Istruzioni per il fascismo in 15 passi (parte 1 di 3)
Il fascismo non è una catastrofe naturale, ma si sviluppa in base a delle condizioni storiche specifiche che possono variare a livello nazionale e regionale.
Pubblichiamo su Pressenza in tre parti
questo interessante articolo. Ecco la prima parte di 3:
Il fascismo è qualcosa che può essere combattuto o invece promosso. In
Germania abbiamo assistito dal 2020 fino ad oggi alla comparsa di diversi
fenomeni, che elencheremo senza la pretesa di essere esaustivi: (neo-)fascismo,
(neo-)nazismo, populismo di destra, xenofobia e discriminazione, razzismo,
autoritarismo, patriottismo, nazionalismo, etnocentrismo, sciovinismo,
predominio, estremismo di destra e radicalismo di destra (che non sono la
stessa cosa). Tuttavia, non siamo qui per dare una definizione per ogni singolo
concetto.Ci appare invece interessante notare cosa lega queste ideologie tra
loro, poiché alla radice si basano tutte su tre elementi in comune: a)
l’immaginario collettivo e le rappresentazioni sociali che vedono contrapporsi
il “noi” al “loro”, b) la conseguente gerarchizzazione che legittima
l’oppressione e, c) non da ultimo il potere, la violenza e il disprezzo,
sfiorando perfino l’eliminazione fisica di determinati gruppi di individui.
Per quanto queste idee e affermazioni di destra possano apparire surreali e
crude, le loro origini non vanno ricercate ai margini della società, bensì
proprio al centro di essa. Spesso, per quanto assurdo possa sembrare, sono solo
la risposta alle condizioni sociali che affliggono queste persone: sentimenti
di impotenza, che si fondono con elementi deliranti e, nei movimenti di destra,
con una forte brama di potere. Una combinazione sociale pericolosa che sta
nascendo nel cuore di una società di stampo democratico-capitalista e che
cresce ogni giorno che passa, alimentando così il fascismo.
Attaccare la dignità
La dignità umana deve essere calpestata, sfruttata e considerata un rischio
per la sicurezza dello Stato.
La dignità umana è inviolabile, almeno così recita la legge fondamentale
della Germania che illustra cosa sono i diritti, il diritto in sé e i diritti
fondamentali. La legge è paziente, ma la sua violazione sembra avere gravi
conseguenze solo quando ad essere nel torto è la parte sbagliata, e questa
consapevolezza si sta facendo strada negli animi sempre più delusi delle
persone che prendono le distanze dai bei discorsi domenicali: persone che si
sentono umiliate, schiavizzate, molestate, imprigionate, espropriate dei loro
mezzi di sussistenza e derubate nei modi più disparati.
Come disse nel 1894 il Premio Nobel per la letteratura, Anatole France, “La
legge, nella sua maestosa uguaglianza, proibisce ai ricchi e ai poveri di
dormire sotto i ponti, di chiedere l’elemosina per la strada e di rubare il
pane”, se non fosse che alcuni rimangono più uguali degli altri (tratto
liberamente da George Orwell: La fattoria degli animali).
Pierre-Joseph Proudhon riassunse questa umiliazione nel modo seguente:
“Essere governati significa essere osservati, analizzati, interrogati,
incaricati, subordinati, nominati, indottrinati, persuasi, sorvegliati,
tassati, messi alla prova, limitati e inviati in giro per il mondo da uomini
che non hanno né il diritto, né la conoscenza, né la virtù per farlo. Questo è
il potere, questo è il loro diritto e la loro morale” (Proudhon parla di uomini
perché all’epoca, nel XIX secolo, non c’erano donne al potere. Non bisogna
nascondere che la critica di Proudhon al potere non considerava la questione
del genere: era un pronunciato antifemminista). Dopo tutto, nello Stato
capitalista le persone sono percepite solo come “capitale umano” e allo stesso
tempo come un potenziale rischio per la sicurezza.
Dobbiamo sempre a Proudhon il famoso detto “la proprietà è un furto”,
perché ciò che appartiene ad alcuni viene sottratto ed espropriato da altri. In
una società nella quale la proprietà privata significa tutto e il bene comune
non significa nulla, non ci può essere spazio per la dignità umana, e la destra
ha colto da tempo il messaggio, e si adopera di conseguenza, con l’unica
differenza che lo fa alla luce del giorno rispetto agli altri partiti: non
servono i discorsi della domenica, il disprezzo della destra per la dignità
umana è puro disprezzo per l’umanità, verso coloro che non vi appartengono. Ed
è qui, nella promessa di un ritorno della dignità rubando in cambio quella
degli altri, che risiede la falsa convinzione dei suoi elettori.
Incutere paura
È necessario fomentare la paura per accrescere il consenso alla politica
autoritaria e all’idea di uno “Stato forte”.
Come dice il proverbio, la paura è una cattiva consigliera, e infatti è
proprio la paura ad assoggettare le persone al potere di altre persone, come
scoprì Etienne de La Boetie 500 anni fa.
Il capitalismo stesso fin dai suoi esordi ha da sempre agito sulla società
tramite la paura, rendendo le persone più inclini alla collaborazione e
facilmente sfruttabili. Infatti, ancora una volta, è stata la paura il mezzo
adoperato fin dall’inizio della pandemia di coronavirus, ne è la prova un
documento trapelato dal governo tedesco. Quando nel 2020 il numero delle
infezioni era sceso dopo settimane, la Cancelliera Merkel ne ha approfittato
per gettare nuovamente benzina sul fuoco: “Non dobbiamo abbandonarci a un senso
di sicurezza nemmeno per un secondo “. Nemmeno per un secondo, un solo secondo.
Ma che cos’è la paura? La paura è un sentimento potente che provoca la paralisi
disattivando le sinapsi, è una sorta di lockdown per il corpo che induce il cervello
ad arrestarsi, a spegnersi, infatti, non è un caso che Christof Wackernagel
l’abbia definito come un virus mortale della psiche.
La gestione della crisi del coronavirus è stata riassunta in maniera
precisa e sintetica dal politologo Wolfgang Merkel come “una forma di governo
della paura”. In effetti, la paura è da tempo uno strumento collaudato da parte
dei governi. Quando funziona, la stragrande maggioranza delle persone è
disposta a sopportare senza lamentarsi anche le privazioni più dure, come le case
fredde, l’aumento dei prezzi e le tasse speciali, e perfino ad approvare
politiche autoritarie, incluse leggi sulla sicurezza molto restrittive che
altrimenti una società civile in tempi normali non accetterebbe mai così
facilmente. In fondo, “la paura costante è il miglior mezzo di potere”, afferma
lo psicoanalista Hans-Joachim Maaz.
