mercoledì 21 febbraio 2024

Istruzioni per il fascismo in 15 passi - Gerald Grüneklee

Istruzioni per il fascismo in 15 passi (parte 1 di 3)


Il fascismo non è una catastrofe naturale, ma si sviluppa in base a delle condizioni storiche specifiche che possono variare a livello nazionale e regionale.

Pubblichiamo su Pressenza in tre parti questo interessante articolo. Ecco la prima parte di 3:

Il fascismo è qualcosa che può essere combattuto o invece promosso. In Germania abbiamo assistito dal 2020 fino ad oggi alla comparsa di diversi fenomeni, che elencheremo senza la pretesa di essere esaustivi: (neo-)fascismo, (neo-)nazismo, populismo di destra, xenofobia e discriminazione, razzismo, autoritarismo, patriottismo, nazionalismo, etnocentrismo, sciovinismo, predominio, estremismo di destra e radicalismo di destra (che non sono la stessa cosa). Tuttavia, non siamo qui per dare una definizione per ogni singolo concetto.Ci appare invece interessante notare cosa lega queste ideologie tra loro, poiché alla radice si basano tutte su tre elementi in comune: a) l’immaginario collettivo e le rappresentazioni sociali che vedono contrapporsi il “noi” al “loro”, b) la conseguente gerarchizzazione  che legittima l’oppressione e, c) non da ultimo il potere, la violenza e il disprezzo, sfiorando perfino l’eliminazione fisica di determinati gruppi di individui.

Per quanto queste idee e affermazioni di destra possano apparire surreali e crude, le loro origini non vanno ricercate ai margini della società, bensì proprio al centro di essa. Spesso, per quanto assurdo possa sembrare, sono solo la risposta alle condizioni sociali che affliggono queste persone: sentimenti di impotenza, che si fondono con elementi deliranti e, nei movimenti di destra, con una forte brama di potere. Una combinazione sociale pericolosa che sta nascendo nel cuore di una società di stampo democratico-capitalista e che cresce ogni giorno che passa, alimentando così il fascismo.

Attaccare la dignità

La dignità umana deve essere calpestata, sfruttata e considerata un rischio per la sicurezza dello Stato.

La dignità umana è inviolabile, almeno così recita la legge fondamentale della Germania che illustra cosa sono i diritti, il diritto in sé e i diritti fondamentali. La legge è paziente, ma la sua violazione sembra avere gravi conseguenze solo quando ad essere nel torto è la parte sbagliata, e questa consapevolezza si sta facendo strada negli animi sempre più delusi delle persone che prendono le distanze dai bei discorsi domenicali: persone che si sentono umiliate, schiavizzate, molestate, imprigionate, espropriate dei loro mezzi di sussistenza e derubate nei modi più disparati.

Come disse nel 1894 il Premio Nobel per la letteratura, Anatole France, “La legge, nella sua maestosa uguaglianza, proibisce ai ricchi e ai poveri di dormire sotto i ponti, di chiedere l’elemosina per la strada e di rubare il pane”, se non fosse che alcuni rimangono più uguali degli altri (tratto liberamente da George Orwell: La fattoria degli animali).

Pierre-Joseph Proudhon riassunse questa umiliazione nel modo seguente: “Essere governati significa essere osservati, analizzati, interrogati, incaricati, subordinati, nominati, indottrinati, persuasi, sorvegliati, tassati, messi alla prova, limitati e inviati in giro per il mondo da uomini che non hanno né il diritto, né la conoscenza, né la virtù per farlo. Questo è il potere, questo è il loro diritto e la loro morale” (Proudhon parla di uomini perché all’epoca, nel XIX secolo, non c’erano donne al potere. Non bisogna nascondere che la critica di Proudhon al potere non considerava la questione del genere: era un pronunciato antifemminista). Dopo tutto, nello Stato capitalista le persone sono percepite solo come “capitale umano” e allo stesso tempo come un potenziale rischio per la sicurezza.

Dobbiamo sempre a Proudhon il famoso detto “la proprietà è un furto”, perché ciò che appartiene ad alcuni viene sottratto ed espropriato da altri. In una società nella quale la proprietà privata significa tutto e il bene comune non significa nulla, non ci può essere spazio per la dignità umana, e la destra ha colto da tempo il messaggio, e si adopera di conseguenza, con l’unica differenza che lo fa alla luce del giorno rispetto agli altri partiti: non servono i discorsi della domenica, il disprezzo della destra per la dignità umana è puro disprezzo per l’umanità, verso coloro che non vi appartengono. Ed è qui, nella promessa di un ritorno della dignità rubando in cambio quella degli altri, che risiede la falsa convinzione dei suoi elettori.

Incutere paura

È necessario fomentare la paura per accrescere il consenso alla politica autoritaria e all’idea di uno “Stato forte”.

Come dice il proverbio, la paura è una cattiva consigliera, e infatti è proprio la paura ad assoggettare le persone al potere di altre persone, come scoprì Etienne de La Boetie 500 anni fa.

Il capitalismo stesso fin dai suoi esordi ha da sempre agito sulla società tramite la paura, rendendo le persone più inclini alla collaborazione e facilmente sfruttabili. Infatti, ancora una volta, è stata la paura il mezzo adoperato fin dall’inizio della pandemia di coronavirus, ne è la prova un documento trapelato dal governo tedesco. Quando nel 2020 il numero delle infezioni era sceso dopo settimane, la Cancelliera Merkel ne ha approfittato per gettare nuovamente benzina sul fuoco: “Non dobbiamo abbandonarci a un senso di sicurezza nemmeno per un secondo “. Nemmeno per un secondo, un solo secondo. Ma che cos’è la paura? La paura è un sentimento potente che provoca la paralisi disattivando le sinapsi, è una sorta di lockdown per il corpo che induce il cervello ad arrestarsi, a spegnersi, infatti, non è un caso che Christof Wackernagel l’abbia definito come un virus mortale della psiche.

La gestione della crisi del coronavirus è stata riassunta in maniera precisa e sintetica dal politologo Wolfgang Merkel come “una forma di governo della paura”. In effetti, la paura è da tempo uno strumento collaudato da parte dei governi. Quando funziona, la stragrande maggioranza delle persone è disposta a sopportare senza lamentarsi anche le privazioni più dure, come le case fredde, l’aumento dei prezzi e le tasse speciali, e perfino ad approvare politiche autoritarie, incluse leggi sulla sicurezza molto restrittive che altrimenti una società civile in tempi normali non accetterebbe mai così facilmente. In fondo, “la paura costante è il miglior mezzo di potere”, afferma lo psicoanalista Hans-Joachim Maaz.

