L’irrefrenabile Lollobrigida - Marco Aime
Ci risiamo con una pezza che è peggiore del buco. Agli Stati generali della natalità (già il titolo meriterebbe un trattato filologico) l’irrefrenabile Lollobrigida, dopo avere detto, bontà sua, che è evidente che non esiste una razza italiana, ha dovuto colmare questa insopportabile lacuna, affermando che: “Esiste però una cultura, una etnia italiana che in questo convegno immagino si tenda a tutelare”. Esisterà dunque anche un’etnia francese (lo dica a bretoni e corsi), una spagnola (lo spieghi a baschi e catalani), una belga (l’importante che lo sappiano fiamminghi e valloni) o una inglese (basta non dirlo a scozzesi, gallesi e irlandesi). Ma forse no, lo strabordante ministro dell’Agricoltura sostiene il principio della purezza indicato peraltro nel punto 5 del Manifesto della razza: “È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici”.
La cultura italiana sarebbe dunque completamente autoctona. In un libretto
scritto nel ventennio dal fondatore del Museo di Storia Naturale di Torino,
c’era un capitolo (credo fosse d’obbligo) sull’elogio della razza italiana, che
si era conservata pura “nonostante qualche invasione”. Quasi commovente quel
“qualche”, i nostri libri di storia sono pressoché un elenco di invasioni, ma
forse, proprio per questo la cultura italiana ha toccato punte di eccellenza
(non adesso) come nel Rinascimento. Proprio grazie alla sintesi di culture
diverse, che si sono fuse in una proposta originale fondata sull’incontro con
la diversità.
Siamo tutti d’accordo che il pensiero occidentale deve molto (non tutto, ma
molto) a quello dell’antica Grecia, ma nelle sue Lezioni sulla
filosofia della storia, Hegel sostiene, giustamente, che “gli inizi della
cultura greca coincisero con l’arrivo degli stranieri”. Il tratto
costitutivo per la nascita della cultura greca è quindi l’arrivo
degli stranieri, di cui i greci avrebbero mantenuto “memoria
grata” nella propria mitologia: Prometeo, per esempio, viene dal Caucaso, e lo
stesso popolo greco si sarebbe sviluppato a partire da una “colluvies”, termine
che originariamente significava fango, immondizia, accozzaglia, scompiglio,
caos.
Gli Stati si differenzierebbero da quelle che chiamiamo “tribù” o etnia,
perché contengono diversità, non omogeneità. Per quanto riguarda l’etnia, vale
una celebre affermazione dell’antropologo britannico Siegfried
Nadel: “L’etnia è un’unità sociale i cui membri affermano di formare un’unità
sociale”. I Greci, peraltro, non associavano il concetto di ethnos a
un territorio, si poteva infatti essere greco anche in terre lontane, come
volle esserlo Alessandro. L’etnicità di un popolo sta nel progetto.
La storia viene spesso manipolata dalle élite, e l’identità evocata da chi
sta al potere si fonda spesso sulla storia, o meglio su una storia, quella
storia. Perché, come affermava Ernest Renan, per costruire una nazione ci vuole una
forte dose di memoria, ma anche un altrettanto forte dose di oblio: “L’oblio, e
dirò persino l’errore storico costituiscono un fattore essenziale nella
creazione di una nazione (…) Ora l’essenza di una nazione sta nel fatto che
tutti i suoi individui condividano un patrimonio comune, ma anche
nel fatto che tutti abbiano dimenticato molte altre cose. Nessun cittadino
francese sa se è Burgundo, Alano, Visigoto; ogni cittadino francese deve aver
dimenticato la notte di San Bartolomeo, i massacri del XIII secolo nel Sud…”.