Se in passato la paura era intesa come una risorsa “naturale”, frutto
dell’evoluzione e strutturalmente limitata, oggi invece è da considerarsi un
fenomeno che può essere facilmente indotto e usato consapevolmente. Il problema
è che la paura in sé ci protegge dai pericoli reali, ma la sua
strumentalizzazione può creare dipendenza dagli altri e non da ultimo, da
istituzioni come lo Stato che si vede percepito come un “protettore” del
cittadino, ciò che ogni Stato desidera essere in fondo. In intesi, come
affermato da Alexander Mitscherlich, siamo di fronte alla manipolazione
ideologica della paura. Naturalmente, è una tattica che funziona molto bene in
tempi di guerra, basta partire dal presupposto, ad esempio, che “i russi” sono
già alle porte, e sono armati fino ai denti, così come “gli arabi”, essendo
visti come un “nemico interno”. In un contesto del genere le parole del
Ministro della Difesa tedesco Pistorius, secondo cui il Paese deve essere
“pronto alla guerra”, cadono già su un terreno fertile e diventano facilmente
verità.
Purtroppo i partiti di destra sono sempre stati tra i grandi sostenitori di
uno Stato potente e sono stati anche particolarmente abili nel creare paura
inscenando situazioni di pericolo con lo scopo di trovare consenso
nell’opinione pubblica. Dal 2020 il governo tedesco ha fatto spesso ricorso
alle politiche tipicamente di destra e quasi nessuno sembra essersi espresso in
disaccordo, segnando un punto a favore della destra che ora può sfregarsi le
mani e aizzare la popolazione contro i rifugiati con le campagne contro la
sostituzione etnica e sciocchezze simili. Curioso notare come le campagne
elettorali dei partiti di destra vengano sempre condotte all’insegna della
paura, in particolare per quanto riguarda l’immigrazione, sia in Svizzera che
in Italia, in Germania, in Svezia, in Polonia o altrove. Tuttavia, la paura
riesce persino a produrre un effetto controproducente nei suoi elettori, ovvero
incentivare le persone ad agire contro i loro stessi interessi. Questo spiega
in parte perché gli elettori di destra, solitamente appartenenti ad uno strato
sociale precario, sono disposti ad accettare l’adozione di politiche ancora più
ingiuste, come l’aumento delle tasse per finanziare l’esclusione di certi
gruppi deboli come i rifugiati o la difesa da presunti nemici con l’ausilio
delle guerre.
Polarizzare l’opinione pubblica
I dibattiti devono essere polarizzati operando una divisione marcata tra
“buoni” e “cattivi”, negando ogni possibilità per un dialogo.
Dal 2020 abbiamo assistito ad un’allarmante crescita di una tendenza
preesistente di divisione sociale tra vaccinati o non vaccinati, dove il
trattamento riservato ai non vaccinati ha assunto durante gli anni del
coronavirus dei tratti tipicamente totalitari. Vera Shalev, sopravvissuta
all’Olocausto, ci aveva prontamente avvertito che eravamo nel bel mezzo di una
evoluzione sociale che avrebbe potuto portare all’instaurazione di un sistema
dittatoriale simile a quello del nazionalsocialismo. Bene o male,
l’esemplificazione di tale dualismo potrebbe sembrare il frutto di un pensiero
infantile (un paragone perfino offensivo per i bambini), ma ahimé questa
discriminazione fondata su un programma di vaccinazione è divenuta una dottrina
di Stato. Una polarizzazione del pensiero antistorica e antiscientifica simile
è stata applicata anche alla guerra in Ucraina, ma quando c’è in ballo la
paura, la ragione finisce per venire meno.
È stato definito cattivo chiunque abbia provato a contestualizzare la
guerra, compresa la sua storia (senza minimamente giustificare l’attacco di
Putin, attenzione, perché è possibile fare entrambe le cose, ossia condannare
un’aggressione senza ignorare gli sviluppi degli anni precedenti). Il messaggio
veicolato in definitiva è stato quello di schierarsi obbligatoriamente da una
parte, prendere una posizione. Tuttavia, quando si parla di vaccinazioni è bene
decidersi se essere a favore o contro, non c’è altro modo, non esiste un’altra
via di mezzo. Forse ognuno di noi ha le sue buone ragioni personali per
decidersi, ma perché mai sarebbe necessario invece schierarsi dalla parte di
uno Stato, senza riserve? Nell’attacco di Hamas contro Israele abbiamo
assistito ancora una volta al trionfo di questo bi-pensiero infantile di bene e
male. Non ci si è lontanamente chiesti come era possibile che uno dei migliori
servizi segreti al mondo – quello israeliano – non fosse per niente al corrente
dei preparativi dell’attacco, mentre si dice che l’Egitto ne fosse invece a
conoscenza. Siamo forse di fronte all’ennesima teoria del complotto?
Il discorso di Robert Habeck (vice cancelliere tedesco, del Partito dei
Verdi, NdR) contro l’antisemitismo, invece, è stato applaudito su vasta scala
praticamente da tutti i media. Come è breve la memoria… Poco più di un anno fa
Habeck ha concluso un accordo per il gas proprio con il Qatar, paese islamista
che ospitò i Mondiali di calcio (aveva appena accolto migliaia di lavoratori,
morti in seguito per un evento sportivo commerciale), senza dimenticare che il
Qatar è uno dei principali finanziatori di Hamas.
Questa ipocrisia della politica dei Verdi viene poi presentata sotto le
mentite spoglie di una politica morale, in modo perfino sublime. Alla fine la
Ministra degli Esteri Baerbock ha deciso di non limitarsi a “rovinare” la
Russia, ma anche di distruggere Hamas. Infatti, ora richiede l’espulsione dei
rifugiati “criminali” di origine araba. Ma nel polarizzare la destra li supera
tutti, quindi non stupitevi se gli alloggi dei richiedenti asilo andranno
nuovamente a fuoco.
Creare il consenso
È necessario creare una società del consenso, la quale per avere maggior
stabilità ha necessariamente bisogno di puntare il dito contro i dissidenti e
gli emarginati.
La società del consenso è l’altra faccia della polarizzazione del pensiero.
Immanuel Kant disse, “Abbi il coraggio di usare la tua ragione”, peccato che
nella società del consenso non ci sia più spazio per questa massima. Uno studio
di Dennis Gräf e Martin Hennig, pubblicato sulla rivista dell’Università di
Passau nel settembre 2020, ha esaminato 93 programmi televisivi “speciali” di
ARD e ZDF sul coronavirus mandati in onda fino a giugno 2020 – ma, considerando
la frequenza del formato del programma stesso, non poteva che rivelarsi
controproducente. Il risultato è stato molto chiaro: c’è stata una retorica
unilaterale sulla crisi, in cui le misure per il contenimento del coronavirus
venivano presentate come le sole “naturali” e “possibili”, mentre l’unica
narrativa di salvezza era offerta dal rapido sviluppo di un vaccino. Non sono
state ammesse prospettive diverse da quelle ufficiali, se non in una forma
apparentemente ridicolizzata dai “fact check”. Questi si sono diffusi come un
virus durante tutta la pandemia, dove chiunque non professava la fede di Stato
era considerato alla stregua di uno stupido o di una persona pericolosa e
quindi automaticamente escluso dal dibattito. I mass media hanno fatto un uso
massiccio dei “fact-checker” per ridicolizzare o demonizzare qualsiasi critica
che non potesse essere ignorata, e chiunque facesse notare le lacune di tale
resoconto e mettesse in dubbio la narrativa ufficiale, veniva immediatamente
aizzato contro i cani dei “fact-checker”, che con i loro controlli non facevano
altro che alimentare la disinformazione, anziché fare chiarezza.