Se in passato la paura era intesa come una risorsa “naturale”, frutto dell’evoluzione e strutturalmente limitata, oggi invece è da considerarsi un fenomeno che può essere facilmente indotto e usato consapevolmente. Il problema è che la paura in sé ci protegge dai pericoli reali, ma la sua strumentalizzazione può creare dipendenza dagli altri e non da ultimo, da istituzioni come lo Stato che si vede percepito come un “protettore” del cittadino, ciò che ogni Stato desidera essere in fondo. In intesi, come affermato da Alexander Mitscherlich, siamo di fronte alla manipolazione ideologica della paura. Naturalmente, è una tattica che funziona molto bene in tempi di guerra, basta partire dal presupposto, ad esempio, che “i russi” sono già alle porte, e sono armati fino ai denti, così come “gli arabi”, essendo visti come un “nemico interno”. In un contesto del genere le parole del Ministro della Difesa tedesco Pistorius, secondo cui il Paese deve essere “pronto alla guerra”, cadono già su un terreno fertile e diventano facilmente verità.

Purtroppo i partiti di destra sono sempre stati tra i grandi sostenitori di uno Stato potente e sono stati anche particolarmente abili nel creare paura inscenando situazioni di pericolo con lo scopo di trovare consenso nell’opinione pubblica. Dal 2020 il governo tedesco ha fatto spesso ricorso alle politiche tipicamente di destra e quasi nessuno sembra essersi espresso in disaccordo, segnando un punto a favore della destra che ora può sfregarsi le mani e aizzare la popolazione contro i rifugiati con le campagne contro la sostituzione etnica e sciocchezze simili. Curioso notare come le campagne elettorali dei partiti di destra vengano sempre condotte all’insegna della paura, in particolare per quanto riguarda l’immigrazione, sia in Svizzera che in Italia, in Germania, in Svezia, in Polonia o altrove. Tuttavia, la paura riesce persino a produrre un effetto controproducente nei suoi elettori, ovvero incentivare le persone ad agire contro i loro stessi interessi. Questo spiega in parte perché gli elettori di destra, solitamente appartenenti ad uno strato sociale precario, sono disposti ad accettare l’adozione di politiche ancora più ingiuste, come l’aumento delle tasse per finanziare l’esclusione di certi gruppi deboli come i rifugiati o la difesa da presunti nemici con l’ausilio delle guerre.

Polarizzare l’opinione pubblica

I dibattiti devono essere polarizzati operando una divisione marcata tra “buoni” e “cattivi”, negando ogni possibilità per un dialogo.

Dal 2020 abbiamo assistito ad un’allarmante crescita di una tendenza preesistente di divisione sociale tra vaccinati o non vaccinati, dove il trattamento riservato ai non vaccinati ha assunto durante gli anni del coronavirus dei tratti tipicamente totalitari. Vera Shalev, sopravvissuta all’Olocausto, ci aveva prontamente avvertito che eravamo nel bel mezzo di una evoluzione sociale che avrebbe potuto portare all’instaurazione di un sistema dittatoriale simile a quello del nazionalsocialismo. Bene o male, l’esemplificazione di tale dualismo potrebbe sembrare il frutto di un pensiero infantile (un paragone perfino offensivo per i bambini), ma ahimé questa discriminazione fondata su un programma di vaccinazione è divenuta una dottrina di Stato. Una polarizzazione del pensiero antistorica e antiscientifica simile è stata applicata anche alla guerra in Ucraina, ma quando c’è in ballo la paura, la ragione finisce per venire meno.

È stato definito cattivo chiunque abbia provato a contestualizzare la guerra, compresa la sua storia (senza minimamente giustificare l’attacco di Putin, attenzione, perché è possibile fare entrambe le cose, ossia condannare un’aggressione senza ignorare gli sviluppi degli anni precedenti). Il messaggio veicolato in definitiva è stato quello di schierarsi obbligatoriamente da una parte, prendere una posizione. Tuttavia, quando si parla di vaccinazioni è bene decidersi se essere a favore o contro, non c’è altro modo, non esiste un’altra via di mezzo. Forse ognuno di noi ha le sue buone ragioni personali per decidersi, ma perché mai sarebbe necessario invece schierarsi dalla parte di uno Stato, senza riserve? Nell’attacco di Hamas contro Israele abbiamo assistito ancora una volta al trionfo di questo bi-pensiero infantile di bene e male. Non ci si è lontanamente chiesti come era possibile che uno dei migliori servizi segreti al mondo – quello israeliano – non fosse per niente al corrente dei preparativi dell’attacco, mentre si dice che l’Egitto ne fosse invece a conoscenza. Siamo forse di fronte all’ennesima teoria del complotto?

Il discorso di Robert Habeck (vice cancelliere tedesco, del Partito dei Verdi, NdR) contro l’antisemitismo, invece, è stato applaudito su vasta scala praticamente da tutti i media. Come è breve la memoria… Poco più di un anno fa Habeck ha concluso un accordo per il gas proprio con il Qatar, paese islamista che ospitò i Mondiali di calcio (aveva appena accolto migliaia di lavoratori, morti in seguito per un evento sportivo commerciale), senza dimenticare che il Qatar è uno dei principali finanziatori di Hamas.

Questa ipocrisia della politica dei Verdi viene poi presentata sotto le mentite spoglie di una politica morale, in modo perfino sublime. Alla fine la Ministra degli Esteri Baerbock ha deciso di non limitarsi a “rovinare” la Russia, ma anche di distruggere Hamas. Infatti, ora richiede l’espulsione dei rifugiati “criminali” di origine araba. Ma nel polarizzare la destra li supera tutti, quindi non stupitevi se gli alloggi dei richiedenti asilo andranno nuovamente a fuoco.

Creare il consenso

È necessario creare una società del consenso, la quale per avere maggior stabilità ha necessariamente bisogno di puntare il dito contro i dissidenti e gli emarginati.

La società del consenso è l’altra faccia della polarizzazione del pensiero. Immanuel Kant disse, “Abbi il coraggio di usare la tua ragione”, peccato che nella società del consenso non ci sia più spazio per questa massima. Uno studio di Dennis Gräf e Martin Hennig, pubblicato sulla rivista dell’Università di Passau nel settembre 2020, ha esaminato 93 programmi televisivi “speciali” di ARD e ZDF sul coronavirus mandati in onda fino a giugno 2020 – ma, considerando la frequenza del formato del programma stesso, non poteva che rivelarsi controproducente. Il risultato è stato molto chiaro: c’è stata una retorica unilaterale sulla crisi, in cui le misure per il contenimento del coronavirus venivano presentate come le sole “naturali” e “possibili”, mentre l’unica narrativa di salvezza era offerta dal rapido sviluppo di un vaccino. Non sono state ammesse prospettive diverse da quelle ufficiali, se non in una forma apparentemente ridicolizzata dai “fact check”. Questi si sono diffusi come un virus durante tutta la pandemia, dove chiunque non professava la fede di Stato era considerato alla stregua di uno stupido o di una persona pericolosa e quindi automaticamente escluso dal dibattito. I mass media hanno fatto un uso massiccio dei “fact-checker” per ridicolizzare o demonizzare qualsiasi critica che non potesse essere ignorata, e chiunque facesse notare le lacune di tale resoconto e mettesse in dubbio la narrativa ufficiale, veniva immediatamente aizzato contro i cani dei “fact-checker”, che con i loro controlli non facevano altro che alimentare la disinformazione, anziché fare chiarezza.

