E’ convinzione di molti che l’Italia abbia una pubblica amministrazione
inefficiente, con una pletora di dipendenti, in maggioranza scansafatiche.
Quasi ogni Governo promette e, spesso, effettua tagli ai ministeri e ad altri
enti pubblici, perché sa che una gran parte degli elettori plaudirà a questi
tagli. Anche il Governo Meloni non è da meno: con la
finanziaria 2023 ha approvato tagli alla pubblica amministrazione (all’Agenzia
delle Entrate, ai ministeri, alla Sanità ecc.) e un taglio di circa 6
miliardi al “Sostegno e riequilibrio territoriale”, cioè al fondo
per colmare le sperequazioni tra Nord-Centro e Sud Italia [1]).
Ora ha approvato il Documento di Economia e Finanza (DEF) che prevede tagli
per 1,5 miliardi ai ministeri e altri tagli alla pubblica amministrazione [2].
E’ necessario chiedersi: quel che si dice della pubblica amministrazione
italiana è vero o no?
Se si vanno a vedere i dati appare evidente che non è assolutamente vero,
che è un luogo comune (falso come quasi tutti i luoghi comuni).
L’Italia ha un numero di dipendenti nella pubblica amministrazione al di
sotto delle medie UE e OCSE e molto al di sotto rispetto non solo ai Paesi
scandinavi, ma anche a Francia, Gran Bretagna, Spagna, Canada, Stati
Uniti. In Svezia c’è un dipendente pubblico ogni 7.000 persone, in
Francia ogni 11.000, in Gran Bretagna ogni 12.000, negli Stati Uniti (dove
gran parte dei servizi che da noi sono pubblici sono svolti da privati) ogni
14.000, in Italia ogni 17.000 [3]. Se si confronta il numero di
addetti nel settore privato con quello nel pubblico, la situazione è ancora
peggiore: l’Italia è al quart’ultimo posto nella UE nel rapporto
lavoratori nella P.A./lavoratori nel privato [3]. Se l’Italia
volesse eguagliare la Francia come numero di addetti nella pubblica
amministrazione ogni 1.000 abitanti dovrebbe assumere 1.894.000 persone, cioè
aumentare del 56% la dotazione [3].
Altro che tagli! Di tagli ne sono stati fatti già tanti, troppi: 200.000
posti in meno tra il 1992 e il 2008 e 400.000 tra il 2008 e il 2014 [4]. Tra
il 2008 e il 2017 il personale della pubblica amministrazione si è ridotto del
7,5%. Tra i settori con maggiori riduzioni del personale INPS, INL,
INAIL (-27%), l’università (-21%), i ministeri (-18%), le regioni e gli
enti locali (-12%), le agenzie fiscali (-10%), la polizia (-8%), la sanità
(-6%) [5]. Tagli che sono stati ottenuti con il blocco del turn over,
cioè bloccando le assunzioni. Tagli che, come sempre avviene in Italia, hanno
interessato soprattutto il Sud Italia. Infatti, rispetto al Nord
Italia, la percentuale di personale “tagliato” è stata doppia nel Sud Italia [6].
Tra le regioni a statuto speciale, quelle col maggior numero di dipendenti
pubblici (totali) sono la Valle d’Aosta (49 dipendenti ogni 1000
abitanti) e il Trentino-Alto Adige (20 dipendenti/1000ab) e, tra
quelle ordinarie, Liguria e Lazio (rispettivamente con 15 e 14
dipendenti/1000ab); ultima in classifica la Puglia (7 dipendenti
pubblici ogni 1000 abitanti) [5]. Tagli che purtroppo sono continuati
anche dal 2018 in poi (nel solo 2021 il personale della pubblica
amministrazione è ulteriormente calato di 30.000 unità [7]).
Il blocco delle assunzioni ha fatto sì che il nostro Paese conseguisse due
tristi primati: abbiamo la più alta percentuale di dipendenti sopra i
55 anni (il 45% contro una media OCSE del 24%) e la più bassa percentuale di
personale sotto i 35 anni (2,2% contro una media OCSE del 18%) [5].
L’Italia inoltre ha investito e investe poco nella formazione dei
dipendenti pubblici: meno di 50 auro all’anno per addetto [7].
