martedì 9 maggio 2023

La Nato e Zelensky stanno riuscendo a finire gli ucraini, e poi?

 


articoli e video di Steve Cutts, bortocal, Raniero La Valle, Domenico Gallo, Mario Agostinelli, Pasquale Pugliese, Carlo Rovelli, Albert Einstein, Lorenzo Ramírez, Thierry Meyssan, Rossella Fidanza, Rete Italiana Pace e Disarmo, Giuseppe Germinario, Max Bonelli, Stefano Orsi, Fulvio Scaglione, Marco Travaglio, Giuliano Marrucci, Francesco Masala, Nicolai Lilin, Chris Hedges, Pepe Escobar, Michele Santoro, Mao Valpiana, Weapon Watch, Davide Malacaria, Demostenes Floros, Aurelien, Michelangelo Cocco, Giuseppe Masala

Follia è fare sempre la stessa cosa e aspettarsi risultati diversi – Albert Einstein

 

 

sono i russi i nuovi ebrei, per gli ucraini e per noi? – bortocal

Non continuate a parlare di questo argomento [il coinvolgimento dei servizi speciali ucraini nella morte di alcuni intellettuali russi]. Tutto ciò che dirò è che abbiamo ucciso i russi e che uccideremo i russi ovunque nel mondo fino alla completa vittoria dell’Ucraina». Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare ucraina

faccio fatica a credere che queste parole siano vere, ma questa non è una invenzione russa, perché trovo le parole virgolettate sulla Stampa, giornale coerentemente filo-ucraino.

sono parole gravissime, che i media riportano senza un sussulto; il sussulto mi auguro di provocarlo io ai miei venti lettori abituali, più o meno.

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già è grave che nella guerra si uccidano civili russi, con azioni terroristiche mirate.

quando era accusato di farlo Putin contro i suoi oppositori, la stampa insorgeva denunciando la barbarie, anche se almeno veniva smentita da lui (poi non sappiamo se la smentita corrispondeva ai fatti).

ora non solo l’azione, ma perfino la pubblica rivendicazione, che è perfino più grave, sono giustificate dal fatto che noi italiani siamo entrati di fatto in guerra contro la Russia?

come tutta l’Unione Europea, del resto, invece di farsi protagonista di azioni decise per una soluzione diplomatica, anche se per somma ipocrisia lasciamo che a morire sia la carne da cannone giovane di ucraini e russi, che muoiono per un’insensata prova di forza.

la nostra stampa e il nostro governo, quindi, si associano silenziosamente, e senza protestare, alla promessa dei servizi segreti ucraini di uccidere russi ovunque nel mondo?

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ma proclamare l’intenzione di uccidere i russi dovunque si trovano, i russi in quanto russi, è qualcosa di diverso dall’odio scatenato da Hitler contro gli ebrei?

eppure perfino Hitler tenne nascosta fin che poté la sua soluzione finale del problema ebraico.

qui abbiamo trasformato in un eroe osannato il capo di un regime, quello ucraino, che ha tradito il suo popolo con la falsa promessa elettorale del 2019 di una pace con la Russia, e che promette lo sterminio di civili innocenti.

e l’attacco degli ultimi mesi alla grande cultura russa, che abbiamo visto svilupparsi anche da noi, come se scrittori ed altri artisti del passato fossero responsabili dei delitti di Putin, fa parte di questo nuovo clima orrendo e malsano.

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e adesso qualcuno dica pure che sono filo-russo, semplicemente perché do voce di protesta della più elementare umanità: a questo siamo ridotti.

non saranno i campi di battaglia del Donbass o il terrorismo promesso dagli ucraini a decidere chi comanderà il declino della civiltà umana nella catastrofe climatica in corso, per quel tanto che si dovrà combattere contro la fame e la povertà.

chi vede soltanto i rapporti di potere in questa situazione tragica e gestisce i problemi con la forza, è già condannato dalla storia, e queste azioni sembrano piuttosto un suicidio annunciato o una manovra di distrazione di massa.

da qui

 

 

PER UN’ALTERNATIVA ALL’IMPERO – Raniero La Valle, Domenico Gallo, Mario Agostinelli

Gli ultimi avvenimenti hanno aperto due visioni del mondo: un dominio universale o una pace nelle differenze. Un appello

La guerra in Ucraina è giunta ormai ad essere una guerra suicida: il Regno Unito combatte contro se stesso e la propria stessa immagine annunciando apertamente l’invio di proiettili anticarro ad uranio impoverito,  l’Ucraina vuole riconquistare il Donbass grazie a queste armi con componenti nucleari capaci di contaminare l’ambiente per migliaia di anni e  di intossicare chi lo inala o chi lo ingerisce: “si sospetta  – spiega il pur simpatizzante Corriere della Sera – che arrivi a modificare il DNA, causando linfomi, leucemie e malformazioni dei feti”, tutto ciò a danno delle stesse popolazioni di cui si rivendica l’appartenenza all’Ucraina; la Russia sfida l’esecrazione universale minacciando per tutta risposta di schierare atomiche tattiche in Bielorussia.