In molti casi, queste risposte “epidemiche” di fronte ad ogni indagine critica, a volte persino formulate in misura preventiva contro possibili domande sgradite, erano messe insieme in modo così miserabile da rendere necessaria una verifica dei fatti. Ogni critica alla scienza, ai media e alle aziende, così come era stata mossa in epoche passate (e non parliamo di chissà quanti anni fa), è stata immediatamente eliminata. Così è stato per il coronavirus e per le nuove guerre, perché si sa, la prima vittima della guerra è sempre la verità, e lo abbiamo visto ancora una volta con la guerra in Ucraina.

Nell’era dei social media le guerre si sono trasformate in guerre di informazione, o meglio in veri teatri di disinformazione, un altro motivo in più per analizzare esattamente chi dice cosa e con quale possibile interesse. Anche in questo caso però, qualsiasi indagine critica è stata silurata con i “fact check”. L’obiettivo prefissato è stato raggiunto: riunire le voci dei dissenzienti dichiarandoli persone indifese incanalando così il dissenso in un unico coro prescritto. Questo ha agevolato la destra a recitare la propria parte, come meglio sa fare, ovvero quella della vittima.

Rendere i poveri ancora più poveri

Le persone devono essere sottoposte a condizioni di vita insicure ed esposte a un continuo impoverimento.

La povertà rappresenta un problema mondiale e cresce nelle masse in proporzione alla ricchezza dei ricchi, a livello globale, nazionale e anche locale. Fino a qualche anno fa la differenza di aspettativa di vita media tra i quartieri più ricchi e quelli più poveri di Brema si attestava sui sette anni. Significa che, se una persona è ricca e benestante riesce a vivere sette anni in più. Oggi questa stima si applica a tutta la città di Brema, che ingloba due mondi paralleli, dove l’uno coesiste accanto all’altro all’interno di un piccolo spazio (non insieme, piuttosto l’uno contro l’altro), dove ci si riunisce come succede nel calcio, quando si tifa la nazionale: allora tutte le contraddizioni si annullano, simile all’effetto del collante del nazionalismo a livello statale (solo che il presunto “allegro patriottismo di partito” alla Coppa del Mondo non è affatto innocuo).

La retorica comunitaria dall’alto (panem et circenses) non può però ignorare i poveri, specie quando sono d’intralcio, ovvero quando si tratta di gentrificare la città o quando cercano di guadagnarsi qualcosa in più oltre alla consueta pagnotta (lavorando in nero ad esempio). Allora vengono rapidamente stigmatizzati come “parassiti sociali”. Nel frattempo invece leggiamo sui giornali notizie su quanti miliardi sono stati sprecati negli ultimi anni a causa dei pacchetti di salvataggio delle banche, dei test PCR (per il Covid, NdR), delle losche attività del cancelliere di CumEx (frode fiscale, NdR), ancora in carica che sembra però soffrire di amnesia, delle fughe fiscali legittimate dallo Stato. A detta di queste persone onorevoli, ognuno di questi incarichi è solo un multiplo della presunta “frode sociale”-, ma i miliardi svaniti sono uno schiaffo per chi si vede costretto a lottare per ogni singolo centesimo.

Quante sono le persone stanno che scontando “pene detentive sostitutive”, solo perché non possono permettersi i biglietti del trasporto pubblico (per non parlare poi delle multe)? Uno studio recente condotto dalla Fondazione Hans Böckler a sostegno dei sindacati, ha mostrato che la fiducia dei cittadini nella politica e nei partiti politici sta diminuendo a pari passo con il reddito, ovvero le persone povere non credono più nella politica. Se poi si analizza il fattore della felicità all’interno della società (indipendentemente dalla propria opinione su questi studi), il risultato non stupisce. È in linea con le aspettative: un senso di comunità (a sua volta legato all’uguaglianza relativa) è presente laddove il divario tra ricchi e poveri è minore, ovvero, la comunità e l’unione sono più che possibili senza bisogno di calcio e di nazionalismo. Tuttavia, finché l’esistenza di milioni di persone è a rischio, queste persone devono condurre una lotta quotidiana per la sopravvivenza e vengono perfino accusate di frode. Non c’è da stupirsi se continueranno ad allontanarsi, e probabilmente lo faranno prendendo la direzione sbagliata.

Traduzione dal tedesco di Maria Sartori. Revisione di Thomas Schmid.

https://www.pressenza.com/it/2024/02/istruzioni-per-il-fascismo-in-15-passi-parte-1-di-3/

 

Istruzioni per il fascismo in 15 passi (parte 2 di 3)

Il fascismo non è una catastrofe naturale, ma si sviluppa in base a delle condizioni storiche specifiche che possono variare a livello nazionale e regionale.

Pubblichiamo su Pressenza in tre parti questo interessante articolo. Ecco la seconda parte di 3:

Rendere i ricchi ancora più ricchi

Ai super-ricchi deve essere dato maggior potere e la pressione fiscale ridistribuita dall’alto verso il basso.

Fino a poco tempo fa, il notevole incremento della ricchezza in mano ad alcune minoranze non era un argomento trattato dai media a livello mondiale. Ora che se ne parla è essenzialmente da ricondursi alla sensibilizzazione al problema del clima, infatti, è proprio quell’1% più ricco dell’umanità che produce più del doppio delle emissioni di CO2 in circolo rispetto alla metà più povera dell’umanità nel suo insieme. Tuttavia, anche all’interno dell’1% più ricco c’è un’altra élite, e si tratta di 30.000 persone – il doppio rispetto a 20 anni fa – che possiedono un patrimonio dal valore di almeno 100 milioni di dollari a testa, l’equivalente di una persona ogni 300.000 nel mondo.

Queste persone rappresentano un mercato a sé stante. Solo per loro vengono costruiti in media 1.000 superyacht all’anno, dei quali i più grandi richiedono in media 2.000 litri di carburante all’ora, tradotto significa 1,5 milioni di dollari per ogni singolo pieno. Non c’è da stupirsi se i top miliardari causano tante emissioni di gas serra pro-capite quanto una città di mezzo milione di persone: ne bastano 125 di loro da soli per produrre la quantità di emissioni di gas serra pari a quelle della Francia. Tuttavia, il clima non è uno dei temi cruciali dei partiti di destra e della loro fanteria, ma non è difficile scoprire per chi lavorano e nell’interesse di chi vengono peggiorate le condizioni di lavoro, ridotti i sussidi sociali e scatenate le guerre.