Tutto ciò spiega perché spesso i servizi pubblici non funzionano bene. E come potrebbero
con poco personale, anziano, poco formato e, talvolta, anche privo degli
strumenti e delle risorse necessarie?
Si pensi che un addetto italiano alla sanità deve mediamente
servire circa il doppio di utenti rispetto ai suoi colleghi tedeschi, inglesi o
francesi; che ogni addetto alla pubblica amministrazione deve
occuparsi in media delle pratiche di più di 50 cittadini, mentre un dipendente
della P.A. francese, inglese o spagnolo deve svolgerne solo 25-30 (per
amore di patria non facciamo paragoni con i Paesi scandinavi) [3]; che l’intero
Centro Antico di Napoli è affidato a una sola unità di personale della
Soprintendenza (un architetto funzionario).
La nostra pubblica amministrazione non è per niente inefficiente, come si
dice e come molti credono. L’efficienza è il rapporto tra le risorse impiegate
e i risultati conseguiti: tenendo conto delle scarse risorse che
l’Italia impiega i risultati sono di tutto rispetto e l’efficienza quindi non è
per niente bassa.
Quando si parla di pubblica amministrazione molti pensano a passa-carte,
burocrati, parassiti. La pubblica amministrazione è fatta di
innumerevoli servizi, tutti importanti per la vita del Paese: sistema
sanitario nazionale; polizia; vigili del fuoco; scuola; università; ricerca;
assistenza sociale; tutela dell’ambiente, del paesaggio, delle opere d’arte e della
cultura; magistratura; sistema carcerario; trasporti pubblici; sistema
bibliotecario pubblico; fisco (entrate, dogane ecc.); sicurezza del volo e
delle ferrovie; protezione civile; ecc. Basta andare sul sito del Comune, della
Regione o di un Ministero per capire quanti servizi sono erogati da tali enti.
Se la pubblica amministrazione non funziona bene sono danneggiati tutti: cittadini, imprese e
l’intero Paese. I cittadini lo sanno bene quando impattano con le lunghe liste
di attesa nella sanità, con i rifiuti urbani non prelevati, con i mezzi di
trasporto pubblico che non passano. Molti non immaginano che anche le imprese
sono fortemente danneggiate. Si pensi, per esempio, ai pagamenti delle
amministrazioni pubbliche alle aziende, tempi che ordinariamente oscillano tra
i 50 e i 240 giorni e dipendono principalmente da due fattori: la quantità di
personale addetto a tale servizio e la dotazione informatica presente [6]. Un
altro esempio, se il PNRR è in gran ritardo il motivo principale è lo scarso numero
di dipendenti di Ministeri, Comuni, Regioni.
Purtroppo dai primi anni ‘80, non solo in Italia ma in tantissimi Paesi, si
è operato un attacco contro tutto ciò che è pubblico. E’ stato un attacco
voluto e promosso da soggetti imprenditoriali, da politici di destra e da
ideologi ultraliberisti. Una delle parole d’ordine della destra
americana fin dalla fine degli anni ‘70 era “Starve the beast”, prendi la belva
per fame, cioè taglia le risorse alla pubblica amministrazione. In
questa maniera si pensava di avere tre vantaggi: 1) meno controlli e vincoli
alle imprese (per esempio i vincoli ambientali, paesaggistici, di tutela dei
lavoratori ecc.); 2) nuovi settori di mercato per le imprese (per esempio la
sanità, i trasporti, l’istruzione ecc.); 3) meno tasse da pagare per imprese e
ricchi [8]. Dai primi anni ‘80 infatti sono diminuite sempre più le
tasse a ricchi e benestanti. Per esempio negli USA l’aliquota massima
negli anni ‘60 era al 94%, durante l’amministrazione Reagan al 28%. In
Italia nel 1974 vi erano 32 diversi scaglioni di reddito e l'aliquota più alta
era dell’82% (quella per redditi superiori agli attuali 2 milioni e
850 mila euro). Negli anni ‘80 gli scaglioni sono stati portati a 9 e
l’aliquota massima è stata ridotta al 65%. Oggi gli scaglioni sono solo 4 e
l’aliquota massima è al 43% e il Governo vuole ulteriormente ridurre
le tasse a ricchi e benestanti. Tutto ciò ha causato un’enorme
diminuzione delle entrate, con un conseguente indebitamento dello Stato, la
svendita di tante aziende pubbliche, il passaggio ai privati di servizi una
volta svolti dal pubblico (per esempio la cronica riduzione di risorse
del Sistema sanitario nazionale ha fatto espandere enormemente la sanità
privata), un enorme aumento delle disuguaglianze.