A sua volta, dopo una debole tergiversazione, e con la spinta determinante del presidente Biden, il cancelliere tedesco Sholz ha dato il via libera alla distribuzione di carri armati tedeschi a tutti i fornitori di armamenti a Zelenski che insistentemente li chiede.  In tal modo settant’anni dopo l’”Operazione Barbarossa” vediamo di nuovo i Panzer tedeschi avanzare nella pianura d’Ucraina per sconfiggere la Russia non più sovietica.

Questa  volta però la regia è americana, gli attori ucraini, mentre ogni negoziato è escluso per legge dallo stesso Zelensky.

È difficile ignorare l’impatto emotivo di questa svolta. Si può avere la memoria corta e il cuore indurito, ma nelle viscere della terra corre un sussulto dinanzi al ritorno dei carri tedeschi proiettati a combattere contro i russi nel cuore dell’Europa, quando quell’evento fu al centro della seconda guerra mondiale e ne precedette di poco l’esito con la tragedia della bomba atomica, l’ingresso dell’umanità tutta nell’età del nucleare genocida, l’adozione di un rapporto internazionale postbellico temerariamente fondato sulla “reciproca distruzione assicurata”, fino alle attuali strategie di guerre preventive e di minacciato ricorso all’arma assoluta.

In tal modo va in scena il sempre esorcizzato e incombente conflitto tra la NATO e la Russia in Europa. E dopo? Potrà ancora sussistere l’ONU, quando gli alleati di ieri, diventati i nemici di oggi, dovrebbero stare insieme come Membri Permanenti del Consiglio di Sicurezza per salvaguardare la pace e la sicurezza del mondo, e invece  sono intenti a distruggerle? Non a caso l’Ucraina contesta già oggi la presidenza russa pro-tempore del Consiglio di Sicurezza. E siamo sicuri che questa volta, per non scomparire, la Russia invece di versare nell’olocausto 26 milioni e 600.000 morti, non sarà indotta alla scelta disperata di  difendersi col “primo uso” dell’arma nucleare?

E tutto ciò accade quando il mondo ha distolto lo sguardo dalla vera priorità, che è salvare la Terra dal disastro ecologico, e anzi va allo scontro proprio sul gas, l’energia. I beni vitali e la reciproca deterrenza nucleare.

È chiaro che la priorità è cercare le vie d’uscita dalla crisi in Ucraina. Se ne sarebbe potuto trovare la soluzione, se non fosse stata sacrificata a interessi estranei all’Europa, fino al 24 febbraio 2022, quando l’assalto militare russo ha gettato tutto nella fornace dello scontro armato; e forse all’inizio un negoziato sarebbe stato risolutivo.  E ora ci sono di mezzo centinaia di migliaia di caduti, orfani, vedove, città distrutte, odi implacabili e l’accecamento, nella perdita di ogni verità, della maggior parte dei protagonisti, degli ispiratori, osservatori e narratori del conflitto. Però  non possiamo non dire che giunti a questo livello di rischio, i protagonisti palesi od occulti della guerra la devono immediatamente fermare, anche contro ogni irredentismo territoriale: il negoziato è necessario e possibile, la ragione e il cuore hanno sempre la possibilità di risorgere.

Quale visione del mondo?

Qui però vogliamo interrogarci soprattutto sulle due visioni del  mondo che gli ultimi avvenimenti hanno aperto davanti a noi, e che ci pongono davanti a scelte da cui dipende un lungo futuro, e forse la possibilità stessa di un futuro. Non si tratta infatti di dettagli, ma di un crinale a cui siamo giunti, da cui si potrebbe cadere in un precipizio senza rimedio, quel crinale che il vecchio La Pira, negli anni più paurosi della guerra fredda, chiamava il “crinale apocalittico della storia”, intendendo col termine “apocalittico” non la fine stessa della storia, ma lo svelamento dell’alternativa radicale cui essa era pervenuta mettendo la guerra  come principio e signore di tutte le cose, e nello stesso tempo invitava i sindaci delle città opposte a Firenze.

Qual è la nostra visione del mondo, stando noi su questo crinale?

La  visione del mondo che ci viene proposta con grande insistenza, e che ci viene attribuita come connaturale alla nostra civiltà e alla nostra storia, è la visione del mondo propria dell’Occidente, anzi dell’“Occidente allargato”, che ha oggi il suo centro in America, la sua potenza militare negli Stati Uniti e nella Nato, la vocazione a estendersi fino agli estremi confini della terra.

È in nome dei suoi valori che siamo chiamati alle armi, per “mettere il nostro mondo saldamente sulla strada di un domani  più luminoso e pieno di speranza”, come promette oggi il presidente Biden nell’illustrare la “Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti”.