Al di là della questione climatica, anche i politici che volano ai matrimoni a bordo di jet privati fanno un certo effetto agli elettori, suscitando un’immagine molto evocativa della politica: chi sta in alto, semplicemente, vive in un’altra realtà, messaggio al quale se ne aggiunge un altro con il classico paradigma della destra, ovvero chi è al vertice ha il potere di fare quello che vuole. Ciò che vi è di tragico in tutto questo è che, dietro a questa constatazione, si cela una buona parte della verità. Un esempio? Si veda il successo del referendum di Berlino sull’esproprio del gruppo immobiliare “Deutsche Wohnen” nel 2021 – completamente ignorato dal Senato, una delusione. Le destre non hanno intenzione di cambiare qualcosa, non comprendono il concetto di lotta di classe se non all’interno del razzismo, per non parlare delle proposte per una politica fiscale dell’AfD (Alternative für Deutschland è un partito politico tedesco di estrema destra, NdR). Tuttavia, dal suo canto, la sinistra extraparlamentare dovrebbe invece impegnarsi a denunciare la sfrenata ricchezza, mostrando quali sarebbero le alternative applicabili, non solo in termini di politica fiscale. Ma esiste ancora la sinistra?

Isolare le persone

Le persone devono essere sradicate e persuase che riusciranno a condurre una bella vita solo se si impegneranno abbastanza

Il fulcro dell’ideologia neoliberista, una forma del capitalismo che ha dominato la politica dei paesi industrializzati per circa quattro decenni, risiede proprio nell’isolamento delle persone. Questo avviene grazie alla divisione e all’isolamento delle persone, Una volta fatto questo, risulta più facile mettere gli uni contro gli altri e governarle. Non è un caso che il Cile, governato per decenni da una dittatura militare di destra, è stato il paese modello del neoliberismo. Con la strategia del divide et impera, le persone possono interiorizzare perfettamente il principio della competizione che viene presentato come “unica soluzione”, arrivando ad accettare le pratiche più crude di “auto-miglioramento”, solo per rimanere competitivi quanto basta rispetto agli altri. Questo rende il neoliberismo un’ideologia profondamente antisociale e anticomunitaria.

Una volta che le persone sono state condizionate, sono disposte ad accettare ogni tipo di ingiustizia come “autoinflitta”. Persino le malattie sono considerate ormai “autoinflitte” (le persone non si sono semplicemente comportate in modo abbastanza ragionevole), anche se la recente pandemia ha dimostrato chiaramente che le persone non sono tutte uguali di fronte al virus, non tutti hanno le stesse possibilità di proteggersi nel quotidiano.

Tuttavia, l’ideologia neoliberista sembra essersi dimostrata abbastanza forte per assorbire tali contraddizioni. Di fatto, questa ideologia non solo è sopravvissuta alla politica pandemica, anche quando sembrava raggiungere il punto di rottura con la sua dottrina. È riuscita persino a convincere che le famose “terapie d’urto” adottate per le popolazioni, come lo sradicamento socio-economico, la crisi, la disoccupazione ecc. fossero l’unica strada possibile da percorrere, come durante i processi di trasformazione nell’Europa dell’Est o nel contesto delle politiche del FMI e della Banca Mondiale. È riuscita anche a fare dimenticare le conseguenze scaturite da tali scelte. In fatto di guerre e guerre civili, ad esempio, la situazione della Russia prima dell’invasione dell’Ucraina, è anche il risultato di questa sorta di “terapia”,  a tal punto che non ci si è nemmeno posti il problema di un possibile nesso.

Questi sconvolgimenti, spesso spacciati quasi cinicamente per “riforme sociali”, hanno portato a loro volta a processi di isolamenti su ampia scala. La ricetta di cura proposta ancora una volta è stata la competizione di tutti contro tutti: niente comunità, solo competizione, perché l’individuo è solo, non può più fidarsi delle “vecchie forze”. La promessa di felicità del neoliberalismo è una promessa esclusiva per alcuni individui. La dolce vita non è per tutti, per quanto ci si sforzi, spesso è semplicemente impossibile.

Il neoliberismo non fa altro che rafforzare le destre. Se alle persone si offre una medicina sotto forma di promessa futura di aiuto che sarà efficace solo quando i rifugiati saranno espatriati e le minacce saranno scongiurate, questa proposta purtroppo verrà abbracciata sempre più spesso. Non è una fine inevitabile, ma abbastanza scontata in assenza di alternative, in presenza di una semi-alfabetizzazione diffusa (nella migliore delle ipotesi), di sentimenti isterici, di campagne di paura e di ritorno del nazionalismo e del militarismo in ambienti (un tempo) di sinistra.

Digitalizzare le persone

I social media devono creare un’illusione sociale e alimentare così un’intera rete di messaggi di odio.

La società digitale è l’altra faccia dell’isolamento e dell’emarginazione. La collettività in senso stretto ha da tempo ceduto il posto all’onnipresenza del principio di competizione, creando una lacuna che è stata rimpiazzata da un surrogato della società: la connessione virtuale. Quest’ultima, purtroppo al posto di colmare il vuoto, non ha fatto altro che approfondire la solitudine anziché che eliminarla. Infatti, grazie alla rete abbiamo migliaia di relazioni nel mondo virtuale, e le persone non hanno nemmeno bisogno uscire di casa per instaurare delle amicizie. Tuttavia, l’isolamento, impossibile da controbilanciare con un numero qualsiasi di “amicizie” nel mondo virtuale, ha prodotto in risposta un forte desiderio di contatto, gli occhi costantemente fissi sullo smartphone alla ricerca degli ultimi post su WhatsApp. Una dipendenza data dal brivido dei continui bombardamenti mediatici, e la conseguente creazione di un forte bisogno di attenzione attraverso il tono dei commenti via via sempre più aggressivo. Ci deve essere sempre qualcosa su cui esprimersi, farsi sentire.

Ma il flusso delle “notizie” è travolgente. Non riuscire a imporsi un limite in significa non riuscire a calmarsi, perdere i sensi, correre con il branco, essere in uno stato di eccitabilità permanente. Si tratta proprio della volontà di fondersi con il branco, essere un tutt’uno per non sentirsi soli, per avere qualcosa in comune da “condividere” con gli altri anche all’interno di una pseudo-comunità dell’odio. La psicoanalisi sa che il vuoto interiore degli individui spersonalizzati genera paura, una paura che si muta in rabbia, inizialmente diretta contro sé stessi, e poi diventa aggressività e odio. La promessa di una comunità virtuale, con il contemporaneo rifiuto dell'”altro”, la suscettibilità di fronte a semplici e brevi “verità, l’insorgenza dell’isteria al dialogo, l’aggressività latente, sono tutti elementi appartenenti agli stati d’animo tipicamente fascisti.

I social media essendo in realtà tutt’altro che social, ovvero propriamente asociali, generano nelle persone comportamenti corrispondenti, che però non vanno intesi come “danno collaterale”. Non è certo colpa della tecnologia in sé, ma dell’uso che ne fanno le persone. D’altronde chi ha introdotto questa tecnologia nel mercato, l’ha fatto proprio con questo intento: l’individuo a-sociale sviluppa uno stato di ebbrezza derivante dal consumo di questi social media, ed è ciò che le aziende tecnologiche vogliono, anzi, ne hanno bisogno per trarre i propri profitti.

