lunedì 15 maggio 2023

la razza italiana?

 

L’irrefrenabile Lollobrigida - Marco Aime

Ci risiamo con una pezza che è peggiore del buco. Agli Stati generali della natalità (già il titolo meriterebbe un trattato filologico) l’irrefrenabile Lollobrigida, dopo avere detto, bontà sua, che è evidente che non esiste una razza italiana, ha dovuto colmare questa insopportabile lacuna, affermando che: “Esiste però una cultura, una etnia italiana che in questo convegno immagino si tenda a tutelare”. Esisterà dunque anche un’etnia francese (lo dica a bretoni e corsi), una spagnola (lo spieghi a baschi e catalani), una belga (l’importante che lo sappiano fiamminghi e valloni) o una inglese (basta non dirlo a scozzesi, gallesi e irlandesi). Ma forse no, lo strabordante ministro dell’Agricoltura sostiene il principio della purezza indicato peraltro nel punto 5 del Manifesto della razza: “È una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici”.

La cultura italiana sarebbe dunque completamente autoctona. In un libretto scritto nel ventennio dal fondatore del Museo di Storia Naturale di Torino, c’era un capitolo (credo fosse d’obbligo) sull’elogio della razza italiana, che si era conservata pura “nonostante qualche invasione”. Quasi commovente quel “qualche”, i nostri libri di storia sono pressoché un elenco di invasioni, ma forse, proprio per questo la cultura italiana ha toccato punte di eccellenza (non adesso) come nel Rinascimento. Proprio grazie alla sintesi di culture diverse, che si sono fuse in una proposta originale fondata sull’incontro con la diversità.

 

Siamo tutti d’accordo che il pensiero occidentale deve molto (non tutto, ma molto) a quello dell’antica Grecia, ma nelle sue Lezioni sulla filosofia della storia, Hegel sostiene, giustamente, che “gli inizi della cultura greca coincisero con l’arrivo degli stranieri”. Il tratto costitutivo per la nascita della cultura greca è quindi l’arrivo degli stranieri, di cui i greci avrebbero mantenuto “memoria grata” nella propria mitologia: Prometeo, per esempio, viene dal Caucaso, e lo stesso popolo greco si sarebbe sviluppato a partire da una “colluvies”, termine che originariamente significava fango, immondizia, accozzaglia, scompiglio, caos.

Gli Stati si differenzierebbero da quelle che chiamiamo “tribù” o etnia, perché contengono diversità, non omogeneità. Per quanto riguarda l’etnia, vale una celebre affermazione dell’antropologo britannico Siegfried Nadel: “L’etnia è un’unità sociale i cui membri affermano di formare un’unità sociale”. I Greci, peraltro, non associavano il concetto di ethnos a un territorio, si poteva infatti essere greco anche in terre lontane, come volle esserlo Alessandro. L’etnicità di un popolo sta nel progetto.

La storia viene spesso manipolata dalle élite, e l’identità evocata da chi sta al potere si fonda spesso sulla storia, o meglio su una storia, quella storia. Perché, come affermava Ernest Renan, per costruire una nazione ci vuole una forte dose di memoria, ma anche un altrettanto forte dose di oblio: “L’oblio, e dirò persino l’errore storico costituiscono un fattore essenziale nella creazione di una nazione (…) Ora l’essenza di una nazione sta nel fatto che tutti i suoi individui condividano un patrimonio comune, ma anche nel fatto che tutti abbiano dimenticato molte altre cose. Nessun cittadino francese sa se è Burgundo, Alano, Visigoto; ogni cittadino francese deve aver dimenticato la notte di San Bartolomeo, i massacri del XIII secolo nel Sud…”.

Dobbiamo fingere di ricordare ciò che ci unisce e dimenticare quanto invece, del nostro passato, ci divide. Oppure accettare, come sostengono Julian S. Huxley e Alfred C. Haddon che:

“Una nazione è una società unita da un errore comune riguardo alle proprie origini e da una comune avversione nei confronti dei vicini”.

da qui

  

 

l’agricoltura c’entra con la natalità, #Lollobrigida? – bortocal

il ministro Lollobrigida è il ministro dell’Agricoltura, oltre che che il cognato del capo del governo Meloni; si dovrebbe supporre che sappia qualcosa dell’arte di coltivare i campi, ma è lecito dubitarne.

certo, sentirlo parlare ripetutamente di etnia e di natalità è una cosa penosa, che esula anche dal suo ministero, sempre che non penesi che i bambini nascono sotto i cavoli.

oggi ha fatto altre dichiarazioni, sempre scombinate, ma meno gravi di altre recenti, come per metterci una pezza, ma siamo ben al di sotto del livello minimo di competenza che dovrebbe avere un ministro quando parla di qualcosa.

capisco che parlando a braccio, capita a tutti di sbagliare, ma qui non si tratta di lapsus, ma proprio di mancanze concettuali profonde.

per non essere fazioso, riporterò le sue parole con cura, ma evidenzierò le incoerenze clamorose: in corsivo le sue,+ parole, in caratteri normali il mio commento.

https://www.open.online/2023/05/11/governo-meloni-francesco-lollobrigida-etnia-italiana-da-tutelare-video/

 

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Credo che sia evidente a tutti che non esiste una razza italiana, per cui è un falso problema immaginare un concetto di questa natura.

ottimo l’esordio, pasticciato il resto; ma teniamo ferma l’idea che non esiste una razza italiana, ok?