Di fronte a noi abbiamo però, gravemente inquietanti, due documenti fondativi che propugnano e illustrano questa visione del mondo e la assumono come normativa. Si tratta dei due documenti programmatici in cui, in piena guerra d’Ucraina, il 12 e 27 ottobre 2022, la leadership americana ha enunciato le due strategie fondamentali degli Stati Uniti: il primo è per l’appunto la “National Security Strategy” (october 2022 – The White House Washington) del Presidente Biden (in sigla NSS), il secondo ne è la pianificazione operativa sul piano militare, ed è la “National Defense Strategy of The United States of America 2022” (in sigla NDS) del capo del Pentagono Lloyd Austin, corredata da un dettagliato aggiornamento della “postura” o visione nucleare americana. Questa visione o “postura” ribadisce la decisione di non adottare la politica del “Non Primo Uso” dell’arma nucleare perché essa “comporterebbe un livello di rischio inaccettabile alla luce della gamma di capacità anche non-nucleari degli avversari  che potrebbero infliggere danni di natura strategica agli Stati Uniti e ai loro alleati e partners”. È la conferma di quanto era già stato deciso dopo l’attacco alle Torri gemelle: la vecchia concezione basata sulla deterrenza e sulla risposta a un eventuale attacco altrui, non funziona più. Questa opzione non si può più fare perché non si può lasciare che i nemici colpiscano per primi. La miglior difesa è l’offesa. Quindi è prevista, di fronte a una minaccia, l’azione preventiva; la nuova strategia è di ricorrere se necessario per primi all’arma nucleare. scudo al cui riparo si possono condurre senza rischi per gli Stati Uniti  le guerre convenzionali necessarie. E questa nuova dottrina, adottata ormai anche dalla Russia, fa sì che dietro questo scudo si pensa che si possnoa  combattere tutte le guerre convenzionali,  come si è sempre fatto in tutto il corso della storia.

Due documenti programmatici

Per quanto strettamente americani, questi due documenti, di fatto ignorati in Occidente, riguardano tutti, perchè investono non solo l’una o l’altra regione del globo, ma il destino del mondo come tale. E ciò è dimostrato dal fatto che di questo mondo gli Stati Uniti rivendicano globalmente la leadership, che vi installano le loro basi militari da per tutto, e che intendono disporne  con l’affermazione che “non c’è nulla che vada oltre le nostre capacità: possiamo farcela, per il nostro futuro e per il mondo”; la posta in gioco  sarebbe “di rispondere alle sfide comuni e affrontare le questioni che hanno un impatto diretto sulla vita di miliardi di persone. Se i genitori non possono nutrire i propri figli – specifica Biden –  nient’altro conta. Quando i Paesi sono ripetutamente devastati da disastri climatici, interi futuri vengono spazzati via. E come tutti abbiamo sperimentato, quando le malattie pandemiche proliferano e si diffondono, possono aggravare le disuguaglianze e portare il mondo intero al collasso”. Sarebbe questa la preoccupazione degli Stati Uniti, la  giusta ragione del loro intervento  ma anche il motivo per cui il raggio d’azione entro cui la loro impresa, politica e militare,  si deve esercitare è senza limiti territoriali: “Abbiamo approfondito le nostre alleanze principali in Europa e nell’Indo-Pacifico. La NATO è più forte e unita che mai, stiamo facendo di più per collegare i nostri partner e le nostre strategie nelle varie regioni attraverso iniziative come il nostro partenariato di sicurezza con l’Australia e il Regno Unito (AUKUS). E stiamo forgiando nuovi modi creativi per lavorare in comune con i partner su questioni di interesse condiviso, come con l’Unione Europea, il Quadrilatero Indo-Pacifico, il Quadro economico Indo-Pacifico e il Partenariato per la prosperità economica delle Americhe”; e da lì lo sguardo si spinge fino all’Artico.

Si postula dunque un unico potere che si protende alla totalità del mondo, nella presunzione che questo debba avere un unico ordinamento politico, economico e sociale, corrispondere a un unico modello di convivenza umana; e questo è un presupposto che da tempo gli Stati Uniti avevano posto a base della loro relazione col mondo, da quando, dopo l’11 settembre 2001 e lo shock dell’attacco alle Due Torri, avevano enunciato l’ideologia a cui doveva essere conformato l’assetto del mondo, perché questo corrispondesse agli interessi e alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America. Secondo quella ideologia  il solo  modello valido per ogni nazione sarebbe riassumibile in tre termini: Libertà, Democrazia e Libera Impresa; dunque un modello che mette insieme una definizione antropologica, una indicazione di regime politico ed una forma obbligatoria di organizzazione economico-sociale, e questo composto era dichiarato come normativo per tutti, sulla scia del “progetto”, pubblicato nell’ottobre del 2000,  del “nuovo secolo americano”. Dunque non venivano contemplati tanti possibili regimi politici, economici e sociali, corrispondenti eventualmente a diverse teorie. Ce ne sarebbe uno solo che comporta un modello umano, quello dell’individualismo liberale, un modello politico, quello della democrazia occidentale, ed un modello economico, quello del capitalismo d’impresa.  Altri modelli non sono ammessi e compito degli Stati Uniti sarebbe di diffondere questo modello in tutto il mondo.

Si potrebbe dire, fin qui, che non possiamo fare obiezioni: ognuno può avere la propria visione del mondo e auspicare e operare perché si realizzi.