Oltre alle conseguenze socio-psicologiche di una società digitalizzata e isolata, la destra è stata estremamente abile nell’utilizzare le reti asociali per diffondere le loro idee ed ideologie, proprio perché questi mezzi di comunicazione sono l’ideale, anche se il mondo non può essere di certo spiegato in 140 o 280 caratteri, ma in un tweet sì. I media anti-sociali sono diventati per eccellenza dei mezzi di semplificazione, in grado di sminuire e fare leva sulle emozioni umane, fomentando al contempo l’agitazione, come se fossero stati inventati apposta per seminare odio. I media perfetti per la destra.

Elevare la salute a valore assoluto

È necessario instaurare un regime sanitario autoritario assieme a degli standard di politica sanitaria e portare i singoli all’isolamento e all’emarginazione.

La salute è stata al centro della politica, specie negli ultimi anni, quando è diventata addirittura un cavallo di battaglia. Tuttavia, il sistema sanitario stesso è stato consegnato al mercato privato, cioè al capitale. Questo dimostra che la salute non corrisponde più al suo senso letterale, bensì ad un’ideologia precisa. La pandemia di coronavirus ha imposto un regime sanitario autoritario, dove un rigido principio moralista di gruppo si è imposto sull’autodeterminazione individuale, accusando quest’ultima di essere una concezione eccessivamente individualista- e quindi “egoista” – della libertà. Le azioni moralizzanti e repressive di questa politica sanitaria sono state applicate sia nella società che nella vita privata, un comportamento tutt’altro che umano, perfino anti-illuminista.

Altrettanto grave si è rivelato l’atteggiamento di coloro che hanno aderito ai “nuovi comandamenti”, e si sono eretti a nuovi “superiori”, specialmente durante le campagne di vaccinazione, quando i sostenitori della vaccinazione anti-coronavirus hanno accolto gli scettici con disprezzo e cattiveria, sostenendo così l’esclusione sociale, dando persino luogo a fantasie di sterminio (compresi i paragoni con i parassiti come nel nazionalsocialismo). A prescindere dalle pandemie, oggigiorno stiamo assistendo all’affermazione di una concezione sempre più autoritaria della salute che include ad esempio, anche la discriminazione delle persone in sovrappeso, – senza considerare che un’alimentazione sana dipende dal fattore economico e non è alla portata di tutti. In questo modo la sanità non fa altro che alimentare i pregiudizi sugli strati sociali più poveri, assieme ad altri (presunti) comportamenti considerati “irragionevoli”.

Non si è nemmeno parlato delle persone che non sono in grado di creare condizioni di lavoro sane per sé stesse, o di persone per le quali lo “stare a casa” è stata vissuta come una punizione draconiana nei quartieri residenziali. Questo non significa necessariamente che si debba votare per un partito di estrema destra come l’AfD, ma l’etichettatura peggiorativa e l’esclusione hanno spesso spinto molte persone a passare alla destra, ovvero i nuovi manifestanti scesi in piazza, persone non inquadrate in alcuna ideologia, che non volevano semplicemente condannare la propria nonna alla morte in una casa di riposo o che erano preoccupate per le proprie condizioni precarie, e quindi per la propria sopravvivenza.

Gerarchizzare le persone e sminuirle

Le persone devono essere suddivise in base alle “razze”, in persone degne di protezione e in persone considerate “superflue”, generando così pregiudizi e sentimenti di superiorità.

Nel suo magnifico libro “African Europeans – An Untold Story”, Olivette Otele racconta la storia del continente africano da un nuovo punto di vista e allo stesso tempo sottolinea il grande contributo africano alla storia europea, un fatto che dovrebbe far riflettere. Nella storia coloniale, e in generale in tutta la storiografia fino al XX secolo, era molto diffuso il concetto secondo cui le persone di origine “straniera” non erano percepite come esseri umani e certamente non come uguali. L’altra faccia della schiavitù è stata l’esotizzazione, ovvero l’esposizione delle persone in zoo umani. La gerarchizzazione, la discriminazione e la svalutazione di gruppi di persone nel colonialismo, e la creazione di una “razza dominante” (per tutto il periodo coloniale le donne sono state considerate come oggetti quindi come vere colonie), hanno costituito la base dei movimenti fascisti che si sono sviluppati in seguito. Il rapporto tra colonialismo e razzismo nel passato e nel presente è un tema che meriterebbe di essere approfondito dall’educazione, se fosse ancora degna di questo nome.

Movimenti fascisti come il Ku Klux Klan e altre organizzazioni di stampo razzista simili, che considerano la subordinazione, persino la schiavitù come un diritto “naturale”, sono tuttora attivi nelle loro iniziative omicide. La disuguaglianza così come l’intendiamo continua ad essere applicata anche ai giorni nostri, a volte non viene nemmeno più notata, è stata interiorizzata.

Nell’estate del 2023, due eventi quasi simultanei hanno rivelato all’opinione pubblica quali vite umane contano e quali no. Il primo evento ha riguardato la morte di un centinaio di rifugiati durante il naufragio al largo di Pylos a bordo del peschereccio “Adriana”. Secondo un’inchiesta della rivista “Monitor”, le misure necessarie per il salvataggio in mare sarebbero state deliberatamente ignorate. Le morti nel Mediterraneo, la frontiera più mortale del mondo, fanno ormai parte di una tragedia che dura anni eppure, c’è ancora chi sostiene che le operazioni di salvataggio porterebbero ad un aumento dei rifugiati, quando questa teoria è stata da tempo smentita.

L’altro evento ha riguardato un sommergibile che è affondato mentre si dirigeva verso il relitto del Titanic. A bordo vi era un manipolo di persone estremamente ricche e di spicco, probabilmente alla ricerca del brivido dell’avventura, non di certo alla disperata ricerca di condizioni di vita migliori. Insomma, due tragedie agli antipodi. Tuttavia, secondo quanto trasmesso dai media, la morte di qualche centinaio di rifugiati extraeuropei, causata in parte dalla mancata assistenza da parte di uno Stato europeo, si è rivelata molto meno grave della morte di qualche membro “bianco” delle élite dell’Occidente, un messaggio molto chiaro che non può che andare a favore dei movimenti fascisti.

Ecco il link alla prima parte. La terza (e ultima) parte verrà pubblicata prossimamente su Pressenza.

Di Gerald Grüneklee

Traduzione dal tedesco di Maria Sartori. Revisione di Thomas Schmid.

https://www.pressenza.com/it/2024/02/istruzioni-per-il-fascismo-in-15-passi-parte-2-di-3/

 

 

Istruzioni per il fascismo in 15 passi (parte 3 di 3)

Il fascismo non è una catastrofe naturale, ma si sviluppa in base a delle condizioni storiche specifiche che possono variare a livello nazionale e regionale.