In molti casi, queste risposte “epidemiche” di fronte ad ogni indagine
critica, a volte persino formulate in misura preventiva contro possibili
domande sgradite, erano messe insieme in modo così miserabile da rendere
necessaria una verifica dei fatti. Ogni critica alla scienza, ai media e alle
aziende, così come era stata mossa in epoche passate (e non parliamo di chissà
quanti anni fa), è stata immediatamente eliminata. Così è stato per il
coronavirus e per le nuove guerre, perché si sa, la prima vittima della guerra
è sempre la verità, e lo abbiamo visto ancora una volta con la guerra in
Ucraina.
Nell’era dei social media le guerre si sono trasformate in guerre di
informazione, o meglio in veri teatri di disinformazione, un altro motivo in
più per analizzare esattamente chi dice cosa e con quale possibile interesse.
Anche in questo caso però, qualsiasi indagine critica è stata silurata con i
“fact check”. L’obiettivo prefissato è stato raggiunto: riunire le voci dei
dissenzienti dichiarandoli persone indifese incanalando così il dissenso in un
unico coro prescritto. Questo ha agevolato la destra a recitare la propria
parte, come meglio sa fare, ovvero quella della vittima.
Rendere i poveri ancora più poveri
Le persone devono essere sottoposte a condizioni di vita insicure ed
esposte a un continuo impoverimento.
La povertà rappresenta un problema mondiale e cresce nelle masse in
proporzione alla ricchezza dei ricchi, a livello globale, nazionale e anche
locale. Fino a qualche anno fa la differenza di aspettativa di vita media tra i
quartieri più ricchi e quelli più poveri di Brema si attestava sui sette anni.
Significa che, se una persona è ricca e benestante riesce a vivere sette anni
in più. Oggi questa stima si applica a tutta la città di Brema, che ingloba due
mondi paralleli, dove l’uno coesiste accanto all’altro all’interno di un
piccolo spazio (non insieme, piuttosto l’uno contro l’altro), dove ci si
riunisce come succede nel calcio, quando si tifa la nazionale: allora tutte le
contraddizioni si annullano, simile all’effetto del collante del nazionalismo a
livello statale (solo che il presunto “allegro patriottismo di partito” alla
Coppa del Mondo non è affatto innocuo).
La retorica comunitaria dall’alto (panem et circenses) non può però
ignorare i poveri, specie quando sono d’intralcio, ovvero quando si tratta di
gentrificare la città o quando cercano di guadagnarsi qualcosa in più oltre
alla consueta pagnotta (lavorando in nero ad esempio). Allora vengono
rapidamente stigmatizzati come “parassiti sociali”. Nel frattempo invece
leggiamo sui giornali notizie su quanti miliardi sono stati sprecati negli
ultimi anni a causa dei pacchetti di salvataggio delle banche, dei test PCR
(per il Covid, NdR), delle losche attività del cancelliere di CumEx (frode
fiscale, NdR), ancora in carica che sembra però soffrire di amnesia, delle
fughe fiscali legittimate dallo Stato. A detta di queste persone onorevoli,
ognuno di questi incarichi è solo un multiplo della presunta “frode sociale”-,
ma i miliardi svaniti sono uno schiaffo per chi si vede costretto a lottare per
ogni singolo centesimo.
Quante sono le persone stanno che scontando “pene detentive sostitutive”,
solo perché non possono permettersi i biglietti del trasporto pubblico (per non
parlare poi delle multe)? Uno studio recente condotto dalla Fondazione Hans
Böckler a sostegno dei sindacati, ha mostrato che la fiducia dei cittadini
nella politica e nei partiti politici sta diminuendo a pari passo con il
reddito, ovvero le persone povere non credono più nella politica. Se poi si
analizza il fattore della felicità all’interno della società (indipendentemente
dalla propria opinione su questi studi), il risultato non stupisce. È in linea
con le aspettative: un senso di comunità (a sua volta legato all’uguaglianza
relativa) è presente laddove il divario tra ricchi e poveri è minore, ovvero,
la comunità e l’unione sono più che possibili senza bisogno di calcio e di
nazionalismo. Tuttavia, finché l’esistenza di milioni di persone è a rischio,
queste persone devono condurre una lotta quotidiana per la sopravvivenza e
vengono perfino accusate di frode. Non c’è da stupirsi se continueranno ad
allontanarsi, e probabilmente lo faranno prendendo la direzione sbagliata.
Traduzione dal tedesco di Maria Sartori. Revisione di Thomas Schmid.
https://www.pressenza.com/it/2024/02/istruzioni-per-il-fascismo-in-15-passi-parte-1-di-3/
Istruzioni per il fascismo in 15 passi (parte 2 di 3)
Il fascismo non è una catastrofe naturale, ma si sviluppa in base a delle condizioni storiche specifiche che possono variare a livello nazionale e regionale.
Pubblichiamo su Pressenza in tre parti
questo interessante articolo. Ecco la seconda parte di 3:
Rendere i ricchi ancora più ricchi
Ai super-ricchi deve essere dato maggior potere e la pressione fiscale
ridistribuita dall’alto verso il basso.
Fino a poco tempo fa, il notevole incremento della ricchezza in mano ad
alcune minoranze non era un argomento trattato dai media a livello mondiale.
Ora che se ne parla è essenzialmente da ricondursi alla sensibilizzazione al
problema del clima, infatti, è proprio quell’1% più ricco dell’umanità che
produce più del doppio delle emissioni di CO2 in circolo rispetto alla metà più
povera dell’umanità nel suo insieme. Tuttavia, anche all’interno dell’1% più
ricco c’è un’altra élite, e si tratta di 30.000 persone – il doppio rispetto a
20 anni fa – che possiedono un patrimonio dal valore di almeno 100 milioni di
dollari a testa, l’equivalente di una persona ogni 300.000 nel mondo.
Queste persone rappresentano un mercato a sé stante. Solo per loro vengono
costruiti in media 1.000 superyacht all’anno, dei quali i più grandi richiedono
in media 2.000 litri di carburante all’ora, tradotto significa 1,5 milioni di
dollari per ogni singolo pieno. Non c’è da stupirsi se i top miliardari causano
tante emissioni di gas serra pro-capite quanto una città di mezzo milione di
persone: ne bastano 125 di loro da soli per produrre la quantità di emissioni
di gas serra pari a quelle della Francia. Tuttavia, il clima non è uno dei temi
cruciali dei partiti di destra e della loro fanteria, ma non è difficile
scoprire per chi lavorano e nell’interesse di chi vengono peggiorate le
condizioni di lavoro, ridotti i sussidi sociali e scatenate le guerre.