Dobbiamo fingere di ricordare ciò che ci unisce e dimenticare quanto
invece, del nostro passato, ci divide. Oppure accettare, come sostengono Julian
S. Huxley e Alfred C. Haddon che:
“Una nazione è una società unita da un errore comune riguardo alle proprie
origini e da una comune avversione nei confronti dei vicini”.
l’agricoltura c’entra con la natalità, #Lollobrigida? – bortocal
il ministro Lollobrigida è il ministro dell’Agricoltura, oltre che che il cognato del capo del governo Meloni; si dovrebbe supporre che sappia qualcosa dell’arte di coltivare i campi, ma è lecito dubitarne.
certo, sentirlo parlare ripetutamente di etnia e di
natalità è una cosa penosa, che esula anche dal suo ministero, sempre che non
penesi che i bambini nascono sotto i cavoli.
oggi ha fatto altre dichiarazioni, sempre scombinate,
ma meno gravi di altre recenti, come per metterci una pezza, ma siamo ben al di
sotto del livello minimo di competenza che dovrebbe avere un ministro quando
parla di qualcosa.
capisco che parlando a braccio, capita a tutti di
sbagliare, ma qui non si tratta di lapsus, ma proprio di mancanze
concettuali profonde.
per non essere fazioso, riporterò le sue parole con
cura, ma evidenzierò le incoerenze clamorose: in corsivo le sue,+ parole, in
caratteri normali il mio commento.
. . .
Credo che sia evidente a tutti che non esiste una
razza italiana, per cui è un falso problema immaginare un concetto di questa
natura.
ottimo l’esordio, pasticciato il resto; ma teniamo
ferma l’idea che non esiste una razza italiana, ok?
Esiste però una cultura, un’etnia italiana, quella che
definisce la Treeccani: raggruppamento linguistico culturale, che oggi immagino
in questo convegno si tenda a tutelare.
ottima anche la definizione di etnia della Treccani,
che corrisponde a quella che nei giorni in qualche post ho
cercato di chiarire anche io: l’etnia non è un raggruppamento basato su
affinità genetiche (oltretutto presunte, e soprattutto nel caso italiano), ma è
dato dalla condivisione di una lingua e di una cultura.
ma di nuovo, nella frase qui sopra è disastroso il
collegamento finale: in che senso dunque si difende un’etnia in un convegno che
parla di crisi della natalità?
. . .
la domanda è proprio centrale.
se l’etnia è un fatto culturale e linguistico, come
dice anche la Treccani citata dal Lollobrigida, il suo rapporto con la natalità
è molto indiretto e aleatorio:
la cultura e la lingua non si trasmettono con i
cromosomi, ma con l’educazione, che avviene nella famiglia, nella scuola e oggi
anche attraverso i media, che forse hanno addirittura acquisito una
parte preponderante.
il calo della natalità è un fenomeno mondiale, che si
manifesta comunque anche dove questa resta alta, più accentuato in alcune
società più benestanti, tra cui la nostra.
ma lo si affronta cercando di rimuovere le cause che
impediscono di avere figli a chi vorrebbe averne, dove ce ne sono, non certo
cercando di obbligare qualcuno a farne, se non vuole.
la lotta alla denatalità ha dunque un ambito specifico
tutto suo, nel rispetto del diritto all’autodeterminazione individuale e di
coppia, e come problema sociale, mentre l’azione per la difesa della nostra
cultura e della nostra lingua si svolge sul piano delle diverse agenzie
educative.
è ovvio che la prima e fondamentale di queste è la
famiglia, per cui siamo portati a pensare che famiglie già integrate nella
cultura e nella lingua italiana possano trasmetterle più facilmente ai figli.
ma questo è solo un aspetto del problema: accanto alla
famiglia ci sta la scuola; e accanto all’una e all’altra ci stanno i media:
e siamo sicuri che i media trasmettano oggi i valori fondanti della nostra
cultura? viene da dubitarne.
del resto, occorre anche sottolineare che la cultura
non è un corpo rigido di nozioni e valori, ma per sua natura è in continua
evoluzione, per cui occorre difenderne più la struttura profonda che le
manifestazioni esteriori.