Pubblichiamo su Pressenza in tre parti questo interessante articolo. Ecco la terza e ultima parte:

Giocare con l’identità

L’identità deve trasformarsi da strumento di possibile emancipazione in un’arma di potere, emarginazione e segregazione.

Secondo Heiner Keupp, l’identità è “un atto di costruzione sociale”, dove la propria persona o un’altra persona sono legate da una serie di significati interconnessi. La questione dell’identità ha una dimensione universale e culturale specifica e riguarda sempre la creazione di una corrispondenza tra il “dentro” soggettivo e il “fuori” sociale, ovvero un modo di collocarsi socialmente e individualmente nel mondo.

La necessità di costruire un’identità individuale deriva dalla necessità fondamentale di farsi riconoscere e di appartenere ad una categoria sociale. Ciò implica già alla sua base una separazione nella contrapposizione tra l’”io” e il “noi” (appartenenza) e “l’altro” (non appartenenza), che necessita di essere categorizzato nella distinzione dall’altro. Questo aspetto diventa più chiaro con la politica dell’identità sovraindividuale, ovvero, posso definirmi “uomo”, ad esempio, solo nella consapevolezza di essere, presumibilmente, diverso da una “donna” per una serie di caratteristiche o di aspetti. Tuttavia, quando sono presenti l’esclusione e persino l’emarginazione (spesso quando il senso di identità è fragile) sono sempre riconducibili alla questione dell’identità, ovvero una tematica sensibile ai movimenti populisti che costruiscono la propria gerarchia e politica proprio sulle differenze.

A prescindere da questo problema fondamentale, spesso in passato chiarire ed enfatizzare l’identità nei movimenti di sinistra è servito inizialmente come strumento di emancipazione – definirsi “nero”, “donna”, “gay”/”lesbica”, “storpio” (sì, è esistito perfino il movimento degli storpi). Era anche un atto di auto-emancipazione e di incoraggiamento per “deboli” contro i “forti” – per il proprio status sociale, legale o economico. Questa identificazione però comporta anche delle difficoltà, ovvero se una persona non si limita a identificarsi solo come dipendente, quindi si definisce anche in base alla categoria sessuale, di genere, religiosa, eccetera, allora il peso dell’appartenenza di classe scompare e, invece di riconoscere interessi comuni, si crea un mix individuale, che a sua volta si armonizza perfettamente con l’egemonia neoliberale dell’individualismo.

Tuttavia, non solo questo elemento di emancipazione è in gran parte scomparso, ma ha ceduto il posto ad un’altra questione che riguarda la cosiddetta tendenza all’autosacrificio, facendo emergere così un ulteriore problema: se un gruppo di persone si definisce non solo attivo sulla via dell’emancipazione, ma si sente anche “vittima” delle circostanze, può sentirsi in diritto- non da ultimo attraverso delle deviazioni morali – di richiedere l’uso del potere per la sua affermazione. La situazione si complica quando diversi membri appartenenti a dei gruppi di queste “vittime” si ritrovano ad essere in competizione tra loro. Se da un lato, tutto ciò porta all’instaurarsi di strane situazioni contradditorie- ad esempio, quando dei partiti apparentemente di sinistra tedeschi etnici vietano l’ingresso in una struttura privata ad una persona che porta i dreadlocks, perché questi vengono interpretati come un’ “appropriazione culturale”, mettendo in dubbio la propria comprensione del concetto di antirazzismo – dall’altro porta anche a lotte di potere, comportamenti autoritari ed esclusione.

Essendo un argomento troppo complesso per essere riassunto in poche righe ci limiteremo a far notare quanto segue: 1.  da una parte, la politica identitaria porta ad assumere posizioni difensive nei confronti degli “altri”, e dall’altro ad avere idee preconcette delle rispettive caratteristiche identitarie; 2. La politica dell’identità è sinonimo di una segregazione astorica delle persone, vedasi per esempio il concetto di “appropriazione culturale”, eppure la storia dell’umanità è inconcepibile senza la mescolanza culturale; 3. L’emarginazione e l’esclusione autoritaria, con il suo relativo sentimento di “vittimismo”, e le presunte identità “puriste” finiscono per fare il gioco della destra, per la quale la mescolanza culturale è sempre stata un abominio, vedendosi vittime dei “verdi di sinistra”.

Condurre le guerre

La società deve essere abituata alle guerre tramite il continuo riarmo psicologico e mentale e l’accettazione dell’elemento militare.

La guerra è sempre stata di classe, una guerra dei governanti contro i governati, questo lo sapevano anche i vecchi socialisti. Tutte le guerre degli ultimi 250 anni, fin dall’istituzione della nazione, si sono basate su interessi geopolitici nazionali, o perlomeno su lotte di potere etniche/sociali/religiose di stampo nazionalistico. Ci sono due modi per i cittadini di pagare il conto. Da un lato, i belligeranti anziché affrontarsi direttamente, ad esempio battendosi in un duello, mandano in campo i loro sudditi a pagare queste lotte di potere con la propria vita. L’unica risposta logica sarebbe quella di disertare in massa, ad esempio nel caso della guerra in Ucraina, anche se in realtà sta già accadendo da entrambe le parti, ma c’è ancora troppo materiale bellico, ergo tanta carne da macello a disposizione. Dall’altro lato, il costo della guerra non viene pagato dai conti privati dei leader, ma viene scaricato sulla popolazione, che si vede condannata a pagarne le spese per gli anni a venire, spesso con enormi difficoltà, naturalmente senza che le sia nemmeno stata data la possibilità di opporsi in anticipo.

Certo, è facile esprimersi contrari alla guerra, quando esiste ancora un ampio ventaglio di opzioni per la difesa sociale e non militare anche in caso di una guerra di aggressione, eppure, in un arco di tempo relativamente molto breve, la società tedesca è riuscita a militarizzarsi in una misura che prima non era lontanamente pensabile. Il ricordo delle soluzioni civili è stato annientato da un cieco nazionalismo di guerra. Il fatto di sventolare una bandiera (ad esempio giallo-blu) si è trasformato in una questione politica a livello statale, e chiunque osi criticare la politica di guerra viene perseguitato dai media, minacciato di sospensione professionale oppure, come è stato fatto all’epoca del coronavirus, viene spinto nell’angolo della destra.

Allo stesso tempo, è in corso una guerra interna, o meglio, una guerra di propaganda e di manipolazione mentale, dove a tutti viene richiesto di assumere una posizione, ovviamente schierandosi dall’unica parte giusta come prescritto dal governo. In sintesi una sorta di obbligo a confessarsi, se non si vuole rischiare di rimanere vittima di gravi svantaggi sociali ed economici, un punto che offre alla destra la possibilità di trarne un doppio vantaggio (forse dovremmo quasi rallegrarci che non ci sia ancora un consenso tra i sostenitori di destra su questo tema). Tuttavia, come ci ricorda Klaus Theweleit nella sua brillante opera “Männerphantasien” (fantasie di uomini), un soldato condizionato rimane di fatto il prototipo dell’uomo fascista.