Al di là della questione climatica, anche i politici che volano ai
matrimoni a bordo di jet privati fanno un certo effetto agli elettori,
suscitando un’immagine molto evocativa della politica: chi sta in alto,
semplicemente, vive in un’altra realtà, messaggio al quale se ne aggiunge un
altro con il classico paradigma della destra, ovvero chi è al vertice ha il
potere di fare quello che vuole. Ciò che vi è di tragico in tutto questo è che,
dietro a questa constatazione, si cela una buona parte della verità. Un
esempio? Si veda il successo del referendum di Berlino sull’esproprio del
gruppo immobiliare “Deutsche Wohnen” nel 2021 – completamente ignorato dal
Senato, una delusione. Le destre non hanno intenzione di cambiare qualcosa, non
comprendono il concetto di lotta di classe se non all’interno del razzismo, per
non parlare delle proposte per una politica fiscale dell’AfD (Alternative für
Deutschland è un partito politico tedesco di estrema destra, NdR). Tuttavia,
dal suo canto, la sinistra extraparlamentare dovrebbe invece impegnarsi a
denunciare la sfrenata ricchezza, mostrando quali sarebbero le alternative
applicabili, non solo in termini di politica fiscale. Ma esiste ancora la
sinistra?
Isolare le persone
Le persone devono essere sradicate e persuase che riusciranno a condurre
una bella vita solo se si impegneranno abbastanza
Il fulcro dell’ideologia neoliberista, una forma del capitalismo che ha
dominato la politica dei paesi industrializzati per circa quattro decenni,
risiede proprio nell’isolamento delle persone. Questo avviene grazie alla
divisione e all’isolamento delle persone, Una volta fatto questo, risulta più
facile mettere gli uni contro gli altri e governarle. Non è un caso che il
Cile, governato per decenni da una dittatura militare di destra, è stato il paese
modello del neoliberismo. Con la strategia del divide et impera, le
persone possono interiorizzare perfettamente il principio della competizione
che viene presentato come “unica soluzione”, arrivando ad accettare le pratiche
più crude di “auto-miglioramento”, solo per rimanere competitivi quanto basta
rispetto agli altri. Questo rende il neoliberismo un’ideologia profondamente
antisociale e anticomunitaria.
Una volta che le persone sono state condizionate, sono disposte ad
accettare ogni tipo di ingiustizia come “autoinflitta”. Persino le malattie
sono considerate ormai “autoinflitte” (le persone non si sono semplicemente
comportate in modo abbastanza ragionevole), anche se la recente pandemia ha
dimostrato chiaramente che le persone non sono tutte uguali di fronte al virus,
non tutti hanno le stesse possibilità di proteggersi nel quotidiano.
Tuttavia, l’ideologia neoliberista sembra essersi dimostrata abbastanza
forte per assorbire tali contraddizioni. Di fatto, questa ideologia non solo è
sopravvissuta alla politica pandemica, anche quando sembrava raggiungere il
punto di rottura con la sua dottrina. È riuscita persino a convincere che le
famose “terapie d’urto” adottate per le popolazioni, come lo sradicamento
socio-economico, la crisi, la disoccupazione ecc. fossero l’unica strada
possibile da percorrere, come durante i processi di trasformazione nell’Europa
dell’Est o nel contesto delle politiche del FMI e della Banca Mondiale. È
riuscita anche a fare dimenticare le conseguenze scaturite da tali scelte. In
fatto di guerre e guerre civili, ad esempio, la situazione della Russia prima
dell’invasione dell’Ucraina, è anche il risultato di questa sorta di “terapia”,
a tal punto che non ci si è nemmeno posti il problema di un possibile
nesso.
Questi sconvolgimenti, spesso spacciati quasi cinicamente per “riforme
sociali”, hanno portato a loro volta a processi di isolamenti su ampia scala.
La ricetta di cura proposta ancora una volta è stata la competizione di tutti
contro tutti: niente comunità, solo competizione, perché l’individuo è solo,
non può più fidarsi delle “vecchie forze”. La promessa di felicità del
neoliberalismo è una promessa esclusiva per alcuni individui. La dolce vita non
è per tutti, per quanto ci si sforzi, spesso è semplicemente impossibile.
Il neoliberismo non fa altro che rafforzare le destre. Se alle persone si
offre una medicina sotto forma di promessa futura di aiuto che sarà efficace
solo quando i rifugiati saranno espatriati e le minacce saranno scongiurate,
questa proposta purtroppo verrà abbracciata sempre più spesso. Non è una fine
inevitabile, ma abbastanza scontata in assenza di alternative, in presenza di
una semi-alfabetizzazione diffusa (nella migliore delle ipotesi), di sentimenti
isterici, di campagne di paura e di ritorno del nazionalismo e del militarismo
in ambienti (un tempo) di sinistra.
Digitalizzare le persone
I social media devono creare un’illusione sociale e alimentare così
un’intera rete di messaggi di odio.
La società digitale è l’altra faccia dell’isolamento e dell’emarginazione.
La collettività in senso stretto ha da tempo ceduto il posto all’onnipresenza
del principio di competizione, creando una lacuna che è stata rimpiazzata da un
surrogato della società: la connessione virtuale. Quest’ultima, purtroppo al posto
di colmare il vuoto, non ha fatto altro che approfondire la solitudine anziché
che eliminarla. Infatti, grazie alla rete abbiamo migliaia di relazioni nel
mondo virtuale, e le persone non hanno nemmeno bisogno uscire di casa per
instaurare delle amicizie. Tuttavia, l’isolamento, impossibile da
controbilanciare con un numero qualsiasi di “amicizie” nel mondo virtuale, ha
prodotto in risposta un forte desiderio di contatto, gli occhi costantemente
fissi sullo smartphone alla ricerca degli ultimi post su WhatsApp. Una
dipendenza data dal brivido dei continui bombardamenti mediatici, e la
conseguente creazione di un forte bisogno di attenzione attraverso il tono dei
commenti via via sempre più aggressivo. Ci deve essere sempre qualcosa su cui
esprimersi, farsi sentire.
Ma il flusso delle “notizie” è travolgente. Non riuscire a imporsi un
limite in significa non riuscire a calmarsi, perdere i sensi, correre con il
branco, essere in uno stato di eccitabilità permanente. Si tratta proprio della
volontà di fondersi con il branco, essere un tutt’uno per non sentirsi soli,
per avere qualcosa in comune da “condividere” con gli altri anche all’interno
di una pseudo-comunità dell’odio. La psicoanalisi sa che il vuoto interiore
degli individui spersonalizzati genera paura, una paura che si muta in rabbia,
inizialmente diretta contro sé stessi, e poi diventa aggressività e odio. La
promessa di una comunità virtuale, con il contemporaneo rifiuto dell'”altro”,
la suscettibilità di fronte a semplici e brevi “verità, l’insorgenza
dell’isteria al dialogo, l’aggressività latente, sono tutti elementi
appartenenti agli stati d’animo tipicamente fascisti.
I social media essendo in realtà tutt’altro che social, ovvero propriamente
asociali, generano nelle persone comportamenti corrispondenti, che però non
vanno intesi come “danno collaterale”. Non è certo colpa della tecnologia in
sé, ma dell’uso che ne fanno le persone. D’altronde chi ha introdotto questa
tecnologia nel mercato, l’ha fatto proprio con questo intento: l’individuo a-sociale
sviluppa uno stato di ebbrezza derivante dal consumo di questi social media, ed
è ciò che le aziende tecnologiche vogliono, anzi, ne hanno bisogno per trarre i
propri profitti.