Non solo, tutto ciò ha anche danneggiato tante aziende, soprattutto
quelle oneste e rispettose dei lavoratori e dell’ambiente. Su 62.710
ispezioni effettuate dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL) è risultato
irregolare oltre il 62% delle aziende. Su 84.679 ispezioni effettuate
da INL-INPS-INAIL è risultato irregolare il 69% [6]. Abbiamo visto
che i tagli più consistenti sono stati effettuati proprio a INPS, INL,
INAIL e alle ASL, cioè a quegli enti che controllano che le aziende rispettino
le norme relative ai diritti dei lavoratori e alla tutela
dell’ambiente e della salute pubblica e che devono scoprire le aziende
a nero, quelle che più di tutte fanno concorrenza sleale alle aziende
rispettose delle norme.
Un gruppo di economisti dell’Università di Torino si è fatto promotore di
una proposta per assumere 1 milione di persone in più nella pubblica
amministrazione. Ai motivi da noi sopra esposti loro ne aggiungono un altro: quello
di ridurre la disoccupazione. Ritengono infatti che solo con una
pubblica amministrazione forte, capace di svolgere tutti i servizi che le
competono, avremo un’economia forte e stabile: “cercare di ottenere livelli
bassi di disoccupazione operando su altri settori vorrebbe dire puntare su un
rapporto fra settore privato e settore pubblico anormalmente alto”, che è una
delle patologie dell’Italia [9]. I costi verrebbero coperti con un
prelievo dell’1% sui patrimoni finanziari (conti in banca, azioni,
obbligazioni, bot), con una quota esente di 100.000 euro (quindi solo
se tali patrimoni sono superiori ai 100.000 euro).
Una proposta seria e di assoluto buon senso e che, forse proprio per
questo, è stata snobbata dal Governo, che continua a lanciare slogan
demagogici quali “meno tasse”, “flat tax per rilanciare l’economia”, “tagliamo
i fondi ai Ministeri”.
In ultimo i giornali hanno dato la notizia che con il PNRR ci saranno
800.000 assunzioni nella pubblica amministrazione [10]. La notizia è
quasi vera, ma mistificante. Le assunzioni previste sono infatti
777.000, ma nel quinquennio 2022-2026 e a fronte di un uscita per pensionamenti
stimata di 726.300 dipendenti: cioè i dipendenti pubblici
aumenterebbero solo di 4.700 unità, cioè un’inezia.
Note: 1) Qui Finanza: Nel 2023 il Governo cambia il piano di spesa: che
fine faranno i fondi, 2/1/23; 2) I tagli ai ministeri e altri enti pubblici
sono riportati a pag. 11 e nelle pagg. 146 e seguenti del DEF; 3) I dati,
dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e riferiti al
2019, sono riportati in G. Ortona: I dati non lasciano dubbi: in Italia
i dipendenti pubblici sono troppo pochi, 29/3/23; 4) Osservatorio sui Conti
Pubblici Italiani dell’Università Cattolica: L’occupazione nel settore
pubblico in Italia, 20/5/22; 5) Osservatorio sui Conti Pubblici
Italiani dell’Università Cattolica: L’andamento dell’occupazione
pubblica italiana dal 2008, 17/6/19; 6) Economia e politica: Politiche
economiche: una ipotesi di rafforzamento della pubblica amministrazione nel
Mezzogiorno, 14/4/23; 7) Ministero della Pubblica Funzione 2021; 8) D’Eramo
M: Dominio, Feltrinelli, 2020; 9) Il Manifesto: Il nostro
piano straordinario per la pubblica amministrazione, 29/1/22; 10) Si veda
per esempio Repubblica del 6/9/22. Il Ministro Brunetta (Governo Draghi) ha
addirittura sparato 1 milione di assunzioni (il 23/11/21).
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