Da un punto di vista storico, l’esercito è sempre appartenuto alla destra, compreso l’eroismo e i toni nazionalisti e aggressivi che sentiamo oggi anche negli ambienti dei verdi e della sinistra. Alcuni partiti di destra sembrano farci dimenticare tutto questo, proponendosi come l’unico vero movimento per la pace, nel tentativo di penetrare il vuoto dei movimenti della sinistra.

Limitare l’accesso all’istruzione

Portare avanti una politica educativa che, nella migliore delle ipotesi, è un’educazione a metà basata sulla selezione.

Oggigiorno l’istruzione ha assunto il significato di form-azione, cioè un’istruzione subordinata e ridotta al fine di rendersi successivamente fruibile, quindi lontana da un ideale educativo globale come quello sostenuto da Wilhelm von Humboldt. Tuttavia, l’educazione di oggi non è solo una mera riduzione della stessa, ma si basa su idee normative, ovvero tutti devono imparare le stesse cose nello stesso modo e nello stesso tempo. Si basa anche su un principio selettivo di competizione, sia tra gli studenti che tra le istituzioni educative, in cui non tutti godono delle stesse opportunità.

Il principio di economia ha preso il sopravvento anche nell’istruzione e pretende che si debba imparare sempre di più, ma in poco tempo, eccezion fatta per l’apprendimento in sé o anche per l’assimilazione autonoma di determinate aree di conoscenza. L’apprendimento bulimico, ossia studiare per un esame e poi dimenticarsi di tutto appena dopo, è diventato la norma. I contenuti dell’apprendimento vengono separati in modo arbitrario l’uno dall’altro, dove l’importante diventa solo ciò che è “redditizio”. Ecco perché le lingue e le scienze naturali occupano più spazio a discapito di materie come la filosofia, l’etica, le scienze sociali o, ad esempio, le competenze mediatiche: non c’è tempo per la contestualizzazione dell’apprendimento, né tanto meno per la sua messa in discussione.

I progetti di educazione civica e degli adulti, così come di un’educazione all’emancipazione in generale, vengono sempre più ridotti, soprattutto in tempi di populismo dilagante. Educare ormai significa sottomettersi ai principi e alle condizioni di un sistema gerarchico basato sulla competizione. Non sorprende, quindi, che le poche persone mature, dotate di spirito critico, interessate all’istruzione e orientate al bene comune escano da questo sistema, poiché grazie all’educazione all’arbitrio, al conformismo, all’obbedienza, autorità, emarginazione, isolamento, ed egoismo viene preparato il terreno ideale per l’inseminazione del fascismo.

La sinistra deve rinunciare a sé stessa

I movimenti di sinistra devono essere indeboliti e criminalizzati, sempre ammesso che non abbiano già rinunciato alla propria esistenza.

Questo aspetto lo abbiamo vissuto in primis negli anni del coronavirus, quando la sinistra ha abiurato a sé stessa come movimento sociale, progressista e voce critica nei confronti dello Stato. Eppure non era un segreto che la sinistra fosse un malato cronico da tempo, ma ora ha ricevuto il suo colpo di grazia: un’uscita totale su tutta la linea, dalla sinistra parlamentare ai movimenti Antifa e autonomi, e non si è nemmeno resa necessaria la pressione da parte dello Stato come in passato, quando gli Stati non si sottraevano all’omicidio politico. La gente è stata fatta tacere e si è scagliata contro lo Stato come se non ci fosse un domani.

Ben pochi si sono salvati da questa estinzione e sono da considerarsi l’eccezione alla regola. Chiunque non abbia indossato una mascherina durante la pandemia di coronavirus è stato privato di ogni solidarietà, e la sinistra ha trasformato la solidarietà in un arsenale di minacce usandola per liberarsi della propria eredità. Il risultato è stata la scomparsa di qualsiasi rimedio per le persone ancora alla ricerca di alternative per il diritto al lavoro, alla salute e all’autodeterminazione informativa, di fronte al dilagare delle disuguaglianze sociali, della precarietà e dell’impoverimento.

Servizi di interesse generale, sostenibilità per le generazioni future, sicurezza alimentare, pensioni garantite, approvvigionamento idrico globale, abitazioni a prezzi accessibili, tutto questo e molto altro è stato sacrificato in nome del capitale in sfrenati atti di privatizzazione, coordinati dallo stesso Stato, che ancora a molti sostenitori di sinistra appare come “salvatore”. Il tenore di vita delle persone peggiora inesorabilmente ogni giorno, per molti si tratta di mera sopravvivenza, per non parlare poi del problema climatico.

“There Is No Alternative”: questo è stato il mantra del neoliberismo. Un tempo, la sinistra lo attaccava in diversi incontri internazionali di spicco intraprendendo azioni concrete che comprendevano una grande varietà di approcci e progetti, oggi invece questo mantra sembra aver preso il sopravvento sulla realtà: non c’è alcuna alternativa, da nessuna parte, è come cercare un ago in un pagliaio, tranne che nell’estrema destra. Insomma, una pseudo-alternativa, tuttavia non trascurabile. È strano pensare che ci sono persone che si sentono dimenticate, non più rappresentate, non più riconosciute (o se sì solo in modo negativo e dispregiativo), o non più ascoltate. Sarebbe facile incolparle di aver preso la direzione sbagliata, oppure potremo semplicemente iniziare a riflettere su noi stessi e sulle nostre mancanze.

Fare la corte alla destra

La destra è innocua, e bisogna cercare di avvicinarsi alle sue tematiche.

Non possiamo negarlo, alla destra è stata data molta importanza storica. I sondaggi dell’opinione pubblica, in particolare prima delle elezioni, vengono arricchiti di elementi tipicamente manipolatori e di conseguenza influenzano facilmente le decisioni dei singoli elettori. Maggiore è il clamore creato dai media su un “successo sorprendente”, più alti sono i punti nelle percentuali dei sondaggi successivi. Secondo il motto: se un partito ha successo, le sue proposto non saranno tanto sbagliate. Allora ci si chiede, perché mai un partito di estrema destra come l’AfD gode di tanta visibilità mediatica, fino al punto di far intervistare e invitare i suoi leader costantemente ai talk show? Ah, certo, i mass media.

Il fascismo in fondo non è poi così male, almeno questo è il messaggio che i mass media tedeschi lasciano trasparire sulle politiche del capo del governo italiano di ultradestra Meloni, un fan dichiarata di Mussolini.

Certamente, i media giocano la loro parte nella polarizzazione della società, rappresentano la “quarta potenza”. I media sono perfino riusciti a incitare all’odio laddove la destra non era ancora arrivata, ad esempio, con la campagna di odio contro i presunti “irresponsabili” ai tempi del coronavirus, ovvero le persone non vaccinate. Insomma, i mass media sono riuscitati a scovare  “complottisti“ dappertutto, attribuendo a questi ultimi un’accezione simile a quella della pericolosa rete cospirativa dei QAnon, e infine  sono riusciti a etichettare tutte le persone contrarie alla guerra come “sostenitori di Putin” o come persone stupide che si lasciano ammaliare dai “demagoghi del Cremlino”.