Oltre alle conseguenze socio-psicologiche di una società digitalizzata e isolata,
la destra è stata estremamente abile nell’utilizzare le reti asociali per
diffondere le loro idee ed ideologie, proprio perché questi mezzi di
comunicazione sono l’ideale, anche se il mondo non può essere di certo spiegato
in 140 o 280 caratteri, ma in un tweet sì. I media anti-sociali sono diventati
per eccellenza dei mezzi di semplificazione, in grado di sminuire e fare leva
sulle emozioni umane, fomentando al contempo l’agitazione, come se fossero
stati inventati apposta per seminare odio. I media perfetti per la destra.
Elevare la salute a valore assoluto
È necessario instaurare un regime sanitario autoritario assieme a degli
standard di politica sanitaria e portare i singoli all’isolamento e
all’emarginazione.
La salute è stata al centro della politica, specie negli ultimi anni,
quando è diventata addirittura un cavallo di battaglia. Tuttavia, il sistema
sanitario stesso è stato consegnato al mercato privato, cioè al capitale.
Questo dimostra che la salute non corrisponde più al suo senso letterale, bensì
ad un’ideologia precisa. La pandemia di coronavirus ha imposto un regime
sanitario autoritario, dove un rigido principio moralista di gruppo si è
imposto sull’autodeterminazione individuale, accusando quest’ultima di essere
una concezione eccessivamente individualista- e quindi “egoista” – della
libertà. Le azioni moralizzanti e repressive di questa politica sanitaria sono
state applicate sia nella società che nella vita privata, un comportamento
tutt’altro che umano, perfino anti-illuminista.
Altrettanto grave si è rivelato l’atteggiamento di coloro che hanno aderito
ai “nuovi comandamenti”, e si sono eretti a nuovi “superiori”, specialmente
durante le campagne di vaccinazione, quando i sostenitori della vaccinazione
anti-coronavirus hanno accolto gli scettici con disprezzo e cattiveria,
sostenendo così l’esclusione sociale, dando persino luogo a fantasie di
sterminio (compresi i paragoni con i parassiti come nel nazionalsocialismo). A
prescindere dalle pandemie, oggigiorno stiamo assistendo all’affermazione di
una concezione sempre più autoritaria della salute che include ad esempio,
anche la discriminazione delle persone in sovrappeso, – senza considerare che
un’alimentazione sana dipende dal fattore economico e non è alla portata di
tutti. In questo modo la sanità non fa altro che alimentare i pregiudizi sugli
strati sociali più poveri, assieme ad altri (presunti) comportamenti
considerati “irragionevoli”.
Non si è nemmeno parlato delle persone che non sono in grado di creare
condizioni di lavoro sane per sé stesse, o di persone per le quali lo “stare a
casa” è stata vissuta come una punizione draconiana nei quartieri residenziali.
Questo non significa necessariamente che si debba votare per un partito di
estrema destra come l’AfD, ma l’etichettatura peggiorativa e l’esclusione hanno
spesso spinto molte persone a passare alla destra, ovvero i nuovi manifestanti
scesi in piazza, persone non inquadrate in alcuna ideologia, che non volevano
semplicemente condannare la propria nonna alla morte in una casa di riposo o
che erano preoccupate per le proprie condizioni precarie, e quindi per la
propria sopravvivenza.
Gerarchizzare le persone e sminuirle
Le persone devono essere suddivise in base alle “razze”, in persone degne
di protezione e in persone considerate “superflue”, generando così pregiudizi e
sentimenti di superiorità.
Nel suo magnifico libro “African Europeans – An Untold Story”, Olivette
Otele racconta la storia del continente africano da un nuovo punto di vista e
allo stesso tempo sottolinea il grande contributo africano alla storia europea,
un fatto che dovrebbe far riflettere. Nella storia coloniale, e in generale in
tutta la storiografia fino al XX secolo, era molto diffuso il concetto secondo
cui le persone di origine “straniera” non erano percepite come esseri umani e
certamente non come uguali. L’altra faccia della schiavitù è stata
l’esotizzazione, ovvero l’esposizione delle persone in zoo umani. La
gerarchizzazione, la discriminazione e la svalutazione di gruppi di persone nel
colonialismo, e la creazione di una “razza dominante” (per tutto il periodo
coloniale le donne sono state considerate come oggetti quindi come vere
colonie), hanno costituito la base dei movimenti fascisti che si sono
sviluppati in seguito. Il rapporto tra colonialismo e razzismo nel passato e
nel presente è un tema che meriterebbe di essere approfondito dall’educazione,
se fosse ancora degna di questo nome.
Movimenti fascisti come il Ku Klux Klan e altre organizzazioni di stampo
razzista simili, che considerano la subordinazione, persino la schiavitù come
un diritto “naturale”, sono tuttora attivi nelle loro iniziative omicide. La
disuguaglianza così come l’intendiamo continua ad essere applicata anche ai
giorni nostri, a volte non viene nemmeno più notata, è stata interiorizzata.
Nell’estate del 2023, due eventi quasi simultanei hanno rivelato
all’opinione pubblica quali vite umane contano e quali no. Il primo evento ha
riguardato la morte di un centinaio di rifugiati durante il naufragio al largo
di Pylos a bordo del peschereccio “Adriana”. Secondo un’inchiesta della rivista
“Monitor”, le misure necessarie per il salvataggio in mare sarebbero state
deliberatamente ignorate. Le morti nel Mediterraneo, la frontiera più mortale
del mondo, fanno ormai parte di una tragedia che dura anni eppure, c’è ancora
chi sostiene che le operazioni di salvataggio porterebbero ad un aumento dei
rifugiati, quando questa teoria è stata da tempo smentita.
L’altro evento ha riguardato un sommergibile che è affondato mentre si
dirigeva verso il relitto del Titanic. A bordo vi era un manipolo di persone
estremamente ricche e di spicco, probabilmente alla ricerca del brivido
dell’avventura, non di certo alla disperata ricerca di condizioni di vita
migliori. Insomma, due tragedie agli antipodi. Tuttavia, secondo quanto
trasmesso dai media, la morte di qualche centinaio di rifugiati extraeuropei,
causata in parte dalla mancata assistenza da parte di uno Stato europeo, si è
rivelata molto meno grave della morte di qualche membro “bianco” delle élite
dell’Occidente, un messaggio molto chiaro che non può che andare a favore dei
movimenti fascisti.
Ecco il link alla prima parte. La terza (e ultima) parte verrà
pubblicata prossimamente su Pressenza.
Di Gerald Grüneklee
Traduzione dal tedesco di Maria Sartori. Revisione di Thomas Schmid.
https://www.pressenza.com/it/2024/02/istruzioni-per-il-fascismo-in-15-passi-parte-2-di-3/
Istruzioni per il fascismo in 15 passi
(parte 3 di 3)
Il fascismo non è una catastrofe naturale, ma si sviluppa
in base a delle condizioni storiche specifiche che possono variare a livello
nazionale e regionale.