 

Una chiamata alle armi anche per noi

Il problema è però che gli Stati Uniti vogliono fare tutto questo non per conto loro, ma coinvolgendo “l’impareggiabile rete di alleanze e partnership dell’America”. Questi  partners nello stabilire l’ordine del mondo  sono chiamati in causa 167 volte nei due documenti del presidente Biden e del Pentagono e  attraverso la NATO in questa chiamata alle armi  siamo coinvolti anche noi.

Dunque la cosa ci riguarda; e da partners e alleati, e non da sudditi o “vassalli”, come ha detto Macron, dobbiamo decidere se questa è la visione del mondo che abbiamo anche noi, se questo è il mondo che vogliamo costruire e qual è la nostra idea dello “stato del mondo” in cui ci troviamo ad operare…

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Da Albert Einstein a Carlo Rovelli: la razionalità dei mezzi di pace contro l’irrazionalità degli strumenti di guerra – Pasquale Pugliese

Il fuoco di fila mediatico partito quasi all’unisono, non contro il bellicismo del governo e del suo ministro della “difesa”, ma contro il fisico Carlo Rovelli che lo ha disvelato dal palco romano del Primo Maggio, con l’invito ad occuparsi di scienza anziché di politica, oltre ad essere espressione di cattiva coscienza, disconosce l’impegno storico di intellettuali e scienziati contro la guerra. Ossia per l’affermazione della razionalità, anziché del pensiero magico, anche nel campo della risoluzione dei conflitti.

Lo stesso Carlo Rovelli, nel dicembre del 2021, prima dell’internalizzazione della guerra in Ucraina con l’invasione dell’esercito russo, aveva coordinato la campagna per il Dividendo di pace che ha messo insieme più di cinquanta tra premi Nobel e presidenti di Accademie delle scienze nell’appello inviato al Segretario generale dell’ONU ed ai cinque governi del Consiglio di sicurezza (USA, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna) nel quale si chiede un taglio comune del 2% delle spese militari annue, proponendo che la cifra risparmiata venga dirottata su un fondo globale per la lotta al cambiamento climatico, le pandemie e la povertà estrema. Una richiesta razionale, ignorata dai governi e dai media, mentre l’irrazionale corsa agli armamenti – come ha ricordato Rovelli – viaggia verso la cifra inimmaginabile di due trilioni e mezzo di euro all’anno. Preparando l’inevitabile, di questo passo, terza e definitiva guerra mondiale.

Il tema, del resto, era stato anche posto – su invito non dei sindacati, ma della Società delle Nazioni – da un illustre predecessore di Carlo Rovelli, Albert Einstein che nel 1932 scrisse la celebre lettera a Sigmund Freud ponendo al padre della psicoanalisi la domanda cruciale: “c’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”. Mentre rimando al carteggio tra i due per la risposta di Freud, metto a fuoco qui alcune delle questioni di Einstein che contengono già l’articolazione di possibili risposte, valide anche oggi. Già nel ‘32 Einstein era consapevole che l’evoluzione della tecnica rendeva quella domanda “una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta”. La quale sarebbe stata travolta pochi anni dopo dalla seconda guerra mondiale, che avrebbe lasciato come eredità le armi nucleari, spada di Damocle permanente sull’umanità.

La prima risposta che fornisce Einstein è quella del “pacifismo giuridico”: la costituzione di un’autorità internazionale “col mandato di comporre tutti i conflitti” che sorgano tra gli Stati. E’ la visione kantiana della “pace perpetua” come frutto della federazione degli stati che rinunciano agli eserciti permanenti, che avrebbe dovuto trovare la sua concretezza nelle Nazioni Unite che nel 1945 nascono per “liberare l’umanità dal flagello della guerra”, costruendo la pace con “mezzi pacifici”. Ma, continua Einstein, “la sete di potere della classe dominante è in ogni Stato contraria a qualsiasi limitazione della sovranità nazionale”. E specifica – come ha fatto Carlo Rovelli il primo maggio – “penso soprattutto al piccolo ma deciso gruppo di coloro che attivi in ogni Stato e incuranti di ogni considerazione sociale, vedono nella guerra cioè nella fabbricazione e vendita di armi, soltanto un’occasione per promuovere i loro interessi personali e ampliare la loro autorità”. Del resto dividendo le spese militari globali del 2022 per il numero dei giorni dell’anno, risulta che i governi spendono in armamenti 6,13 miliardi di dollari al giorno, mentre finanziano le Nazioni Unite per un bilancio di 3,4 miliardi di dollari all’anno. Impossibile preparare mezzi di pace con questa abissale sproporzione.

Ma, si chiede ancora Einstein, com’è possibile che questa minoranza che fa affari con le guerre “riesca ad asservire alle proprie cupidigie la massa del popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e perdere?”. Ed anche su questo l’illustre fisico fornisce nella lettera a Freud una risposta che vale anche per noi: “la minoranza di quelli che di volta in volta sono al potere ha in mano prima di tutto la scuola e la stampa, e perlopiù anche le organizzazioni religiose. Ciò consente di organizzare e sviare i sentimenti delle masse rendendoli strumenti della propria politica”. Salvo la chiesa cattolica, che papa Francesco ha posto decisamente dalla parte del pacifismo anziché del bellicismo, per il resto la lettera di Einstein del 1932 spiega anche lo scandalo per l’intervento di Carlo Rovelli nel 2023.

