimenti quale
il decreto Meloni-Piantedosi non è una peculiarità italiana. Quasi ovunque in
Europa si legifera in tal senso. In più, l’Unione europea pratica
una sorta di sovra-nazionalismo armato, a difesa delle proprie frontiere. E
questo non solo è causa principale di una strage di profughi/e di proporzioni
mostruose, ma contribuisce anche a legittimare il razzismo “spontaneo”,
a incoraggiare i nazionalismi, quindi a favorire il successo delle destre,
anche estreme, com’è palese nel caso italiano.
Basta dire che solo nei primi dieci mesi del 2022, tra morti e scomparse,
si sono registrate ben 1.800 vittime: un esempio lampante di quella che ho
definito strategia migranticida.
La cifra che ho citato dovrebbe essere integrata con quelle relative ai
decessi per fame, sete, disidratazione, nonché conseguenti a rapine,
aggressioni, sequestri, stupri e torture fino alla morte, inflitti a migranti e
rifugiati/e in paesi quali la Libia. Questo accade abitualmente
soprattutto nei centri di detenzione libici, veri e propri lager, molti dei
quali gestiti dalle milizie, con cui stringe accordi: sono le stesse che
gestiscono il traffico dei profughi. Per non dire delle brutalità,
anche letali, compiute dalle bande che si aggirano nel deserto tra il Niger, il
Mali, il Sudan e la stessa Libia: anche con questi Paesi l’Unione europea e
l’Italia sottoscrivono accordi finalizzati all’esternalizzazione delle proprie
frontiere, con la pretesa di sigillare anche i cinquemila chilometri di Sahara.
Per concludere: specialmente oggi, al tempo del governo Meloni,
occorrerebbe considerare la centralità della lotta contro il razzismo e la
strategia migranticida che ne consegue. E aver chiaro che per sconfiggere la
destra questo è un tema decisivo.
Nessun commento:
Posta un commento