Pubblichiamo su Pressenza in tre parti
questo interessante articolo. Ecco la terza e ultima parte:
Giocare con l’identità
L’identità deve trasformarsi da strumento di possibile
emancipazione in un’arma di potere, emarginazione e segregazione.
Secondo Heiner Keupp, l’identità è “un atto di costruzione
sociale”, dove la propria persona o un’altra persona sono legate da una serie
di significati interconnessi. La questione dell’identità ha una dimensione
universale e culturale specifica e riguarda sempre la creazione di una
corrispondenza tra il “dentro” soggettivo e il “fuori” sociale, ovvero un modo
di collocarsi socialmente e individualmente nel mondo.
La necessità di costruire un’identità individuale deriva
dalla necessità fondamentale di farsi riconoscere e di appartenere ad una
categoria sociale. Ciò implica già alla sua base una separazione nella
contrapposizione tra l’”io” e il “noi” (appartenenza) e “l’altro” (non
appartenenza), che necessita di essere categorizzato nella distinzione
dall’altro. Questo aspetto diventa più chiaro con la politica dell’identità
sovraindividuale, ovvero, posso definirmi “uomo”, ad esempio, solo nella
consapevolezza di essere, presumibilmente, diverso da una “donna” per una serie
di caratteristiche o di aspetti. Tuttavia, quando sono presenti l’esclusione e
persino l’emarginazione (spesso quando il senso di identità è fragile) sono
sempre riconducibili alla questione dell’identità, ovvero una tematica
sensibile ai movimenti populisti che costruiscono la propria gerarchia e
politica proprio sulle differenze.
A prescindere da questo problema fondamentale, spesso in
passato chiarire ed enfatizzare l’identità nei movimenti di sinistra è servito
inizialmente come strumento di emancipazione – definirsi “nero”, “donna”,
“gay”/”lesbica”, “storpio” (sì, è esistito perfino il movimento degli storpi).
Era anche un atto di auto-emancipazione e di incoraggiamento per “deboli”
contro i “forti” – per il proprio status sociale, legale o economico. Questa
identificazione però comporta anche delle difficoltà, ovvero se una persona non
si limita a identificarsi solo come dipendente, quindi si definisce anche in
base alla categoria sessuale, di genere, religiosa, eccetera, allora il peso
dell’appartenenza di classe scompare e, invece di riconoscere interessi comuni,
si crea un mix individuale, che a sua volta si armonizza perfettamente con
l’egemonia neoliberale dell’individualismo.
Tuttavia, non solo questo elemento di emancipazione è in
gran parte scomparso, ma ha ceduto il posto ad un’altra questione che riguarda
la cosiddetta tendenza all’autosacrificio, facendo emergere così un ulteriore
problema: se un gruppo di persone si definisce non solo attivo sulla via
dell’emancipazione, ma si sente anche “vittima” delle circostanze, può sentirsi
in diritto- non da ultimo attraverso delle deviazioni morali – di richiedere
l’uso del potere per la sua affermazione. La situazione si complica quando
diversi membri appartenenti a dei gruppi di queste “vittime” si ritrovano ad
essere in competizione tra loro. Se da un lato, tutto ciò porta all’instaurarsi
di strane situazioni contradditorie- ad esempio, quando dei partiti
apparentemente di sinistra tedeschi etnici vietano l’ingresso in una struttura privata
ad una persona che porta i dreadlocks, perché questi vengono interpretati come
un’ “appropriazione culturale”, mettendo in dubbio la propria comprensione del
concetto di antirazzismo – dall’altro porta anche a lotte di potere,
comportamenti autoritari ed esclusione.
Essendo un argomento troppo complesso per essere riassunto
in poche righe ci limiteremo a far notare quanto segue: 1. da una parte,
la politica identitaria porta ad assumere posizioni difensive nei confronti
degli “altri”, e dall’altro ad avere idee preconcette delle rispettive
caratteristiche identitarie; 2. La politica dell’identità è sinonimo di una
segregazione astorica delle persone, vedasi per esempio il concetto di
“appropriazione culturale”, eppure la storia dell’umanità è inconcepibile senza
la mescolanza culturale; 3. L’emarginazione e l’esclusione autoritaria, con il
suo relativo sentimento di “vittimismo”, e le presunte identità “puriste”
finiscono per fare il gioco della destra, per la quale la mescolanza culturale
è sempre stata un abominio, vedendosi vittime dei “verdi di sinistra”.
Condurre le guerre
La società deve essere abituata alle guerre tramite il
continuo riarmo psicologico e mentale e l’accettazione dell’elemento militare.
La guerra è sempre stata di classe, una guerra dei
governanti contro i governati, questo lo sapevano anche i vecchi socialisti.
Tutte le guerre degli ultimi 250 anni, fin dall’istituzione della nazione, si
sono basate su interessi geopolitici nazionali, o perlomeno su lotte di potere
etniche/sociali/religiose di stampo nazionalistico. Ci sono due modi per i
cittadini di pagare il conto. Da un lato, i belligeranti anziché affrontarsi
direttamente, ad esempio battendosi in un duello, mandano in campo i loro
sudditi a pagare queste lotte di potere con la propria vita. L’unica risposta
logica sarebbe quella di disertare in massa, ad esempio nel caso della guerra
in Ucraina, anche se in realtà sta già accadendo da entrambe le parti, ma c’è
ancora troppo materiale bellico, ergo tanta carne da macello a disposizione.
Dall’altro lato, il costo della guerra non viene pagato dai conti privati dei
leader, ma viene scaricato sulla popolazione, che si vede condannata a pagarne
le spese per gli anni a venire, spesso con enormi difficoltà, naturalmente
senza che le sia nemmeno stata data la possibilità di opporsi in anticipo.
Certo, è facile esprimersi contrari alla guerra, quando
esiste ancora un ampio ventaglio di opzioni per la difesa sociale e non
militare anche in caso di una guerra di aggressione, eppure, in un arco di
tempo relativamente molto breve, la società tedesca è riuscita a militarizzarsi
in una misura che prima non era lontanamente pensabile. Il ricordo delle
soluzioni civili è stato annientato da un cieco nazionalismo di guerra. Il
fatto di sventolare una bandiera (ad esempio giallo-blu) si è trasformato in
una questione politica a livello statale, e chiunque osi criticare la politica
di guerra viene perseguitato dai media, minacciato di sospensione professionale
oppure, come è stato fatto all’epoca del coronavirus, viene spinto nell’angolo
della destra.
Allo stesso tempo, è in corso una guerra interna, o meglio,
una guerra di propaganda e di manipolazione mentale, dove a tutti viene
richiesto di assumere una posizione, ovviamente schierandosi dall’unica parte
giusta come prescritto dal governo. In sintesi una sorta di obbligo a
confessarsi, se non si vuole rischiare di rimanere vittima di gravi svantaggi
sociali ed economici, un punto che offre alla destra la possibilità di trarne
un doppio vantaggio (forse dovremmo quasi rallegrarci che non ci sia ancora un
consenso tra i sostenitori di destra su questo tema). Tuttavia, come ci ricorda
Klaus Theweleit nella sua brillante opera “Männerphantasien” (fantasie
di uomini), un soldato condizionato rimane di fatto il prototipo dell’uomo
fascista.