“Abbiamo qui l’occasione migliore”, conclude Einstein, “per scoprire i mezzi e le maniere mediante i quali rendere impossibili i conflitti armati”. Tema sul quale Einstein avrebbe continuato a lavorare per tutta la vita, anche con l’estremo appello scritto insieme a Bertrand Russell nel 1955. Mezzi alternativi alla guerra sui quali lavora, costituzionalmente, attraverso le proprie campagne il movimento per il disarmo e la nonviolenza secondo l’adagio razionale “se vuoi la pace, prepara la pace”. Ma che media e governi, irrazionalmente, continuano ad ignorare.

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L’odio – Francesco Masala (1)

L’odio assoluto degli Stati Uniti d’America verso la Russia nacque nel 1917, quando esplose la Rivoluzione di quel territorio che diventò, per tre quarti di secolo, l’URSS. Fino ad allora la Russia era in vendita, sotto lo zar, l’Alaska, una regione russa, per esempio fu comprata dagli Usa nel 1867.

Dal 1917 l’Urss non fu più in vendita, per il mondo diventò l’alternativa agli stati colonialisti e la speranza per il futuro (il sol dell’avvenire) per molti lavoratori e partiti dell’Occidente capitalistico.

Dopo la seconda guerra mondiale gli Usa definirono l’Urss il NEMICO Assoluto, e fecero di tutto per combatterlo e batterlo (anche internamente, si ricordi la vergogna eterna del Maccartismo).

Il sogno degli Usa divenne realtà nel 1989, nel giro di pochi anni l’Urss di sciolse come neve al sole. Gli Usa, sotto Eltsin, rubarono tutto il possibile dalla Russia, il paese più grande e più ricco di risorse energetiche, minerarie, naturali del mondo. Fu in quegli anni che apparve l’acronimo TINA (there is no alternative), il neoliberismo Usa pensò e provò a convincere il mondo che la storia fosse finita. E che il mondo fosse cosa loro.

In realtà la Russia risorse dalle ceneri di Eltsin e diventò un paese indipendente e forte, da quando il diavolo Putin salì al potere nel 2000. E le risorse energetiche, minerarie, naturali ritornarono sotto il controllo russo.

E la Russia divenne il NEMICO.

L’espansione della Nato verso est fu interpretata dalla Russia come una minaccia esistenziale (così come avevano interpretato gli Usa i missili russi a Cuba). La Russia protestò a più riprese, inascoltata, ma la Nato, come un cancro, continuò ad espandersi con la stessa prepotenza e violenza di un caterpillar israeliano in Palestina.

Intanto l’Europa occidentale, una serie di Territori Occupati dagli Usa (l’azionista di controllo della Nato), dopo la seconda guerra mondiale, provava, o faceva finta, ad essere indipendente, e ad avere una politica economica e sociale diversa da quella dell’Occupante, fino a che non si turbava il dominio degli Usa sul mondo (la Nato, guarda un po’, sta dietro la strategia della tensione in Italia).

La Commissione Europea (era nata l’Unione Europea) viene scelta all’interno di rose di nomi (spesso ignobili, quasi sempre ricattabili, sicuramente servi) forniti dagli Usa, l’Egemone. I governi (o almeno i ministeri chiave) dei paesi europei devono essere approvati dagli Usa, e così succede.

L’Occidente se la passava bene, comprava, a poco prezzo, il petrolio e il gas dalla Russia e la Cina era diventava sempre più la fabbrica del mondo (soprattutto occidentale, ma non solo).

Poi arrivò la rivoluzione colorata ucraina del 2014…

 


Se avessimo più di un martello… Forse non saremmo in questo guaio – Aurelien

Forse avete osservato la politica occidentale nei confronti dell’Ucraina nell’ultimo anno o giù di lì con stupefacente incredulità, e di tanto in tanto vi siete posti domande come: Si accorgono che non funziona, perché continuano così? Perché non accettano l’ovvio? Perché non provano almeno a fare qualcosa di diverso? Non sarete stati i soli. Non sorprende quindi che Internet, alla ricerca di qualsiasi spiegazione, abbondi di teorie cospirative di europei ricattati da Washington o altro. In realtà, quello che stiamo vedendo accade in molte crisi politiche. Io la chiamo la teoria dell’inerzia della politica, e spesso incoraggia gli Stati e le alleanze a continuare a fare cose stupide, perché non riescono a mettersi d’accordo collettivamente su qualcosa di meno stupido.