Nel 2022 è stato perfino accolto in larga scala il rapporto dell’Ufficio federale della polizia criminale sui reati di stampo politico senza che questo venisse dibattuto. Tra i principali movimenti responsabili sono stati già inquadrati quelli dei “Reichsbürger” (ovvero dei cittadini del Reich, quindi di estrema destra) e degli attivisti del clima: se bloccare una strada è paragonabile ad un omicidio per razzismo, allora la destra ha già vinto metà partita. È sconvolgente osservare che quasi tutti i partiti facciano a gara con le destre, eppure finiscono per rimanere sempre indietro. Qualcosa di simile era già successo con il tema scottante del gender e ora la stessa questione si sta ripetendo con la politica sui rifugiati. Eppure vista la tendenza che si sta già delineando per i prossimi anni, mi chiedo se la destra ovvierà alla carenza di manodopera qualificata sfornando il pane al mattino prima di partire per la campagna elettorale, o magari prima di iniziare il turno di notte all’ospedale o alla casa dei vigili del fuoco.

Vi risparmierò di citare le dichiarazioni dei politici di CDU, CSU, FDP, SPD e dei Verdi, che sembrano fare a gara in termini di stupidità e di ignoranza quando affrontano il tema dei rifugiati, dimostrando così che l’imbarbarimento non è di proprietà esclusiva dell’AfD. Tuttavia, è palese che le persone con idee di destra non possano allontanarsi dai partiti di destra, se si contrappongono argomentazioni altrettanto di destra (e certamente non limitando l’influenza della destra). Dopotutto, le persone preferiscono votare le idee più originali, come accadde sempre in Germania dopo la modifica della legge sui richiedenti asilo del 1993. Fu un successo per la destra che figurò anche nei risultati elettorali. Eppure sarebbe tutto molto più semplice, se si potesse costringere i partiti ad affrontare attivamente i temi più importanti come la sicurezza e la giustizia sociale, il bene comune, la salvaguardia del clima.

Combattere il fascismo, sradicando l’obbedienza

Gli ultimi sviluppi dal 2020 sembrano un manuale di istruzioni per l’instaurazione di successo del fascismo in una democrazia, che sembra aver esaurito le ultime riserve da mobilitare contro.

L’intento del mio scritto è quello di dimostrare come in realtà sarebbe facile combattere il fascismo, se volessimo seriamente “preservare la nostra democrazia”, come spesso invocano i politici. Tanto per cominciare, basterebbe applicare effettivamente la Legge fondamentale e le convenzioni internazionali sui diritti umani, per esempio, e questo lo sanno tutti coloro che invocano regolarmente una “rivolta perbenista” per distrarre le masse dalla necessità di un vero cambiamento. Per combattere il fascismo, basterebbe astenersi o smettere di fare ciò che viene descritto in queste istruzioni per l’instaurazione del fascismo.

Coloro che si limitano a condannare in modo eloquente il “fascismo” nei media (o che insultano gli elettori dell’AfD) non sono affatto intenzionati a combatterlo, perché traggono il proprio vantaggio dalle condizioni sociali che danno origine al fascismo stesso. Nella maggioranza dei casi questi cosiddetti antifascisti di nome non vogliono l’estensione su vasta scala del fascismo, almeno non ancora, non così apertamente, perché potrebbe comportare la perdita dei propri interessi, o perché ne andrebbe della reputazione della Germania nel mondo o per altri motivi altrettanto nobili.

Questo testo non vuole banalizzare la destra e i suoi elettori, al contrario. L’AfD è un partito profondamente razzista e i sondaggi mostrano la costante crescita dell’adesione da parte delle persone alla visione di un mondo razzista. In breve: i razzist* sono soliti votare per i razzist* (e si spera si infastidiscano per la scrittura inclusiva). Come hanno prontamente sottolineato Theodor W. Adorno e altri esponenti della teoria critica (Scuola di Francoforte), anche il carattere autoritario influisce sulla disposizione e rende le persone molto più sensibili alle idee fasciste. È terribile pensare che l’autoritarismo si sia rafforzato grazie alle strategie di promozione del fascismo qui descritte, quando sarebbe invece stato utile “sradicare l’obbedienza” (Peter Brückner).

Di fronte a un brusco aumento di persone con modi di pensare emarginanti, razzisti e fascisti, è troppo riduttivo concentrarsi su un solo partito di destra, ed è altrettanto grave abbandonare interi gruppi di persone, spingendoli così ancora di più tra le braccia della destra. Eppure, il successo della destra – una vera tragedia – è dovuto in particolare alle conseguenze scaturite dalle condizioni create dagli altri partiti e da una parte della “società civile”: è il risultato della mancata volontà o dell’incapacità di contrapporre a questa situazione un’alternativa attraente, anche perché le forze politiche che avrebbero potuto reagire in altri momenti hanno commesso un suicidio politico collettivo.

L’ambiente della destra viene studiato come una specie animale aliena, tramite una lente di ingrandimento sociologica-etnologica, e ci si interroga ancora, dall’alto della poltrona universitaria, sull’incapacità della destra di immaginare un futuro, figuriamoci di pensare in modo non distopico. Ma come si fa, di grazia, a pensare in modo diverso da quello distopico, viste le condizioni attuali? Non è forse un’utopia? Dal suo canto, il mondo accademico dimostra con queste osservazioni una mancanza di comprensione e, che gli “illuminati” spesso non sono così poi illuminati.

L’obiettivo di questo testo è proprio quello di dimostrare che gli esseri umani non sono “intrinsecamente” buoni o cattivi, e nemmeno “homo homini lupus”, come sostengono le teorie darwiniane politicizzate nel darwinismo sociale e interpretate in modo altamente selettivo. Il razzismo non è uno stato naturale e non si nasce razzisti o fascisti. Le persone diventano buone o cattive in base alle condizioni in cui vivono, e ciò significa che è possibile rigettarle, poiché una soluzione è sempre possibile, basterebbe guardare il mondo con occhi diversi.

Il filosofo anarchico, Peter Kropotkin, aveva già sottolineato il grande potenziale dell’aiuto reciproco anche all’interno di società apparentemente capitaliste. Oggi esistono nella nostra società molti movimenti che si adoperano per il bene comun, perché credono in una società diversa, ma al contempo sono sotto pressione. Se riuscissimo a sradicare l’obbedienza, potremmo permettere a più persone di pensare fuori dagli schemi, e di lottare uniti per una società più umana e migliore, una società dove non ci sarebbe più posto per il fascismo.

Ecco i link alle due puntate precedenti:

Prima parte.

Seconda parte

Di Gerald Grüneklee

Traduzione dal tedesco di Maria Sartori. Revisione di Thomas Schmid.

https://www.pressenza.com/it/2024/02/istruzioni-per-il-fascismo-in-15-passi-parte-3-di-3/

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