Da un punto di vista storico, l’esercito è sempre
appartenuto alla destra, compreso l’eroismo e i toni nazionalisti e aggressivi
che sentiamo oggi anche negli ambienti dei verdi e della sinistra. Alcuni
partiti di destra sembrano farci dimenticare tutto questo, proponendosi come
l’unico vero movimento per la pace, nel tentativo di penetrare il vuoto dei
movimenti della sinistra.
Limitare l’accesso
all’istruzione
Portare avanti una politica educativa che, nella migliore delle
ipotesi, è un’educazione a metà basata sulla selezione.
Oggigiorno l’istruzione ha assunto il significato di
form-azione, cioè un’istruzione subordinata e ridotta al fine di rendersi
successivamente fruibile, quindi lontana da un ideale educativo globale come
quello sostenuto da Wilhelm von Humboldt. Tuttavia, l’educazione di oggi non è
solo una mera riduzione della stessa, ma si basa su idee normative, ovvero
tutti devono imparare le stesse cose nello stesso modo e nello stesso tempo. Si
basa anche su un principio selettivo di competizione, sia tra gli studenti che
tra le istituzioni educative, in cui non tutti godono delle stesse opportunità.
Il principio di economia ha preso il sopravvento anche
nell’istruzione e pretende che si debba imparare sempre di più, ma in poco
tempo, eccezion fatta per l’apprendimento in sé o anche per l’assimilazione
autonoma di determinate aree di conoscenza. L’apprendimento bulimico, ossia
studiare per un esame e poi dimenticarsi di tutto appena dopo, è diventato la
norma. I contenuti dell’apprendimento vengono separati in modo arbitrario l’uno
dall’altro, dove l’importante diventa solo ciò che è “redditizio”. Ecco perché
le lingue e le scienze naturali occupano più spazio a discapito di materie come
la filosofia, l’etica, le scienze sociali o, ad esempio, le competenze
mediatiche: non c’è tempo per la contestualizzazione dell’apprendimento, né
tanto meno per la sua messa in discussione.
I progetti di educazione civica e degli adulti, così come
di un’educazione all’emancipazione in generale, vengono sempre più ridotti,
soprattutto in tempi di populismo dilagante. Educare ormai significa
sottomettersi ai principi e alle condizioni di un sistema gerarchico basato
sulla competizione. Non sorprende, quindi, che le poche persone mature, dotate
di spirito critico, interessate all’istruzione e orientate al bene comune
escano da questo sistema, poiché grazie all’educazione all’arbitrio, al
conformismo, all’obbedienza, autorità, emarginazione, isolamento, ed egoismo
viene preparato il terreno ideale per l’inseminazione del fascismo.
La sinistra deve
rinunciare a sé stessa
I movimenti di sinistra devono essere indeboliti e
criminalizzati, sempre ammesso che non abbiano già rinunciato alla propria
esistenza.
Questo aspetto lo abbiamo vissuto in primis negli anni del
coronavirus, quando la sinistra ha abiurato a sé stessa come movimento sociale,
progressista e voce critica nei confronti dello Stato. Eppure non era un
segreto che la sinistra fosse un malato cronico da tempo, ma ora ha ricevuto il
suo colpo di grazia: un’uscita totale su tutta la linea, dalla sinistra
parlamentare ai movimenti Antifa e autonomi, e non si è nemmeno resa necessaria
la pressione da parte dello Stato come in passato, quando gli Stati non si
sottraevano all’omicidio politico. La gente è stata fatta tacere e si è
scagliata contro lo Stato come se non ci fosse un domani.
Ben pochi si sono salvati da questa estinzione e sono da
considerarsi l’eccezione alla regola. Chiunque non abbia indossato una
mascherina durante la pandemia di coronavirus è stato privato di ogni
solidarietà, e la sinistra ha trasformato la solidarietà in un arsenale di
minacce usandola per liberarsi della propria eredità. Il risultato è stata la
scomparsa di qualsiasi rimedio per le persone ancora alla ricerca di
alternative per il diritto al lavoro, alla salute e all’autodeterminazione
informativa, di fronte al dilagare delle disuguaglianze sociali, della
precarietà e dell’impoverimento.
Servizi di interesse generale, sostenibilità per le
generazioni future, sicurezza alimentare, pensioni garantite,
approvvigionamento idrico globale, abitazioni a prezzi accessibili, tutto
questo e molto altro è stato sacrificato in nome del capitale in sfrenati atti
di privatizzazione, coordinati dallo stesso Stato, che ancora a molti
sostenitori di sinistra appare come “salvatore”. Il tenore di vita delle
persone peggiora inesorabilmente ogni giorno, per molti si tratta di mera
sopravvivenza, per non parlare poi del problema climatico.
“There Is No Alternative”: questo è stato il mantra del
neoliberismo. Un tempo, la sinistra lo attaccava in diversi incontri
internazionali di spicco intraprendendo azioni concrete che comprendevano una
grande varietà di approcci e progetti, oggi invece questo mantra sembra aver
preso il sopravvento sulla realtà: non c’è alcuna alternativa, da nessuna
parte, è come cercare un ago in un pagliaio, tranne che nell’estrema destra.
Insomma, una pseudo-alternativa, tuttavia non trascurabile. È strano pensare
che ci sono persone che si sentono dimenticate, non più rappresentate, non più
riconosciute (o se sì solo in modo negativo e dispregiativo), o non più
ascoltate. Sarebbe facile incolparle di aver preso la direzione sbagliata,
oppure potremo semplicemente iniziare a riflettere su noi stessi e sulle nostre
mancanze.
Fare la corte alla
destra
La destra è innocua, e bisogna cercare di avvicinarsi alle
sue tematiche.
Non possiamo negarlo, alla destra è stata data molta
importanza storica. I sondaggi dell’opinione pubblica, in particolare prima
delle elezioni, vengono arricchiti di elementi tipicamente manipolatori e di
conseguenza influenzano facilmente le decisioni dei singoli elettori. Maggiore
è il clamore creato dai media su un “successo sorprendente”, più alti sono i punti
nelle percentuali dei sondaggi successivi. Secondo il motto: se un partito ha
successo, le sue proposto non saranno tanto sbagliate. Allora ci si chiede,
perché mai un partito di estrema destra come l’AfD gode di tanta visibilità
mediatica, fino al punto di far intervistare e invitare i suoi leader
costantemente ai talk show? Ah, certo, i mass media.
Il fascismo in fondo non è poi così male, almeno questo è
il messaggio che i mass media tedeschi lasciano trasparire sulle politiche del
capo del governo italiano di ultradestra Meloni, un fan dichiarata di
Mussolini.
Certamente, i media giocano la loro parte nella
polarizzazione della società, rappresentano la “quarta potenza”. I media sono
perfino riusciti a incitare all’odio laddove la destra non era ancora arrivata,
ad esempio, con la campagna di odio contro i presunti “irresponsabili” ai tempi
del coronavirus, ovvero le persone non vaccinate. Insomma, i mass media sono
riuscitati a scovare “complottisti“ dappertutto, attribuendo a questi
ultimi un’accezione simile a quella della pericolosa rete cospirativa dei
QAnon, e infine sono riusciti a etichettare tutte le persone contrarie
alla guerra come “sostenitori di Putin” o come persone stupide che si lasciano
ammaliare dai “demagoghi del Cremlino”.