Si potrebbe pensare che ormai le leadership politiche occidentali abbiano iniziato a nutrire qualche piccolo dubbio sull’utilità della loro politica di confronto con la Russia, soprattutto dopo l’intervento di quest’ultima in Ucraina. Ci sono fattori di complicazione, naturalmente: per la classe dirigente europea, come ho spiegato, questa è una guerra santa contro l’anti-Europa a est. Per molte nazioni più piccole, con poche o nessuna fonte di informazione indipendente e poca influenza, c’è poca alternativa all’assecondare ciò che vogliono gli Stati più grandi. Allo stesso modo, alcuni Stati sono guidati principalmente da uno storico razzismo anti-slavo. (Non pretendo di capire cosa stia succedendo a Washington). Ma si potrebbe comunque pensare che ormai i dubbi si stiano insinuando: dopo tutto, gli europei alla fine hanno interrotto le Crociate quando è diventato chiaro che la Terra Santa non sarebbe mai stata liberata dagli invasori arabi.

Ma, come ho suggerito, questo schema è molto comune nelle crisi internazionali, e tra poco fornirò alcuni esempi passati. La teoria dell’inerzia della politica afferma che le istituzioni e i gruppi politici continueranno sempre a seguire le politiche esistenti, a meno che non venga esercitata una forza contraria sufficiente a farle cambiare. Pensate a una politica come a un oggetto che si muove nello spazio libero. Continuerà il suo percorso fino a quando qualche altra forza non lo colpirà. Maggiore è la velocità e maggiore è la massa, maggiore è la forza che deve essere esercitata. Ciò implica che il contenuto effettivo della politica, che sia sensato, fondato o addirittura praticabile, non è importante. Ciò che conta è l’inerzia accumulata della politica: quanto sostegno ha, da quanto tempo è in vigore e quanto è determinato questo sostegno. Nel caso dell’Ucraina (e non è l’unico) le forze che hanno agito sulla politica hanno di fatto aumentato la sua massa e la sua velocità nella stessa direzione. (Questo ha una relazione con le teorie di Jacques Ellul, di cui ho già parlato in precedenza, che sosteneva che quella che lui chiamava tecnica consiste in processi che pensiamo di sviluppare perché ci sono utili, ma che alla fine finiscono per controllarci).

Perché? Perché la politica è essenzialmente una questione di compromessi e di interessi condivisi. Ogni volta che è coinvolta più di una nazione, è necessario un compromesso di qualche tipo, perché, per definizione, gli obiettivi e le situazioni di due Paesi non possono mai essere identici. Aumentando aritmeticamente il numero dei Paesi, aumentano geometricamente le relazioni tra di essi. Questo significa che qualsiasi politica collettiva è un po’ come un iceberg: si vede la parte pubblica, che è il consenso, spesso faticosamente raggiunto, ma non si vede la massa privata, molto più grande, fatta di riserve, di accomodamenti inopportuni, di sordidi accordi di retroguardia, di eccezioni e trattamenti speciali richiesti, di resistenze nascoste e di molte altre cose. È normale che il consenso sia complesso e fragile, e questo va bene finché tutti vanno nella stessa direzione. Ma cosa succede quando ci si trova nella condizione di dover cambiare qualcosa?

Pensate a un esempio classico: La NATO alla fine della Guerra Fredda. L’intera giustificazione pubblica della NATO era stata la minaccia sovietica, che era appena scomparsa. Era dunque giunto il momento di chiudere i battenti? Beh, come ho già sottolineato in precedenza, la NATO presentava diversi vantaggi, non dichiarati ma importanti, per tutta una serie di Paesi, e di conseguenza c’erano preoccupazioni reali su ciò che sarebbe potuto accadere in Europa occidentale se fosse improvvisamente scomparsa. Ma in ogni caso, la NATO non poteva scomparire all’improvviso, perché i suoi membri avevano firmato, individualmente e in blocco, il Trattato sulle Forze Armate Convenzionali in Europa, che di fatto imponeva alla NATO di amministrarne la metà. Molto bene, quindi, ma che dire del futuro? I problemi fondamentali erano due. Uno era il ritmo isterico degli eventi dell’epoca e la proliferazione dei problemi. Oltre alla fine della Guerra Fredda in sé, alla fine del Patto di Varsavia e alla caduta dell’Unione Sovietica, all’unificazione della Germania e al piccolo problema di cosa fare delle armi nucleari sovietiche al di fuori della nuova Russia, c’erano banalità come la Prima Guerra del Golfo e le sue conseguenze, e (per gli europei) i Trattati di Maastricht sull’Unione Politica e Monetaria, oltre alla solita schiera di problemi transitori che reclamavano l’attenzione dei governi occidentali venticinque ore al giorno. Anche solo liberare un po’ di spazio nelle menti dei governi per iniziare a pensare al futuro della NATO sarebbe stato uno sforzo erculeo…

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Il nemico interno – Chris Hedges

L’industria bellica, uno Stato nello Stato, sventra la nazione, inciampa da un fiasco militare all’altro, ci priva delle libertà civili e ci spinge verso guerre suicide con Russia e Cina