e infine ricordiamo che esistono nel nostro paese
anche le minoranze linguistiche, che forse dovremmo definire etniche, perché si
tratta sicuramente di etnie diverse, a volte piccole e quasi residuali,
confinate in ambiti localistici ristretti, a volte consistenti e significative,
come nel caso dei sudtirolesi.
anche queste etnie e micro-etnie diverse hanno pieno
diritto di cittadinanza in uno stato democratico, e vanno tutelate a norma
di Costituzione art. 6 La Repubblica tutela con apposite norme le
minoranze linguistiche.
e le minoranze possono anche cambiare nel tempo, se ne
possono formare di nuove; l’unica discriminante è l’accettazione dei
fondamentali principi della Costituzione.
. . .
ma torniamo a Lollobrigida e al suo collegamento
improprio fra contrasto alla denatalità e tutela dell’etnia; infatti continua
dicendo: Perché se no, non avrebbe senso.
che cosa non avrebbe senso? a parte il suo discorso…
Noi abbiamo un incremento demografico mondiale di 75
milioni l’anno, quindi la popolazione del mondo cresce (purtroppo, aggiungo io) e
tanti di quelli che nascono nel mondo vorrebbero venire a vivere in Italia.
ma allora, per chi difende l’etnia come fatto
linguistico e culturale, questa dovrebbe essere un’ottima notizia, no? e a
maggior ragione se la popolazione nata nel paese diminuisce.
E allora, perché preoccuparsi delle nascite in Italia?
giustissima domanda: ce ne dobbiamo preoccupare solo
se la mancanza di nascite è dovuta ad ostacoli di ordine economico e sociale,
quelli che lo stato dovrebbe rimuovere per assicurare il pieno sviluppo sociale
e umano dei suoi cittadini, come dice l’art. 3 della Costituzione.
però pare che anche gli immigrati, via via che si
integrano da noi, tendano a diminuire la procreazione di figli: forse la
riduzione delle nascite è proprio un aspetto della nostra cultura cultura?
ma non aspettatevi riflessioni di questo tipo da
Lollobrigida, che prosegue parlando dei cavoli a merenda, sì, proprio quei
cavoli sotto cui la tradizione vuole fare nascere i bambini.
. . .
E se la risposta è, come tutte le forze politiche
presenti, quella di incrementare la natalità, probabilmente è per ragioni
legate alla difesa di quella appartenenza a cui molti di noi sono legati, io in
particolare con orgoglio, che è quella alla cultura italiana, al nostro ceppo
linguistico, al nostro modo di vivere, così come e allo stesso modo possano
esserne orgogliosi tutti i popoli con eguale tutela e uguale diritto.
ma la cultura non si trasmette e comunica? la lingua
non si insegna?
e poi, come intende il Lollobrigida incrementare la
natalità? con provvedimenti simili a quelli che usava il Mussolini, da loro
così ammirato, per procurarsi futura carne da cannone?
. . .
E quindi ci siamo confrontati su quelli che devono
essere gli interventi che siano utili e non possono essere che quelli di
liberare uomini e donne, in particolare, dalla paura, la paura di non avere un
futuro, di non avere una possibilità solida, mettendo al mondo dei figli, di
poterselo permettere, di non avere una casa anche in giovane età, quando si è
più fertili e magari, se si ha voglia, si possono mettere al mondo dei figli.
va be’?’, teniamo per buone almeno queste conclusioni,
anche se scollegate da tutto il resto, e speriamo che siano sincere.
perché per i benestanti la rinuncia ai figli è frutto
dell’egoismo consumistico, ma per chi non lo è, è il precariato la causa
principale del calo delle nascite.
poi non sarebbe male se si desse anche qualche
risposta alle paure create dalla catastrofe climatica in corso, nelle nuove
generazioni, più consapevoli.
ma l’etnia non c’entra proprio nulla.
Nessun commento:
Posta un commento