Nel 2022 è stato perfino accolto in larga scala il rapporto
dell’Ufficio federale della polizia criminale sui reati di stampo politico
senza che questo venisse dibattuto. Tra i principali movimenti responsabili
sono stati già inquadrati quelli dei “Reichsbürger” (ovvero dei cittadini del
Reich, quindi di estrema destra) e degli attivisti del clima: se bloccare una
strada è paragonabile ad un omicidio per razzismo, allora la destra ha già
vinto metà partita. È sconvolgente osservare che quasi tutti i partiti facciano
a gara con le destre, eppure finiscono per rimanere sempre indietro. Qualcosa
di simile era già successo con il tema scottante del gender e ora la stessa
questione si sta ripetendo con la politica sui rifugiati. Eppure vista la
tendenza che si sta già delineando per i prossimi anni, mi chiedo se la destra
ovvierà alla carenza di manodopera qualificata sfornando il pane al mattino
prima di partire per la campagna elettorale, o magari prima di iniziare il
turno di notte all’ospedale o alla casa dei vigili del fuoco.
Vi risparmierò di citare le dichiarazioni dei politici di
CDU, CSU, FDP, SPD e dei Verdi, che sembrano fare a gara in termini di
stupidità e di ignoranza quando affrontano il tema dei rifugiati, dimostrando
così che l’imbarbarimento non è di proprietà esclusiva dell’AfD. Tuttavia, è
palese che le persone con idee di destra non possano allontanarsi dai partiti
di destra, se si contrappongono argomentazioni altrettanto di destra (e
certamente non limitando l’influenza della destra). Dopotutto, le persone
preferiscono votare le idee più originali, come accadde sempre in Germania dopo
la modifica della legge sui richiedenti asilo del 1993. Fu un successo per la
destra che figurò anche nei risultati elettorali. Eppure sarebbe tutto molto
più semplice, se si potesse costringere i partiti ad affrontare attivamente i
temi più importanti come la sicurezza e la giustizia sociale, il bene comune,
la salvaguardia del clima.
Combattere il fascismo,
sradicando l’obbedienza
Gli ultimi sviluppi dal 2020 sembrano un manuale di
istruzioni per l’instaurazione di successo del fascismo in una democrazia, che
sembra aver esaurito le ultime riserve da mobilitare contro.
L’intento del mio scritto è quello di dimostrare come in
realtà sarebbe facile combattere il fascismo, se volessimo seriamente
“preservare la nostra democrazia”, come spesso invocano i politici. Tanto per
cominciare, basterebbe applicare effettivamente la Legge fondamentale e le
convenzioni internazionali sui diritti umani, per esempio, e questo lo sanno tutti
coloro che invocano regolarmente una “rivolta perbenista” per distrarre le
masse dalla necessità di un vero cambiamento. Per combattere il fascismo,
basterebbe astenersi o smettere di fare ciò che viene descritto in queste
istruzioni per l’instaurazione del fascismo.
Coloro che si limitano a condannare in modo eloquente il
“fascismo” nei media (o che insultano gli elettori dell’AfD) non sono affatto
intenzionati a combatterlo, perché traggono il proprio vantaggio dalle
condizioni sociali che danno origine al fascismo stesso. Nella maggioranza dei
casi questi cosiddetti antifascisti di nome non vogliono l’estensione su vasta
scala del fascismo, almeno non ancora, non così apertamente, perché potrebbe
comportare la perdita dei propri interessi, o perché ne andrebbe della
reputazione della Germania nel mondo o per altri motivi altrettanto nobili.
Questo testo non vuole banalizzare la destra e i suoi
elettori, al contrario. L’AfD è un partito profondamente razzista e i sondaggi
mostrano la costante crescita dell’adesione da parte delle persone alla visione
di un mondo razzista. In breve: i razzist* sono soliti votare per i razzist* (e
si spera si infastidiscano per la scrittura inclusiva). Come hanno prontamente
sottolineato Theodor W. Adorno e altri esponenti della teoria critica (Scuola
di Francoforte), anche il carattere autoritario influisce sulla disposizione e
rende le persone molto più sensibili alle idee fasciste. È terribile pensare
che l’autoritarismo si sia rafforzato grazie alle strategie di promozione del
fascismo qui descritte, quando sarebbe invece stato utile “sradicare
l’obbedienza” (Peter Brückner).
Di fronte a un brusco aumento di persone con modi di
pensare emarginanti, razzisti e fascisti, è troppo riduttivo concentrarsi su un
solo partito di destra, ed è altrettanto grave abbandonare interi gruppi di
persone, spingendoli così ancora di più tra le braccia della destra. Eppure, il
successo della destra – una vera tragedia – è dovuto in particolare alle
conseguenze scaturite dalle condizioni create dagli altri partiti e da una
parte della “società civile”: è il risultato della mancata volontà o
dell’incapacità di contrapporre a questa situazione un’alternativa attraente,
anche perché le forze politiche che avrebbero potuto reagire in altri momenti
hanno commesso un suicidio politico collettivo.
L’ambiente della destra viene studiato come una specie
animale aliena, tramite una lente di ingrandimento sociologica-etnologica, e ci
si interroga ancora, dall’alto della poltrona universitaria, sull’incapacità
della destra di immaginare un futuro, figuriamoci di pensare in modo non
distopico. Ma come si fa, di grazia, a pensare in modo diverso da quello
distopico, viste le condizioni attuali? Non è forse un’utopia? Dal suo canto,
il mondo accademico dimostra con queste osservazioni una mancanza di
comprensione e, che gli “illuminati” spesso non sono così poi illuminati.
L’obiettivo di questo testo è proprio quello di dimostrare
che gli esseri umani non sono “intrinsecamente” buoni o cattivi, e nemmeno “homo
homini lupus”, come sostengono le teorie darwiniane politicizzate nel
darwinismo sociale e interpretate in modo altamente selettivo. Il razzismo non
è uno stato naturale e non si nasce razzisti o fascisti. Le persone diventano
buone o cattive in base alle condizioni in cui vivono, e ciò significa che è
possibile rigettarle, poiché una soluzione è sempre possibile, basterebbe
guardare il mondo con occhi diversi.
Il filosofo anarchico, Peter Kropotkin, aveva già
sottolineato il grande potenziale dell’aiuto reciproco anche all’interno di
società apparentemente capitaliste. Oggi esistono nella nostra società molti
movimenti che si adoperano per il bene comun, perché credono in una società
diversa, ma al contempo sono sotto pressione. Se riuscissimo a sradicare
l’obbedienza, potremmo permettere a più persone di pensare fuori dagli schemi,
e di lottare uniti per una società più umana e migliore, una società dove non
ci sarebbe più posto per il fascismo.
Ecco i link alle due puntate precedenti:
Di Gerald Grüneklee
Traduzione dal tedesco di Maria Sartori. Revisione di
Thomas Schmid.
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