L’America è una stratocrazia, una forma di governo dominata dai militari. È assiomatico che i due partiti al potere si preparino costantemente alla guerra. Gli enormi bilanci della macchina bellica sono sacrosanti. I suoi miliardi di dollari di sprechi e frodi sono ignorati. I suoi fallimenti militari nel Sud-Est asiatico, in Asia centrale e in Medio Oriente sono scomparsi nella vasta caverna dell’amnesia storica. Questa amnesia, che significa che non c’è mai responsabilità, permette alla macchina da guerra di sventrare economicamente il Paese e di spingere l’Impero in un conflitto autolesionista dopo l’altro. I militaristi vincono ogni elezione. Non possono perdere. È impossibile votare contro di loro. Lo Stato di guerra è una Götterdämmerung, come scrive Dwight Macdonald, “il crepuscolo degli Dei senza gli dei”.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale, il governo federale ha speso più della metà dei soldi delle tasse per le operazioni militari passate, presenti e future. È la più grande attività di sostegno del governo. I sistemi militari vengono venduti prima di essere prodotti, con la garanzia che gli enormi sforamenti dei costi saranno coperti. Gli aiuti esteri sono condizionati all’acquisto di armi statunitensi. L’Egitto, che riceve circa 1,3 miliardi di dollari di finanziamenti militari stranieri, deve destinarli all’acquisto e alla manutenzione di sistemi d’arma statunitensi. Israele ha ricevuto 158 miliardi di dollari in assistenza bilaterale dagli Stati Uniti dal 1949, quasi tutti dal 1971 sotto forma di aiuti militari, la maggior parte dei quali destinati all’acquisto di armi dai produttori statunitensi. Il pubblico americano finanzia la ricerca, lo sviluppo e la costruzione di sistemi d’arma e poi acquista questi stessi sistemi d’arma per conto di governi stranieri. È un sistema circolare di welfare aziendale.

Tra l’ottobre 2021 e il settembre 2022, gli Stati Uniti hanno speso 877 miliardi di dollari per le forze armate, più dei 10 Paesi successivi, tra cui Cina, Russia, Germania, Francia e Regno Unito messi insieme. Queste enormi spese militari, insieme ai costi crescenti di un sistema sanitario a scopo di lucro, hanno portato il debito nazionale degli Stati Uniti a oltre 31.000 miliardi di dollari, quasi 5.000 miliardi in più dell’intero Prodotto interno lordo (PIL) degli Stati Uniti. Questo squilibrio non è sostenibile, soprattutto quando il dollaro non sarà più la valuta di riserva mondiale. A gennaio 2023, gli Stati Uniti hanno speso la cifra record di 213 miliardi di dollari per il servizio degli interessi sul debito nazionale.

Il pubblico, bombardato dalla propaganda di guerra, esulta per il proprio autosacrificio. Si rallegra della spregevole bellezza delle nostre prodezze militari. Parla con i luoghi comuni che distruggono il pensiero, vomitati dalla cultura di massa e dai mass media. Si imbeve dell’illusione di onnipotenza e si crogiola nell’autoadulazione.

L’intossicazione della guerra è una piaga. Dà un’emozione che non conosce la logica, la ragione o i fatti. Nessuna nazione ne è immune. L’errore più grave commesso dai socialisti europei alla vigilia della Prima guerra mondiale fu la convinzione che le classi lavoratrici di Francia, Germania, Italia, Impero austro-ungarico, Russia e Gran Bretagna non si sarebbero divise in tribù antagoniste a causa delle dispute tra i governi imperialisti. I socialisti si assicurarono che non avrebbero firmato per il massacro suicida di milioni di lavoratori nelle trincee. Invece, quasi tutti i leader socialisti abbandonarono la loro piattaforma contro la guerra per sostenere l’entrata in guerra della loro nazione. I pochi che non lo fecero, come Rosa Luxemburg, furono mandati in prigione.

Una società dominata dai militaristi distorce le sue istituzioni sociali, culturali, economiche e politiche per servire gli interessi dell’industria bellica. L’essenza dell’esercito è mascherata da sotterfugi: usare le forze armate per svolgere missioni di soccorso umanitario, evacuare i civili in pericolo, come vediamo in Sudan, definire l’aggressione militare come “intervento umanitario” o come un modo per proteggere la democrazia e la libertà, o lodare l’esercito come se svolgesse una funzione civica vitale insegnando leadership, responsabilità, etica e competenze alle giovani reclute. Il vero volto dell’esercito – il massacro industriale – è nascosto.

Il mantra dello Stato militarizzato è la sicurezza nazionale. Se ogni discussione inizia con una domanda sulla sicurezza nazionale, ogni risposta include la forza o la minaccia della forza. La preoccupazione per le minacce interne ed esterne divide il mondo in amici e nemici, in buoni e cattivi. Le società militarizzate sono terreno fertile per i demagoghi. I militaristi, come i demagoghi, vedono le altre nazioni e culture a loro immagine e somiglianza – minacciose e aggressive. Cercano solo il dominio.