Esiste però una cultura, un’etnia italiana, quella che definisce la Treeccani: raggruppamento linguistico culturale, che oggi immagino in questo convegno si tenda a tutelare.

ottima anche la definizione di etnia della Treccani, che corrisponde a quella che nei giorni in qualche post ho cercato di chiarire anche io: l’etnia non è un raggruppamento basato su affinità genetiche (oltretutto presunte, e soprattutto nel caso italiano), ma è dato dalla condivisione di una lingua e di una cultura.

ma di nuovo, nella frase qui sopra è disastroso il collegamento finale: in che senso dunque si difende un’etnia in un convegno che parla di crisi della natalità?

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la domanda è proprio centrale.

se l’etnia è un fatto culturale e linguistico, come dice anche la Treccani citata dal Lollobrigida, il suo rapporto con la natalità è molto indiretto e aleatorio:

la cultura e la lingua non si trasmettono con i cromosomi, ma con l’educazione, che avviene nella famiglia, nella scuola e oggi anche attraverso i media, che forse hanno addirittura acquisito una parte preponderante.

il calo della natalità è un fenomeno mondiale, che si manifesta comunque anche dove questa resta alta, più accentuato in alcune società più benestanti, tra cui la nostra.

ma lo si affronta cercando di rimuovere le cause che impediscono di avere figli a chi vorrebbe averne, dove ce ne sono, non certo cercando di obbligare qualcuno a farne, se non vuole.

la lotta alla denatalità ha dunque un ambito specifico tutto suo, nel rispetto del diritto all’autodeterminazione individuale e di coppia, e come problema sociale, mentre l’azione per la difesa della nostra cultura e della nostra lingua si svolge sul piano delle diverse agenzie educative.

è ovvio che la prima e fondamentale di queste è la famiglia, per cui siamo portati a pensare che famiglie già integrate nella cultura e nella lingua italiana possano trasmetterle più facilmente ai figli.

ma questo è solo un aspetto del problema: accanto alla famiglia ci sta la scuola; e accanto all’una e all’altra ci stanno i media: e siamo sicuri che i media trasmettano oggi i valori fondanti della nostra cultura? viene da dubitarne.

del resto, occorre anche sottolineare che la cultura non è un corpo rigido di nozioni e valori, ma per sua natura è in continua evoluzione, per cui occorre difenderne più la struttura profonda che le manifestazioni esteriori.

e infine ricordiamo che esistono nel nostro paese anche le minoranze linguistiche, che forse dovremmo definire etniche, perché si tratta sicuramente di etnie diverse, a volte piccole e quasi residuali, confinate in ambiti localistici ristretti, a volte consistenti e significative, come nel caso dei sudtirolesi.

anche queste etnie e micro-etnie diverse hanno pieno diritto di cittadinanza in uno stato democratico, e vanno tutelate a norma di Costituzione art. 6 La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.

e le minoranze possono anche cambiare nel tempo, se ne possono formare di nuove; l’unica discriminante è l’accettazione dei fondamentali principi della Costituzione.

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ma torniamo a Lollobrigida e al suo collegamento improprio fra contrasto alla denatalità e tutela dell’etnia; infatti continua dicendo: Perché se no, non avrebbe senso.

che cosa non avrebbe senso? a parte il suo discorso…

Noi abbiamo un incremento demografico mondiale di 75 milioni l’anno, quindi la popolazione del mondo cresce (purtroppo, aggiungo io) e tanti di quelli che nascono nel mondo vorrebbero venire a vivere in Italia.

ma allora, per chi difende l’etnia come fatto linguistico e culturale, questa dovrebbe essere un’ottima notizia, no? e a maggior ragione se la popolazione nata nel paese diminuisce.

E allora, perché preoccuparsi delle nascite in Italia?

giustissima domanda: ce ne dobbiamo preoccupare solo se la mancanza di nascite è dovuta ad ostacoli di ordine economico e sociale, quelli che lo stato dovrebbe rimuovere per assicurare il pieno sviluppo sociale e umano dei suoi cittadini, come dice l’art. 3 della Costituzione.

però pare che anche gli immigrati, via via che si integrano da noi, tendano a diminuire la procreazione di figli: forse la riduzione delle nascite è proprio un aspetto della nostra cultura cultura?

ma non aspettatevi riflessioni di questo tipo da Lollobrigida, che prosegue parlando dei cavoli a merenda, sì, proprio quei cavoli sotto cui la tradizione vuole fare nascere i bambini.

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E se la risposta è, come tutte le forze politiche presenti, quella di incrementare la natalità, probabilmente è per ragioni legate alla difesa di quella appartenenza a cui molti di noi sono legati, io in particolare con orgoglio, che è quella alla cultura italiana, al nostro ceppo linguistico, al nostro modo di vivere, così come e allo stesso modo possano esserne orgogliosi tutti i popoli con eguale tutela e uguale diritto.

ma la cultura non si trasmette e comunica? la lingua non si insegna?

e poi, come intende il Lollobrigida incrementare la natalità? con provvedimenti simili a quelli che usava il Mussolini, da loro così ammirato, per procurarsi futura carne da cannone?

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E quindi ci siamo confrontati su quelli che devono essere gli interventi che siano utili e non possono essere che quelli di liberare uomini e donne, in particolare, dalla paura, la paura di non avere un futuro, di non avere una possibilità solida, mettendo al mondo dei figli, di poterselo permettere, di non avere una casa anche in giovane età, quando si è più fertili e magari, se si ha voglia, si possono mettere al mondo dei figli.

va be’?’, teniamo per buone almeno queste conclusioni, anche se scollegate da tutto il resto, e speriamo che siano sincere.

perché per i benestanti la rinuncia ai figli è frutto dell’egoismo consumistico, ma per chi non lo è, è il precariato la causa principale del calo delle nascite.

poi non sarebbe male se si desse anche qualche risposta alle paure create dalla catastrofe climatica in corso, nelle nuove generazioni, più consapevoli.

ma l’etnia non c’entra proprio nulla.

da qui

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