Non era nel nostro interesse nazionale fare la guerra per due decenni in Medio Oriente. Non è nel nostro interesse nazionale entrare in guerra con la Russia o la Cina. Ma i militaristi hanno bisogno della guerra come un vampiro ha bisogno di sangue.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, Mikhail Gorbaciov e poi Vladimir Putin hanno fatto pressioni per essere integrati nelle alleanze economiche e militari occidentali. Un’alleanza che includesse la Russia avrebbe annullato le richieste di espansione della NATO – che gli Stati Uniti avevano promesso di non fare oltre i confini di una Germania unificata – e avrebbe reso impossibile convincere i Paesi dell’Europa orientale e centrale a spendere miliardi in hardware militare statunitense. Le richieste di Mosca sono state respinte. La Russia è diventata il nemico, che lo volesse o meno. Niente di tutto questo ci ha reso più sicuri. La decisione di Washington di interferire negli affari interni dell’Ucraina, appoggiando un colpo di Stato nel 2014, ha scatenato una guerra civile e la successiva invasione della Russia.

Ma per coloro che traggono profitto dalla guerra, inimicarsi la Russia, come inimicarsi la Cina, è un buon modello di business. Northrop Grumman e Lockheed Martin hanno visto le loro quotazioni azionarie aumentare rispettivamente del 40% e del 37% a seguito del conflitto in Ucraina.

Una guerra con la Cina, ora un gigante industriale, interromperebbe la catena di approvvigionamento globale con effetti devastanti sull’economia statunitense e mondiale. Apple produce il 90% dei suoi prodotti in Cina. L’anno scorso il commercio degli Stati Uniti con la Cina è stato di 690,6 miliardi di dollari. Nel 2004, la produzione manifatturiera statunitense era più del doppio di quella cinese. Oggi la produzione cinese è quasi il doppio di quella degli Stati Uniti. La Cina produce il maggior numero di navi, acciaio e smartphone al mondo. Domina la produzione globale di prodotti chimici, metalli, attrezzature industriali pesanti ed elettronica. È il maggior esportatore mondiale di minerali di terre rare, ne detiene le maggiori riserve ed è responsabile dell’80% della loro raffinazione a livello mondiale. I minerali di terre rare sono essenziali per la produzione di chip per computer, smartphone, schermi televisivi, apparecchiature mediche, lampadine fluorescenti, automobili, turbine eoliche, bombe intelligenti, jet da combattimento e comunicazioni satellitari.

Una guerra con la Cina provocherebbe una carenza massiccia di una serie di beni e risorse, alcuni vitali per l’industria bellica, paralizzando le imprese statunitensi. L’inflazione e la disoccupazione salirebbero alle stelle. Verrebbe attuato il razionamento. Le borse mondiali, almeno nel breve periodo, verrebbero chiuse. Si scatenerebbe una depressione globale. Se la Marina statunitense fosse in grado di bloccare le spedizioni di petrolio alla Cina e di interrompere le sue rotte marittime, il conflitto potrebbe potenzialmente diventare nucleare.

In “NATO 2030: Unified for a New Era”, l’alleanza militare vede il futuro come una battaglia per l’egemonia con gli Stati rivali, in particolare la Cina. Il documento invita a prepararsi a un conflitto globale prolungato. Nell’ottobre 2022, il generale dell’aeronautica Mike Minihan, capo del Comando della mobilità aerea, ha presentato il suo “Manifesto della mobilità” a una conferenza militare gremita. Durante questa folle diatriba sulla paura, Minihan ha sostenuto che se gli Stati Uniti non intensificano drasticamente i preparativi per una guerra con la Cina, i figli dell’America si troveranno “asserviti a un ordine basato su regole che avvantaggia solo un Paese [la Cina]”.

Secondo il New York Times, il Corpo dei Marines sta addestrando le unità per gli assalti alle spiagge, dove il Pentagono ritiene che possano verificarsi i primi scontri con la Cina, attraverso “la prima catena di isole” che comprende “Okinawa e Taiwan fino alla Malesia, nonché il Mar Cinese Meridionale e le isole contese delle Spratlys e delle Paracels”.

I militaristi sottraggono fondi ai programmi sociali e infrastrutturali. Versano denaro nella ricerca e nello sviluppo di sistemi d’arma e trascurano le tecnologie per le energie rinnovabili. Ponti, strade, reti elettriche e argini crollano. Le scuole decadono. La produzione nazionale diminuisce. La popolazione si impoverisce. Le dure forme di controllo sperimentate e perfezionate dai militaristi all’estero migrano in patria. Polizia militarizzata. Droni militarizzati. Sorveglianza. Vasti complessi carcerari. Sospensione delle libertà civili di base. Censura.

Coloro che, come Julian Assange, sfidano la stratocrazia, ne denunciano i crimini e la follia suicida, sono perseguitati senza pietà. Ma lo Stato di guerra nasconde in sé i semi della propria distruzione. Cannibalizzerà la nazione fino a farla crollare. Prima di allora, si scatenerà come un ciclope accecato, cercando di ripristinare il suo potere decrescente attraverso la violenza indiscriminata. La tragedia non è che lo stato di guerra degli Stati Uniti si autodistruggerà. La tragedia è che porteremo con noi tanti innocenti.

Traduzione di Enzo Pellegrin per Resistenze.org

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